Qual è la situazione dei cristiani nella Repubblica Islamica dell’Iran? Quali diritti vengono loro riconosciuti e, al di là dell’aspetto giuridico, qual è il rapporto con la popolazione musulmana?

In Iran, la convivenza pacifica tra musulmani e cristiani è un esempio per tutto il Medio Oriente. Ne è testimonianza anche la relazione antica con la Santa Sede, che risale al XIII secolo e che si realizzava nei costanti confronti politici e diplomatici con congregazioni come i carmelitani e i domenicani. Fa parte degli insegnamenti della nostra religione, del resto, mantenere dei rapporti amichevoli con le tre religioni del libro. Questa tradizione di accoglienza è presente nella Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran, la quale difende i diritti delle religioni del libro e garantisce loro dei rappresentanti nel Parlamento. Infine il programma del presidente Rohani rafforza questa linea politica.

Vi sono incontri bilaterali, ogni due anni, tra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Santa Sede per favorire il dialogo interreligioso. Recentemente è avvenuto un incontro tra il presidente iraniano Hassan Rohani e l’arcivescovo Leo Boccardi, nuovo Nunzio Apostolico in Iran; quali obiettivi comuni sono stati fissati?

È stato sottolineato durante quell’incontro che, oggi più che mai, il dialogo tra Islam e Cristianesimo è importante. Sciiti e cattolici devono conoscersi meglio, per saper individuare i punti che li accomunano. Perché molte incomprensioni nascono proprio dall’ignoranza reciproca. Il terrorismo e l’estremismo sono nostri comuni nemici. Ma è nostro obiettivo comune, invece, dare un contributo alla pace e combattere la povertà, al di là della confessione religiosa e della nazionalità dei poveri.

A suo avviso, quali altre sono le incomprensioni che impediscono talvolta un rapporto sereno tra mondo musulmano e mondo cristiano?

Noi crediamo che tutti i profeti avessero lo stesso obiettivo. Pertanto, se tutti i profeti si trovano a convivere, non ci sarà nessun problema tra loro. Negli ultimi anni non c’è alcuno scontro tra Islam e Cristianesimo, i contrasti cui assistiamo in alcune regioni del pianeta sono di carattere etnico più che religioso. Talvolta, infatti, vi sono conflitti tra persone di una stessa religione.

Ma alcuni ostacoli purtroppo ci sono. Il principale è dovuto ai pregiudizi che ha un gran numero dei credenti nei confronti dei seguaci delle altre religioni, per via di comportamenti sbagliati verso l’altro da parte di alcuni governatori musulmani e cristiani nel corso della storia. Questi eventi negativi avevano una veste religiosa solo in apparenza, ma hanno ugualmente causato contrasti tra alcuni credenti di queste due religioni. Io, da diplomatico e religioso, sono convinto però che i capi religiosi a livello mondiale possono avere un ruolo importante per raggiungere la pace contro le discriminazioni e l’apartheid. Un esempio recente in questo senso ci giunge da Nelson Mandela, il quale, anche se non era un capo religioso, ha rivestito un ruolo importante per la pace in Sudafrica. 

Ricordo infine che tutte le religioni monoteistiche invitano i popoli a credere e praticare nella società la misericordia di Dio.

Quali, invece, le sfide che oggi Islam e Cristianesimo possono affrontare fianco a fianco?

Potremmo stilare una lunga lista. La sfida più importante è però il dialogo per promuovere una cultura di pace che possa contrastare la guerra. In assenza di dialogo, del resto, non può esistere nessuno sviluppo sostenibile e definitivo. La violenza e l’estremismo sono ferite che bisogna curare quanto prima. I capi religiosi di Islam e Cristianesimo possono lavorare insieme per questo obiettivo. Per esempio gli appelli di papa Francesco (di cui abbiamo un gran rispetto) a pregare per la pace, nonché il ruolo da lui svolto per prevenire l’attacco militare in Siria e rafforzare una coalizione di pace nel mondo, insieme all’appello per la pace mondiale del presidente iraniano Rohani durante la sessantottesima assemblea generale dell’Onu, a mio avviso possono creare un fronte per la pace da contrastare al fronte di chi vuole la guerra. Questa collaborazione, se continua con programmi comuni, coinvolgendo tanti capi religiosi attivi nel campo della pace e della giustizia mondiale, può costruire un fronte mondiale delle grandi religioni per la pace. La mia proposta è che siano la Santa Sede e la Repubblica Islamica dell’Iran a costituire questo fronte. L’occasione per muovere un passo importante in questa direzione potrebbe essere il nono incontro interreligioso tra questi due Stati, che avverrà a Teheran nel 2014. Inoltre l’Iran può usare la sua potenzialità politica, in quanto è alla guida del Movimento dei Paesi non allineati - composto in maggior parte da Paesi cristiani cattolici e musulmani - per creare un Forum al suo interno che accolga la collaborazione costruttiva della Santa Sede.

(La prima parte è stata pubblicata ieri, venerdì 20 dicembre)