Individuo di natura razionale, ovvero chi ha tre requisiti: essere individuo e non “parte di un individuo”, essere vivo e possedere in potenza (come per un embrione o un disabile mentale umani) o in atto (come per un adulto sano) una natura razionale; un animale non è persona, perché non ha in sé la natura razionale.
Realismo
Il termine indica l’individuo, perché era il nome con cui i romani indicavano la maschera che era usata nei teatri e faceva risuonare (“per-sonare”) la voce dell’attore. L’idea di persona è sconosciuta nelle epoche antiche, dove nella società esisteva una divisione netta in “civites” e barbari o servi. Una simile divisione persiste ancora in certe culture come ad esempio quella Indu. Ma col cristianesimo entrò l’idea del comune stato di “figli”, e di conseguenza un livello di uguaglianza mai visto prima. Ben viene la definizione di Boezio che spiega che “persona” è la “individua substantia naturae rationalis”, che ben mostra che per essere definiti persona servono tre presupposti: essere vivi, essere individui (e non parte di un individuo come può essere un braccio o il cuore) e essere partecipi della natura razionale, quindi del genere umano.
La ragione
Perché oggi si divide in “persona “ e “non persona”? Perché è iniziato di nuovo il tentativo di stigmatizzare alcuni esseri umani; non potendo disconoscere che sono esseri umani, si cerca di far intendere che sono “umani” ma non sono “persone” sulla base del fatto che mancano di “autonomia”, cioè di capacità di autodeterminazione che oggi è il sommo ideale. Paradossale è che per alcuni filosofi consequenzialisti, accanto agli “umani non persone” esistono i “non umani-persone”, cioè quegli animali che hanno un livello individuabile di vita sociale e di empatia. Siamo di fronte ad un’erosione dei diritti umani che non è più basata su razza, religione o sesso, ma sulla semplice capacità di far valere i diritti. Dunque bambini e feti, disabili mentali, anziani con grave malattia senile vengono estromessi dal novero delle persone. Proprio nell’epoca in cui si richiamano i diritti civili (per chi li sa reclamare) vengono tolti i diritti umani a chi non può reclamarli.
Cosa implica nel nostro giudizio? L’idea di una società divisa di nuovo in classi o caste, che sono però fluide, sulla base dell’accettazione degli individui della classe B da parte degli individui della classe A. Su questa divisione si basa il diverso trattamento sanitario che ricevono disabili mentali (come denunciato al Parlamento inglese di recente) o neonati, per non parlare di feti e embrioni; sul concetto di non essere persone, e quindi non avendo autocoscienza, dei filosofi sostengono che i bambini fino all’anno di vita non percepiscono il dolore come l’adulto, cosa che è smentito dal punto di vista fisiologico.
Il sentimento
E’ così ovvio che un bambino o un disabile è una persona, che viene da domandarsi come si possa sostenere il contrario; e perché. Forse una spiegazione viene dalla stanchezza, dalla disillusione di non poter salvare tutti che porta a teorizzare che solo alcuni meritino di esser salvati. Oltretutto, non considerare persone qualche esser umano, porta ad una cattiva cura nei suoi confronti o perlomeno al non sentirlo come urgente, con ripercussioni che paradossalmente si vedranno quando quella “no-persona” sarà alla fine accettato tra le “persone” (per riconoscimento sociale, per superamento della malattia) ma avrà le conseguenze del cattivo trattamento che avrebbe evitato se fosse stato trattato alla pari degli altri. L’idea della divisione tra persone e non-persone in sé è un’idea postmoderna, cioè dell’epoca che più che l’evidenza scientifica (che in base alla genetica riconosce l’uguaglianza degli uomini) fa valere il parere personale. Il problema non è allora discutere su chi è persona perché è accettare già che una divisione “esiste”, ma su cosa è persona, cioè su cosa è l’uomo.
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