Finora è la posizione più chiara espressa dal Vaticano riguardo ai bestiali crimini perpetrati dai terroristi islamici in Iraq e Medio Oriente. Il discorso di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, alla sessione d’inizio settembre della Commissione per i diritti umani, brilla per limpidezza, lasciando intendere il lavoro ‘dietro le quinte’ svolto dalla diplomazia vaticana e ribadendo – non senza una certa durezza – il punto di vista del Vaticano.
Che, ovviamente, è il punto di vista di Papa Francesco, nonostante sia ancora accesa la discussione sulla presunta ‘incompiutezza’ e ‘ambiguità’ delle parole del Santo Padre sull’aereo di ritorno dalla Corea: “È lecito fermare l’aggressore ingiusto. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo”.
Mentre il mondo si domanda cosa avesse voluto dire il Papa con quella espressione, mons. Tomasi non lascia spazio a dubbi. Tuttava il testo integrale del suo discorso non era mai stato divulgato da nessun organo di informazione vaticano finora, nonostante la sessione della Commissione si fosse svolta il 1° settembre scorso. Erano stati siti di informazione nazionali e internazionali a diffonderlo, tra cui il blog “Settimo Cielo” del vaticanista de “L’Espresso” Sandro Magister. Solo oggi L’Osservatore Romano ha pubbicato il discorso.
In esso, mons. Tomasi si rivolge ai rappresentanti di 47 Stati, tra cui Italia e Stati Uniti, Argentina e Brasile, Russia e Cina, Nigeria e Sudan, Arabia Saudita e Qatar. Di questi il presidente è un diplomatico del Gabon, Baudelaire Ndong Elia. Al termine dei lavori – riferisce il blog -, la Commissione ha adottato (senza votarla) una risoluzione per l’invio in Iraq di una missione per l’accertamento dei crimini.
In apertura, il presule traccia una panoramica dei centri di violenza nelle diverse regioni del mondo, specie in Iraq settentrionale, che – afferma – “impongono alle comunità locali e internazionali di rinnovare gli sforzi nella ricerca della pace”. E spingono a ribadire con maggior vigore “il rispetto per la dignità inviolabile della persona umana”, che è “fondamento” di tutti i diritti umani, “anche prima delle considerazioni di diritto internazionale umanitario e del diritto bellico”.
La difesa di questi diritti umani ha visto un tragico fallimento con l’autoproclamata “entità distruttiva” che è l’Isis. Lo dimostra la recrudescenza delle violenze poste in atto in questi mesi dai terroristi islamici, che Tomasi denuncia senza alcuna edulcorazione: “Le persone sono decapitate se resistono per la loro fede; le donne sono violate senza pietà e vendute come schiave sul mercato; i bambini sono forzati a combattere; i prigionieri vengono macellati contro tutte le disposizioni giuridiche”.
Laddove, davanti a queste brutalità, il governo “non è in grado di garantire la sicurezza delle vittime”, allora è responsabilità della protezione internazionale “fare passi concreti con urgenza e decisione per fermare l’aggressore ingiusto, per ristabilire una pace giusta e per proteggere tutti i gruppi vulnerabili della società”, afferma il rappresentante vaticano.
Ma non solo la comunità internazionale – insiste l’arcivescovo -, “tutti gli attori regionali e internazionali” sono chiamati in causa per “condannare esplicitamente il comportamento brutale, barbaro e incivile dei gruppi criminali che combattono in Siria orientale e in Iraq settentrionale”.
Una “responsabilità della protezione”, questa, che deve essere assunta “in buona fede”, nel quadro del diritto internazionale e del diritto umanitario. Perché “la società civile” in generale, e “le comunità religiose ed etniche” in particolare, non dovrebbero diventare “strumento di giochi geopolitici regionali e internazionali”. Tantomeno, asserisce Tomasi, dovrebbero essere viste come “oggetto ininfluente” a causa della loro identità religiosa o perché altri attori le considerano una “quantità trascurabile”. Quindi l’affermazione culmine dell’intero discorso: “Protezione senza efficacia non è protezione”.
Non manca poi un richiamo alle agenzie “ad hoc” delle Nazioni Unite, che in collaborazione con le autorità locali, devono fornire aiuto umanitario, cibo, acqua, medicine e riparo a tutti coloro in fuga dalla violenza. Un contributo ammirevole che, tuttavia, “dovrebbe essere una assistenza temporanea di emergenza”, dice l’arcivescovo. Il problema è infatti un altro, e cioè che i cristiani cacciati a forza, come pure gli yazidi e le altre minoranze, “hanno il diritto di tornare alle loro case, ricevere assistenza per la ricostruzione delle loro case e dei loro luoghi di culto, e di vivere in sicurezza”.
Di pari urgenza è “il blocco del traffico di armi e del mercato petrolifero clandestino”, così come di “qualsiasi sostegno politico indiretto, del cosiddetto ‘Stato islamico’”. Solo in questo modo, assicura mons. Tomasi si contribuirà “a porre fine alla violenza”.
Nel penultimo punto del suo intervento, il presule chiarisce infine cosa Papa Francesco intendesse con il “fermare l’ingiusto aggressore”. “Gli autori di questi crimini contro l’umanità devono essere perseguiti con determinazione – ribadisce -. Non deve essere loro consentito di agire con impunità, altrimenti esiste il rischio della ripetizione delle atrocità che sono state commesse dal cosiddetto ‘Stato islamico’”.
Infatti “ciò che succede oggi in Iraq è successo nel passato e potrebbe succedere domani in altri luoghi”, avverte il delegato vaticano. E come l’esperienza ci insegna “una risposta insufficiente, o peggio ancora, l’inazione totale, si traduce spesso in un ulteriore aumento della violenza”.
Pertanto – e qui l’arcivescovo diventa perentorio – “un fallimento della protezione di tutti i cittadini iracheni, lasciandoli diventare vittime innocenti di questi criminali in un clima di parole vuote, equivalente a un silenzio globale, avrà conseguenze tragiche per l’Iraq, per i paesi vicini e per il resto del mondo”.
“Sarà anche un duro colpo per la credibilità di quei gruppi e individui che si sforzano di sostenere i diritti umani e il diritto umanitario”, chiosa Tomasi. E, prima di concludere, lancia un ultimo vigoroso appello ai leader delle diverse religioni, i quali – dice – “hanno una responsabilità particolare per chiarire che nessuna religione può giustificare questi crimini moralmente riprovevoli e crudeli e barbari”, e anche per ricordare a tutti che “in quanto unica famiglia umana siamo custodi dei nostri fratelli”.