[La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 26 gennaio]

I cimiteri cristiani sono considerati dagli studiosi un vero e proprio archivio della fede. Molte testimonianze cristiane precedenti il 313, anno dell’editto di Milano e della proclamazione dell’esistenza legale della Chiesa come società e del suo diritto ad avere dei beni, sono andate perdute o sono frammentarie. I cimiteri costituiscono, quindi, delle preziose fonti dirette per analizzare e comprendere la vita pubblica e privata dei Cristiani dei primi secoli.

Le catacombe, ad esempio, rappresentano una imprescindibile testimonianza delle usanze dei primi secoli del Cristianesimo. Il nome catacomba fu dato in origine al luogo ove sorge ancora oggi la basilica di San Sebastiano, poiché proprio qui, sull’Appia Antica, l’aspetto particolare del terreno che ospita una profonda depressione, giustifica l’etimologia del termine ad catacumbas (dal greco katà kumbas = presso le cave, dirupi profondi). Questa struttura, costituita da 12 km di cunicoli e gallerie fu scavata in un terreno atto ad accoglierla, formato da tufo e pozzolana, materiale vulcanico morbido e poroso, di facile lavorazione.

Nell’Ottocento, quando cominciarono gli studi archeologici delle catacombe di San Sebastiano, venne rilevata la presenza di tre tipi di sepolture: il loculo, tomba semplice di forma rettangolare che consisteva in una cavità scavata nella parete; l’arcosolio, tomba con arco affrescato, usata per la sepoltura delle famiglie; il cubicolo, camera funeraria simile ad una cappella utilizzata per seppellire famiglie oppure persone che in vita avevano svolto lo stesso mestiere.

Prima di legare il suo nome a quella del martire eponimo, l’area che ospita la crypta del Santo, conobbe una serie di evoluzioni nel corso di quattro secoli di vita. In origine, nel corso del I secolo d.C. e fino all’inizio del II, l’area era costituita da un ampio luogo funerario pagano con tombe ad incinerazione e inumazione; venne infatti adibita una fila di colombari in muratura di cui uno di essi reca la data 69-79 d.C. Durante il II secolo avvenne la prima trasformazione dell’area: le sepolture disposte in fila di colombari furono coperte interamente, lasciando spazio all’edificazione di tre ricchi  mausolei eretti su una zona nota con il nome di ‘piazzola’. I mausolei appartenevano a ricche famiglie pagane e sono stati denominati ‘dell’ascia’ per la presenza dell’immagine di questo strumento incisa sul frontone, degli Innocentiores perché di proprietà di un collegio funeratico che qui seppellì i suoi addetti e di Marcus Clodius Hermes. La scoperta di questi resti, testimonianti sepolture ancora nel II secolo d. C. pagane conferma il fatto che il passaggio dalla fase pagana a quella cristiana, in quest’area, avvenne in modo graduale.  A dare forza a quest’ipotesi vi è la presenza nel mausoleo pagano degli Innocentiores di segni evidenti di commistione pagano-cristiana. Vi si trovano, infatti, simboli cristiani come il ‘pesce’ definito con la parola greca ‘ichthùs’ acrostico di ‘Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore’ che testimoniano una precoce presenza cristiana nella zona.

Terza fase evolutiva del sepolcreto, databile al 250 d. C., presenta l’area della ‘piazzola’ completamente interrata atta ad accogliere un altro luogo di culto a cielo aperto denominato ‘Triclia’, un cortile di forma trapezoidale pavimentato a mattoni, coperto su tre lati da tettoie, costruito al di sopra dei tre mausolei. Questa stratificazione della catacomba di San Sebastiano è di particolare importanza e interesse perché riporta alla luce delle testimonianze significative sulla funzione dell’area. L’articolato palinsesto di graffiti (più di 600) ivi rinvenuto reca, infatti, riferimenti al culto degli apostoli Santi Pietro e Paolo oltre che ai ‘refrigeria’, cerimonie durante le quali si consumava vino, latte e miele, cui si aggiungevano veri e propri banchetti. Allo scopo di organizzare tali cerimonie si adibivano delle cellae, luoghi destinati  alla cerimonia funebre.In molte catacombe, come in quella di San Sebastiano, sono state rinvenute iscrizioni legate a questa pratica e recuperate mensae, lastre di marmo su cui si consumavano i banchetti. Il rito del refrigerium consisteva in un pasto collegato simbolicamente alla morte: suo scopo era quello di portare beneficio all’anima del defunto. Tollerato nei primi secoli, a causa dell’uso smodato che si faceva durante tali cerimonie del vino dal V secolo, il refrigerium fu aspramente avversato dai vescovi, come testimonia Agostino nelle Confessioni: “in luogo di un canestro pieno di frutti terreni s’imparò a portare alle tombe dei martiri un cuore di affetti più puri”.

Per quanto concerne il culto degli Apostoli, chiarificatori sono stati gli scavi effettuati da monsignor Paul Styger nel 1915. In primo luogo si è compreso che l’area denominata ‘Platonia’, dove nel Medioevo si credeva fossero stati sepolti i  Santi Pietro e Paolo, poiché accoglieva un sepolcro bisomo che accreditava l’ipotesi, era stata in realtà in precedenza un mausoleo privato edificato ad opera di una comunità della Pannonia (Ungheria) dove furono deposte le spoglie del martire San Quirino nel 389 d.C.. La denominazione ‘Platonia’ è tarda: papa Damaso alla fine del IV secolo,  fece rivestire di lastre di marmo chiamate ‘platoniae’ l’area che si riteneva accogliesse la cripta degli apostoli Pietro e Paolo. Inoltre le iscrizioni presenti in latino, greco, siriaco e aramaico sembrano tradire la veridicità della presenza di un culto dedicato ai due Santi; secondo la tradizione i loro corpi sarebbero stati collocati durante la violenta persecuzione di Valeriano intorno al 258 d. C. per preservarli da profanazioni.

La cosiddetta ‘Memoria Apostolorum’ sembra essere durata all’incirca cinquant’anni, periodo durante il quale i corpi rimasero all’interno della cripta e successivamente  traslati. Ma se vi sono testimonianze circa il culto dei due Santi, non esiste traccia della presunta traslazione dei corpi, poiché non fu mai ritrovata una vera e propria sepoltura che facesse riferimento a Pietro e Paolo. L’ipotesi si basa sull’espressione “hic habitasse prius” utilizzata da papa Damaso in un suo carme in onore degli Apostoli. La presunta sepoltura dei due Apostoli sarebbe stata ricoperta con l’erezione di un altare, base della Basilica,che inizialmente fu dedicata alla Memoria Apostolorum. La Chiesa che ci si presenta oggi, secondo gli studiosi, abbraccerebbe solo una piccola parte di quella antica: occuperebbe infatti solo lo spazio dell’originaria navata centrale. Di pianta circiforme, tipica delle basiliche cimiteriali, provvista di un’abside a deambulatorio, è probabilmente dell’epoca di Costante (337-350 d. C.).

Alcuni studiosi considerano la Memoria Apostolorum una sorta di cenotafio, interpretando l’edificazione della stessa come un atto politico-religioso della Chiesa romana travagliata da correnti scismatiche causate dai lapsi, quei  cristiani che avendo rinunziato alla propria fede durante le persecuzioni erano  intenzionati a ritornare nella Comunità. Non tutti condividevano però il loro rientro: il culto degli Apostoli avrebbe avuto l’intento di riunire tutti sotto un’unica fede.

Domine quo vadis?