Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, nella Messa della notte di Natale 2013 nella Basilica San Marco.
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Carissimi,
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12).
In questi versetti del Vangelo di Luca è compendiato il senso della notte santa e del Natale.
Così la santa notte ci pone dinanzi a un’immagine inedita di Dio. Di fronte al Dio onnipotente, che tutto pone sotto di sé, ci troviamo di fronte al Dio bambino che ci viene incontro domandandoci aiuto, bisognoso – com’è – di tutto.
Nel Natale Dio si rivela in modo inedito e la sua maniera inaspettata di presentarsi mette in crisi anche il nostro modo d’essere uomini; questa è la prima richiesta della conversione cristiana.
Dio, in un certo senso, si pone in questione e, così facendo, mette in questione l’uomo.
Noi uomini siamo sempre alla ricerca dei segni della grandezza, della potenza, del dominio e ci sembra logico che tali segni si manifestino anche nell’incontro con Colui che è la stessa Grandezza, la Potenza, il Dominio.
Al contrario, nella notte santa, risuonano con la loro forza dirompente le parole del profeta Isaia: “ …i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55, 8-9).
L’attesa che ci ha accompagnato nel tempo d’Avvento è stata la condizione perché questa notte non sia solo un tempo d’emozioni e sentimento ma, piuttosto, lo spazio del nostro incontro col Signore.
Chi realmente vuole incontrare il Dio bambino che viene deve sapere che l’appuntamento è presso una stalla – il luogo di ricovero degli animali – e con tutto ciò che questo comporta in termini di comfort, ordine, pulizia e privacy.
Lì troverà – convocati dagli angeli – i pastori, ossia coloro che nella Giudea del I secolo dell’era cristiana occupavano l’ultimo gradino della scala sociale e, comunque, non uomini e donne di cultura, non raffinati opinion leader, vestiti in abiti firmati.
Troverà, poi, due persone socialmente insignificanti: una fanciulla, poco più che adolescente, proveniente da un insignificante villaggio della “pagana” Galilea: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Queste furono le parole con cui il futuro apostolo Bartolomeo rispose all’invito che Andrea gli rivolgeva d’incontrare l’atteso Messia, Gesù di Nazareth.
E, alla fine, incontrerà Giuseppe, lo sposo di Maria, un operaio-carpentiere che si guadagnava la vita in una piccola bottega artigiana di villaggio.
Siamo, così, avvisati circa la “compagnia” che troveremo ma, soprattutto, circa le persone che Dio ha voluto scegliere come compagni di strada nell’atto d’entrare nella storia, ossia gli ultimi.
La vita di Gesù e il suo Vangelo saranno solo l’esplicitazione fedele e consequenziale della logica della notte santa di Betlemme, in cui Dio appare divinamente al di là e oltre le scelte degli uomini.
Ecco l’alterità di Dio, ossia il suo essere “altro”, divinamente “oltre” l’uomo e la sua logica, che risulta così scontata e così ripetitiva.
Per gli uomini, la grandezza è avere qualcosa di più degli altri, qualcosa che gli altri non hanno ancora oppure qualcosa contro gli altri.
La grandezza per Dio – ce lo fa intendere proprio la santa notte di Betlemme – consiste nell’entrare nelle profondità delle povertà umane e, facendosene carico, risanarle con l’Amore che rigenera.
Dio ci aiuti, in questa santa notte, a comprendere la grande lezione del Natale, il Dio che si fa bambino rendendosi bisognoso di tutto e, così facendo, sembra mettere in questione il suo modo d’essere Dio ma, in realtà, pone in questione il nostro modo d’esser uomini.
Con questo spirito e secondo tale sapienza rileggiamo la seconda lettura di questa liturgia della notte: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tt 2,11-14).
A tutti l’augurio di un santo Natale che sia vera partecipazione alle scelte di Dio, nello stile della notte di Betlemme.
Il santo Bambino vi benedica!