Prima Lettura Nm 21,4-9
“In quei giorni, … 8 Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». 9 Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.”
Il serpente di bronzo, per i TG, tecnicamente è una “immagine”. E per giunta la Bibbia dice che Dio aveva associato la propria azione salvifico-terapeutica per chi, morso da serpenti velenosi si rivolgeva a detta immagine aspettandosi l’aiuto divino. La NM non distorce in nulla il senso della traduzione di questo brano salvo dire che il serpente era “di rame”. Un commentatore spiega: “… è importante cogliere il significato di questa realtà simbolica: Dio agisce nella storia umana attraverso ‘segni’, attraverso mediazioni. Questa è la visione ‘sacramentale’, comune alla fede ebraica e cristiana, e ben colta già dall’autore del libro della Sapienza, che così interpreta: “Chi si volgeva a guardarlo era salvato non per mezzo dell’oggetto che vedeva, ma da te, salvatore di tutti”. (Sap 16,7).” (1) Ciò che quindi rendeva lecito l’uso di quella “immagine”, nel rapporto cultuale tra la creatura e Dio, era il fatto che il referente diretto dell’atto di culto era Dio stesso e non lo strumento di mediazione. Infatti allorquando in seguito il popolo, tentato, oggi come allora, dalla tendenza magica di “cosizzare” e “imprigionare” la divinità e il suo potere in oggetti che possono essere posseduti, trattò quel serpente da idolo, allora il re Ezechia lo fece frantumare (cf 2Re 18,4). Quindi non è vero che Dio sia contro le immagini; oltretutto nel tempio e sopra l’arca fu Lui a volere immagini di cherubini; e Gesù stesso, nella sua umanità, è stato definito da S. Paolo “immagine del Dio invisibile” (Colossesi 1,15). Dio è bensì avverso ad ogni immagine che sia trattata da idolo, cioè come oggetto che usurpa il ruolo dell’Altissimo, gli sottrae l’onore dovuto e abbrutisce l’uomo verso uno sciocco materialismo. Il discorso di “mediazione” va ovviamente applicato: a) sia alla croce, che propriamente parlando non è “adorata” ma venerata; si parla di “adorazione della croce per sineddoche, come simbolo del Crocifisso che essendo Dio merita vera e propria adorazione; b) sia a Gesù stesso che, nella sua umanità di Verbo incarnato, è icona e sacramento di Dio uno e Trino; c) sia – di nuovo come venerazione – alle immagini e statue se e in quanto viste come referenti delle persone che rappresentano; d) le quali persone (angeli e santi) meritano venerazione perché membri del Corpo di Cristo, campioni da Dio donatici come amici da emulare e che, vivi nella gloria, collaborano alla nostra salvezza. Al TG va fatto notare che, in patente contraddizione con la idiosincrasia per le immagini (perfino di un cammeo su scarpe da donna, ci è stato riferito!), le riviste della WT ne fanno uso didattico abbondante. Un uso che essa giustifica appunto in quanto referenziale. E allora? Un po’ di coerenza non guasterebbe.
Seconda Lettura Fil 2,6-11
“Cristo Gesù, 6 pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / ma svuotò se stesso…”
Questo splendido testo – ritenuto parte di un antico inno cristologico – che inneggia alla divinità del Figlio sia nella sua condizione spirituale preumana che in quella assunta nella carne, eternamente associata alla sua vita di risorto, lo abbiamo già incontrato. Esso ci è stato proposto dalla Liturgia della Domenica delle Palme domenica 13 aprile scorso, seconda Lettura (cf ZENIT dell’8 aprile 2014) e lo abbiamo commentato ampiamente. E’ sempre lo stesso in tutti e tre i cicli dell’Anno Liturgico. Perciò qui ci limitiamo ad aggiungere autorevoli versioni che confermano l’interpretazione cattolica circa la divinità posseduta dal Figlio in senso forte; divinità concessa ma equivocamente dalla WT che nella parola “dio” vede espresso solo il concetto di “potenza” così da sostenere equivocamente, in Giovanni 1,1, che il Verbo è “un dio” ma appunto nel senso riduttivo di un potente, qualifica che poi viene di pari passo attribuita a Satana e angeli ribelli. E così viene pure equivocato il concetto di “natura divina” inteso a significare solo il possesso di un “corpo spirituale” di tipo angelico. Conclusione paradossale: il Figlio di Dio avrebbe natura divina e sarebbe anche dio ma senza essere Dio in senso proprio. (2). Una sorta di “qui lo dico e qui lo nego”?
Vangelo Gv 3,13-17
“In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: 13 «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.”
Questo “innalzamento” del Figlio di Dio, posto in parallelo al simbolo del serpente, esprime la valenza salvifica della Croce. Essa perciò è stata vista teologicamente come la “vendetta” di Dio misericordioso contro l’albero edenico della vita, trasformato in albero di morte dal peccato dei progenitori. Così, per contrapasso, Dio ha trasformato la croce strumento di morte in nuovo albero che dona la vita. Manca purtroppo lo spazio per citare gli splendidi inni liturgici in onore della Croce-Crocifisso ma confidiamo che in questo giorno di esaltazione della Croce i lettori di ZENIT sappiano trovarli on-line e farne oggetto di commossa e pensosa meditazione-preghiera di lode e ringraziamento. Ricordiamo infine che abbiamo già accennato alla incongruenza del geovismo nell’aver esortato i fedeli a venerare la croce per oltre 50 anni, portandola come segno distintivo, raffigurata in una spilla dentro una corona regale e di alloro per poi demonizzarla, verso il 1930 come simbolo pagano. Questo ripensamento, secondo noi, dovrebbe stimolare nei TG riflessivi la domanda: ma quella venerazione, ora definita idolatrica, non veniva insegnato che proveniva da Geova che trasmetteva la verità tramite il suo Canale esattamente come fa oggi? E altra più severa riflessione dovrebbero fare i TG di fronte al tentativo (maldestro) della Betel di Roma di far credere loro che la parola greca kylon, usata dal Vangelo per indicare il patibolo di Gesù, non significasse “croce” ma “palo”. (cf su L. MINUTI, I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia, Coletti pp. 103-112).
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NOTE
1) CLAUDIO DOGLIO, in Servizio della Parola settembre/Ottobre 2014 p. 83-84 e 88
2) – “6 Egli era come Dio ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio…” (Bibbia TILC, Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente).
– “6 Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; …” (CEI 1974)
– “6 egli, essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio, …”. (Nuovissima Versione della Bibbia)
– “6 che, in forma di Dio esistente, non rapina reputò l’essere uguale a Dio, …”. (traduzione interlineare del Bigarelli in Nuovo Testamento Interlineare, greco, latino, italiano)