In occasione del bicentenario della nascita di P. Ludovico da Casoria (1814-2014), le Suore Francescane Elisabettine Bigie hanno voluto offrire ai devoti e cultori del prossimo santo la ristampa anastatica della celebre biografia scritta dal cardinale Alfonso Capecelatro, della Congregazione dell’Oratorio, arcivescovo di Capua. Si tratta del testo che in maniera più immediata e coinvolgente ci fa conoscere il grande frate minore che fu detto “il San Francesco del XIX secolo”. Alla vigilia della ormai prossima canonizzazione, il volume è uno strumento indispensabile per quanti vogliano approfondire le opere e la spiritualità di San Ludovico.
La vita del p. Lodovico da Casoria, –questo il titolo del volume– ebbe la sua prima edizione nel 1885, e cioè nello stesso anno della sua morte, e fu stampata presso la Tipografia degli Accantoncelli di Napoli, una delle tante opere che il genio di Padre Ludovico aveva messo in piedi. Il fatto che l’arcivescovo di Capua accettasse di scrivere una biografia di Padre Ludovico all’indomani stesso della morte, dimostra quanto profonda e sicura fosse la fama di santità che si percepiva intorno all’amato Padre.
Basta leggere le prime parole dell’Introduzione dell’autore per rendersene conto: “Il 31 Marzo di quest’anno 1885 si rendevano in Napoli onori di pietose e solennissime esequie a un uomo che il giorno innanzi era morto in un Ospizio di poveri a Posillipo. Quest’uomo che aveva nome Padre Lodovico, era un frate umile e poverello, di non molta coltura, e, quanto al parlare e alle forme esteriori, poco o punto diverso da un semplice nostro popolano. Nondimeno le esequie che gli si fecero sono di quelle che assai raramente s’incontrano, e che o muovono al pianto, o almeno lasciano profondamente pensare”. [1]
Alfonso Capecelatro (Marsiglia 5 febbraio 1824 – Capua 14 novembre 1912), era entratosedicenne nella Congregazione dell’Oratorio ed era stato ordinato sacerdote nel 1840. Egli fu per l’Oratorio di Napoli un vero salvatore: ottenne infatti che, in seguito alle leggi di soppressione decretate dal nuovo stato italiano, alla chiesa dei Girolomini e al chiostro con la famosa biblioteca fossero assicurate le garanzie dovute ai monumenti nazionali ed egli stesso ne fu eletto sopraintendente. Nel 1879 Leone XIII lo chiamò in Vaticano come vicebibliotecario, il 28 ottobre 1880 lo elesse arcivescovo di Capua, e nel 1886, anno successivo alla morte di P. Ludovico lo creò cardinale.
Tra le sue opere vanno ricordate altre importanti biografie di santi: Storia di S. Caterina da Siena e del papato del suo tempo,1856; Newman e la religione cattolica in Inghilterra, 1859; Storia di S. Pier Damiano e del suo tempo, 1887; La vita di S. Alfonso Maria de’ Liguori, 1893. Ma soprattutto restò celeberrima la sua Vita di Gesù, scritta su suggerimento di Padre Ludovico da Casoria per confutare gli errori di Renan, che aveva voluto scrivere un analogo soggetto in chiave laicista.
Il Capecelatro scrisse La vita del P. Lodovico da Casoria sulla base di conoscenza diretta e di testimonianze di prima mano. Godè personalmente della spirituale amicizia con il Padre, ne accolse le confidenze, fu conquistato dalla sua santità: “Nello scrivere questa storia del P. Ludovico – confessa il Capecelatro – spesso io me lo vedo davanti come persona viva; e nel vederlo mi pare che secondo il suo solito, lietamente mi sorrida. Mi sembra anche che nel presentarsi alla mia fantasia mi infonda coraggio, e mi rinfranchi nelle difficoltà gravi della mia vita pastorale. Lo scrivere dunque di lui mi è quasi una spirituale letizia” [2].
Favorito dai ricordi di questa assidua frequentazione e dai racconti di testimoni della prima ora, il Capecelatro ci consegna una straordinaria mole di informazioni circa le vicende biografiche, i luoghi, le persone, le opere intraprese o agognate da Padre Ludovico. E tuttavia ciò che più affascina il lettore è il modo in cui ci viene consegnato il ritratto fisico e spirituale del santo. In un’epoca in cui non esistevano video, né registrazioni, e la fotografia era appena agli inizi, fu provvidenziale che i tratti somatici, il carattere, e la stessa voce di P. Ludovico restassero vividamente impressi nella memoria di Alfonso Capecelatro.
Egli poté così tramandarli a noi nelle pagine della sua biografia con ineguagliabile capacità descrittiva:“Il P. Ludovico fu nel corpo bello di signorile bellezza, con carnagione bianca e mista di un roseo che, quando s’accalorava parlando, diventava quasi vermiglio. Ebbe il capo ben proporzionato, i capelli castani e bruni e spessi, il viso ovale, la fronte spaziosa e gradatamente sporgente dal vertice ai sopraccigli, gli occhi cerulei, piccoli ma parlanti e vivacissimi: il naso regolare e leggermente aquilino, la bocca giusta, le labbra sottili e strette ma sorridenti, la voce sonora e nel canto, argentina; la parola viva, leggermente stentata, il mento quadrato, gli orecchi piccoli, il collo diritto, le mani bianchissime, affilate, gentili. Fu grave nell’incedere; nel parlare affabile e cortese, in tutto l’andamento della persona nobilmente semplice” [3].
A tratti, dalle pagine del libro, mentre l’autore riporta le espressioni e le parole del santo, i dialoghi, le prediche, le esortazioni, o semplicemente i commenti ai fatti del vivere quotidiano, ci sembra di poterne percepire finanche il timbro di voce. Infatti il Capelatro aveva annotato: “La sua parola era ardente, colorita, sentenziosa, incisiva, … a ciò si aggiunge che egli parlava con una certa mescolanza di lingua e di dialetto che pareva frutto di poca cultura, e per di più assai spesso errava nelle desinenze delle parole. Come si vedrà dalle sue lettere … scriveva assai meglio di quel che non parlasse. Per cui a qualcuno, quel parlare incolto e un po’ sgrammaticato, parve finissima industria di umiltà; a me no. Non l’ho creduto mai, anche perché quel continuo espediente per sembrare diverso da quel che era … guasterebbe la sua figura” [4].
E’ commovente poi leggere con quali accenti di ammirazione e di spirituale affetto l’autore rende la sua testimonianza sulla santità di P. Ludovico: “Andavo talvolta a lui, quando, fra i vari dolori della mia vita, avevo bisogno di conforto; e il conforto mi veniva più che dalla sua parola, dal vedere lui così pieno di Dio, così sereno, così imperturbabilmente paziente, con uno sguardo dolcissimo e con le labbra atteggiate a un sorriso da santo. Il Padre Ludovico veniva presso di me ai Girolamini, quando voleva che facessi questa o quella cosa per il bene delle anime e spesso anche quando gli sorgevano in mente nuovi disegni di opere sante da fare. Come egli mi parlava di queste opere e con quale singolare eloquenza egli cercasse di persuadermi ad essere di aiuto o almeno ad approvarle, lo dirò in seguito. Qui basta dire che io amavo Padre Ludovico con affetto riverente e umile, con affetto di figliolo e di discepolo, e ciò soprattutto perché sentivo dentro di me che era un santo. Lo sentivo con tanta sicurezza che se cento o mille persone mi avessero detto il contrario io avrei creduto più a quella misteriosa e intima voce della coscienza che affermava, anzicché ai cento o mille che volessero negare. Questo pensiero “egli è un santo” mi spingeva ad amarlo; mi infervorava ad agire secondo Dio, quando certe miserie che mi attorniavano tentavano di rendermi freddo; mi faceva bene e talvolta m’illuminava nelle ore più oscure della mia vita”. [5]
Infine Capecelatro mostra di aver compreso l’intimo segreto della personalità del Padre, la forza più potente delle sue grandi opere. Fu la sua eminente semplicità. Semplice e povero l’abito; semplice l’atteggiamento e lo sguardo; semplicissima la parola, al punto che
“veder lui e innamorarsi della sua semplicità, era tutt’uno. Anzi credo che le principale attrattive del P. Ludovico derivassero appunto da quella semplicità che il mondo disprezza, ma che pure è una delle principali condizioni della vera grandezza, sempre”. [6]
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NOTE
[1] Alfonso Capecelatro, La vita del P. Lodovico da Casoria, 2°ed. 1893, pag.1.
[2] Cfr. oc. cap XXVII, pag. 555
[3] Cfr. oc. cap XXXII, pag. 724-725
[4] Cfr. oc. cap.II, pag. 32
[5] Cfr. oc. Introduzione, pag. 6
[6] Cfr. oc. Introduzione, pag. 5