Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente Lettura patristica e spirituale sulle letture liturgiche per il Natale 2013.
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LETTURA PATRISTICA
San Gregorio di Nazianzo,
Carmi autobiografici, XXXII,
PG, XXXVII, 511-513.
Te, anche ora, noi benediciamo,
o Cristo, Parola del mio Dio,
luce da luce che non ha principio,
e dispensatore dello Spirito,
triplice luce che in unico
splendor s’aduna.
Tu dissipasti le tenebre
e stabilisti la luce;
e nella luce creasti ogni cosa,
e fissasti l’instabile materia
nelle forme del cosmo
e nel presente bell’ordine.
Tu illuminasti la mente dell’uomo
con la ragione e la sapienza,
offrendo anche quaggiù un’immagine
dello splendor dell’alto,
affinché con la luce l’uomo veda la luce,
e diventi tutto luce.
Con lumi vari
illuminasti il cielo.
Alla notte e al giorno
comandasti d’alternarsi in pace,
rendendo onore alla legge
del fraterno amore.
Con la notte dai tregua alle fatiche
della molto travagliata carne;
e col giorno svegli al lavoro
e all’opere a te gradite,
affinché, fuggendo le tenebre,
ci affrettiamo verso il giorno,
quel giorno che mai non dissipa
oscura notte.
Tu fa’ che scenda leggero
il sonno sulle mie palpebre,
affinché non troppo a lungo
giaccia la lingua senza lodarti;
e cessi di far eco al coro degli angeli
la tua creatura.
Insieme a te il letto induca
a pie meditazioni;
non rimproveri la notte
qualche sozzura del giorno;
né vani sogni mi turbino,
scherzi della notte.
La mente, invece, pur senza il corpo,
con te parli, o Dio,
e con il Padre e con il Figlio
e col Santo Spirito,
cui sia onore, potenza e gloria
per i secoli. Amen.
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LETTURA SPIRITUALE
Ecco come uno dei più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra di San Francesco d’Assisi quando realizzò il primo presepe del mondo. E’ una scena che si è svolta a a Greccio (Umbria – Italia), nella notte del 25 dicembre 1223.
“C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia”.