Ahmed ha un difetto congenito: il nanismo ipofisario, con il quale è costretto a confrontarsi sin dalla nascita. Da circa 8 anni soffre anche di acondroplasia displasica e coxartrosi femorale bilaterale, con aggiunta di osteonecrosi. In termini meno ‘tecnici’, con il passare degli anni l’uomo, progressivamente, ma inesorabilmente, si sta paralizzando. I medici, italiani, tergiversano. Operarlo? Troppo difficile. Troppo rischioso. E soprattutto, secondo loro, con scarsissime probabilità di successo. L’unica è aspettare l’inesorabile. Ma lui non ci sta. Da sé si mette in cerca di soluzioni. Gira l’Europa. Trova chi lo opererebbe. Tra l’altro con un trattamento all’avanguardia e innovativo. Ma il prezzo, per lui, da solo, e per le sue finanze, è veramente elevato. Così, di nuovo, si ingegna: con l’aiuto di amici e conoscenti crea “Un bacino per Ahmed”, una campagna di fundraising, completamente digitale e social, per intraprendere una corsa contro il tempo e contro il suo destino. Ma anche per dar battaglia al sistema per il quale, per lui, non vede nessunissima speranza. Lo abbiamo incontrato. Per tentare di capire da dove gli viene tutta la sua incredibile forza d’animo, ma anche per riflettere su alcuni principi inalienabili che sembrano messi in discussione nella sua storia.
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Chi è Ahmed Barkhia? Quale il tuo più grande desiderio?
Ahmed Barkhia è un sognatore che ama la vita. Sin da piccolo ho sempre cercato di realizzare ogni sogno che avevo, ponendomeli come obbiettivi di vita. Mio padre mi diceva sempre: “Se prendi uno stuzzicadenti, lo puoi spezzare facilmente. Se ne prendi cento insieme, malgrado siano tutti fragili, non riuscirai mai a spezzarli”. Così, a parte guarire dalla mia patologia, il mio più grande desiderio è di vivere in un contesto dove le persone sono legate tra loro da un senso di responsabilità sociale, reale e tangibile, che a sua volta alimenti la fantasia di ciascuno. In una sorta di circolo virtuoso che definirei naturale. Questo porterebbe ad una grande evoluzione dell’umanità. Ne sono convinto.
Cos’è la tua patologia? Cosa comporta?
Da circa 8 anni soffro di osteonecrosi. Questa patologia aggredisce il tessuto osseo, togliendogli l’ossigeno. Questo, alla lunga, porta alla morte del tessuto stesso, rendendolo molto debole. Il risultato è che l’osso si sfalda lentamente, non potendosi più rigenerare.
Da anni ti incontri-scontri con tanti tipi diversi di dottori, sia in Italia sia all’estero. Raccontaci, cosa ti hanno detto gli uni e gli altri?
Sono stato visitato da moltissimi medici in questi anni. Praticamente ho visitato più strutture ospedaliere che musei. Ho iniziato questa trafila partendo da Roma, passando per Bologna, Milano e tante altre città. Ogni volta in cerca di risposte. Spesso mi sono sentito dire: “Tu cammina finché puoi, quando non ce la fai più allora operiamo e mettiamo una protesi d’anca. Quando non potrai più muoverti (omettendo l’estremo dolore) ti mettiamo in lista d’attesa e nell’arco di un anno ti operiamo, ecc”. Qualcuno proponeva terapie alternative e sperimentali per eliminare o rallentare il problema. I risultati, però, erano pietosi. Per non parlare dell’enorme spesa economica che ho dovuto affrontare. Ad un certo punto allora ho deciso: le risposte che avevo ricevuto non erano soddisfacenti. Così, ho iniziato a cercare fuori dall’Italia, passando per Parigi, Londra ecc. Infine sono giunto a Cambridge. Qui, finalmente, ho saputo di poter risolvere questo mio problema in Belgio. Ho incontrato il dott. Koen De Smet, un luminare a livello mondiale nell’ortopedia, con specializzazione nelle ossa del bacino. Grazie al dott. Alessandro Calistri, suo discepolo, l’ho incontrato a Roma per farmi visitare. L’esito era drammatico: era passato troppo tempo dall’inizio della patologia. Se avessimo agito nel passato, avrei potuto risolvere il problema, debellandolo completamente, attraverso un’operazione chirurgica non invasiva. Ma oggi, purtroppo, lo stato avanzato dell’osteonecrosi, non permetteva altroché una sostituzione completa dell’anca. In più, in tutte le visite che avevo finora sostenuto, chiedevo sempre: potrò tornare mai ad essere uno sportivo? L’ho chiesto anche al dott. De Smet. E per la prima volta dopo anni ho sentito una risposta positiva. Le tecnologie applicate che mi proponeva, infatti, garantiscono un risultato superiore al 78%. Credetemi: ero commosso! Ma ecco subito l’ostacolo: il costo dell’intervento. Il trattamento è possibile solo in Belgio, a Ghent, presso una clinica privata. Con costo complessivo di 75.000€. Senza contare il fattore tempo: entro e non oltre il prossimo novembre, per poter garantire un trattamento efficace al fine di non intaccare in modo profondo l’equilibrio del corpo e quindi per non perdere comunque la mobilità.
Così, nella tua mente, inizia a ronzare “Un bacino per Ahmed”. Di cosa si tratta?
Inizialmente, ho creato una campagna di fundraising su una piattaforma americana, ma questo non bastava. Ho capito che, da solo, non avrei mai potuto raggiungere una cifra così elevata e in così poco tempo. Così ho pensato: devo coinvolgere i miei amici! In 10 giorni ho creato un mini-staff. Con loro, abbiamo avuto alcune idee incredibili, come i video virali di “#UNBACINOPERAHMED” in cui le persone, dopo aver donato, mandano un video in cui sostengono della raccolta fondi. Tra questi anche personaggi dello spettacolo. Nonostante tutto, ahimè, oggi come oggi, le donazioni sono ancora un po’ intermittenti. Il problema, credo, sia la mancanza di sensibilizzazione e condivisione del problema. Le persone guardano, cliccano, ma non agiscono, in termini di donazione. Per questo, sempre su suggerimento del “mio staff”, sto cercando di essere presente in molti eventi in cui posso parlare direttamente con le persone. Così, per esempio, durante lo SteamFest Roma ho raccontato la mia storia, seguendo il tema proposto dalla Fiera. Il risultato sono stati 500€, in meno di 18 ore!
Una domanda un po’ pungente… In base alla tua esperienza, diresti che la salute è oggi, per la nostra società, un bene squisitamente individuale e che ognuno deve accettare che l’unica soluzione è far da sé? Oppure, nonostante tutto, affermeresti che la salute e la sanità pubblica, oggi, sono un diritto per tutti?
Sicuramente il diritto di accedere alla sanità pubblica esiste. Ma non quello di poter accedere sempre all’eccellenza. Tutti noi possiamo usufruire del servizio sanitario nazionale. Che, tra l’altro, su alcuni fronti presenta delle eccellenze, ma su molti altri un’arretratezza spaventosa. In tal senso, credo che il nostro sistema non possa definirsi equilibrato. Oggi le stesse possibilità non sono presenti in tutti i campi sanitari. Ma, mi rendo conto, questo significherebbe scardinare un sistema ormai radicato da anni. Per me, il sistema delle raccomandazioni funziona bene quando si riconosce un valore ed una validità sul campo. Non funziona invece quando il figlio del medico deve fare il medico. Anche perché poi, malgrado il risultato, spesso pietoso, questo accede ad alcune posizioni per cui si trova a decidere della vita dei pazienti! Oggi come oggi, accedere in una struttura pubblica e risolvere un problema è diventato un terno al lotto! È incredibile che nel 2014 si senta ancora parlare di interventi sbagliati, mancanza di igiene, incompetenza sul campo e soprattutto tagli alla ricerca! Per questo, inevitabilmente, è sempre più diffuso il ricercare la soluzione in modo individuale, in centri di eccellenza privati, come nel mio caso.
Ahmed, tu, con la tua storia, stai dimostrando che non solo è possibile contrastare una malattia, ma anche che, unendosi, le persone possono cambiare lo stato delle cose. Vedi, quindi, il tri
ttico singolo-ingegno-reti sociali come la risposta necessariamente moltiplicabile al disgregamento dell’occidente industrializzato?
Assolutamente si! Solo insieme agli altri, avendo un’idea e soprattutto credendo in se stessi, possiamo vincere. È vero: la società occidentale si sta disgregando in modo massiccio da non più di dieci anni, ma penso che singolo-ingegno-rete sia una specie di “evoluzione naturale del sistema”, se così la si può chiamare.
Infine, cosa vorresti dire a chi, come te, sta conducendo una lotta impari contro il tempo e una qualsiasi malattia?
Dal profondo del cuore vorrei dire di non smettere mai di sorridere. Perché il sorriso ci permette di stare sereni malgrado il buio che è intorno a noi. Perché è contagioso ed è un fortissimo strumento di socializzazione. Perciò, vi prego, sorridete sempre! Qualcuno sorriderà sicuramente con voi! Poi cercate di fare come gli stuzzicadenti del motto di mio padre. Spero che questo vi ricordi sempre, come accade a me, l’importanza della responsabilità sociale. Se lo vogliamo tutti si possono veramente cambiare le cose.