Monsignor Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, non ha dubbi: ci troviamo dinanzi a una nuova tipologia di conflitti, che pone tanti interrogativi alla comunità internazionale, la quale si trova incapace di fornire soluzioni per evitare il massacro civile e gli esodi forzati delle popolazioni. Intervistato da ZENIT, il presule afferma, infatti, che nel contesto internazionale c’è una grande difficoltà a trovare strade adeguate per rispondere ad una situazione che crea una vera emergenza anche dal punto di vista etico.
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Eccellenza, qual è la principale preoccupazione della comunità internazionale?
Mons. Tomasi: In questo momento la comunità internazionale si sta preoccupando di tre punti caldi del globo. Il primo è la Siria, l’altro il Mali, e poi il Congo del quale si parla poco. Altri Paesi soffrono a causa di conflitti violenti, come l’Afghanistan, o si confrontano con forti tensioni interne, come l’Egitto. In tutte queste zone c’è tanta violenza da parte degli Stati e dei nuovi gruppi non-statali, e i civili vengono uccisi dalle attività militari. La complessità delle guerre moderne coinvolge nuovi protagonisti e nuove tecnologie, come i drones (velivoli senza pilota n.d.r.), e nuovi criteri di azione.
Emergono nuove problematiche quindi?
Mons. Tomasi: Sì. La domanda che nasce nel contesto internazionale è come sia possibile gestire questa nuova e triste realtà per prevenire soprattutto i danni alla popolazione civile. Un altro aspetto molto rilevante è quello della guerriglia urbana, molto diffusa dal momento che i centri abitati interessano per il controllo delle comunicazioni e per assicurare l’appoggio della gente che vive per la maggior parte nelle città. Purtroppo alla radice di tutta questa sofferenza e delle molte vittime di tali zone c’è una mancanza di rispetto del diritto umanitario internazionale da parte di tutti i belligeranti intenti solo a perseguire i propri scopi militari.
Gli obiettivi, dunque, non sono necessariamente i centri militari?
Mons. Tomasi: L’obiettivo principale è di ottenere il potere e non si guarda più ai mezzi con i quali si cerca di raggiungere tale fine. Il rifiuto dell’altro non porta certo alla convivenza pacifica. Da un punto di vista etico e di relazioni politiche tra forze pubbliche e Stati, si nota la grande difficoltà, nel contesto internazionale, a trovare vie adeguate per rispondere ad una situazione che vede sempre più violato il diritto umanitario e l’obbligo che Stati e gruppi ribelli hanno di osservarlo.
Si può dire, perciò, che abbiamo davanti una nuova tipologia di conflitti. Quali sono le conseguenze?
Mons. Tomasi. Abbiamo diverse esplosioni di violenza che esagerano le forme più “tradizionali” di conflittualità, le cui vittime sono in gran parte donne e bambini. Queste guerre provocano esodi forzati di migliaia e migliaia di rifugiati. E la comunità internazionale fatica ad assumersi la responsabilità di accogliere e assistere queste povere persone che subiscono decisioni contro i loro interessi. Ci troviamo quindi di fronte a delle conseguenze che ricadono sulla comunità internazionale, la quale, a sua volta, si trova impreparata o non disposta a gestirle.
Possiamo definirle guerre civili?
Mons. Tomasi. Spesso i conflitti in corso sono guerre civili. Per esempio in Congo-Kinshasa, in Siria e in Mali, sono di fatto guerre civili che coinvolgono altri Paesi, e assumono così una dimensione internazionale. I protagonisti sono gruppi grandi e piccoli che diventano agenti di altri poteri esterni, magari sotto l’etichetta della religione. In realtà c’è quasi sempre una corsa a controllare le proprie risorse e proteggere i propri interessi.
Non mancano, inoltre, gruppi che facendo leva sulla religione, utilizzano, purtroppo, il fanatismo come copertura emotiva e fanno appello alla popolazione in una sorta di motivazione pubblica. La verità è che, con tali manovre, cercano di giustificare la loro sete di potere.
Su cosa bisogna riflettere?
Mons. Tomasi. La governance dei conflitti è una delle preoccupazioni su cui bisogna riflettere, sia da un punto di vista strategico che politico, ma principalmente dal punto di vista etico. Sembra ormai accettata la responsabilità morale di prevenire questo tipo di violenza generalizzata e di trovare forme adeguate di protezione per la popolazione civile. La procedura da seguire è capire quando la volontà globale deve intervenire senza fare danni maggiori. Un aspetto che però non è ancora ben definito né molto oggettivo.
[La seconda parte dell’intervista a mons. Silvano Tomasi verrà pubblicata domani 24 gennaio 2013]