"Va combattuta l'equazione tra immigrazione e criminalità!"

Il cardinale Vegliò mons. Kalathiparambil presentano in Sala Stampa vaticana il Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2015

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“Le migrazioni rappresentano un fenomeno complesso a causa del loro legame con tutte le sfere della vita quotidiana, ed è per ciò che, a volte, sono così difficile da gestire”. Così il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha introdotto oggi, in Sala Stampa vaticana, il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2015.

Oltre al porporato, alla presentazione del documento pontificio – dedicato al tema “Chiesa senza frontiere, madre di tutti” – erano presenti anche mons. Joseph Kalathiparambil, Segretario del Dicastero, e il portavoce vaticano padre Federico Lombardi.

Il cardinale Vegliò ha esordito facendo notare che il Papa ha pubblicato il suo messaggio lo scorso 3 settembre, data del centenario dell’elezione di Benedetto XV, sotto il cui pontificato “la Sacra Congregazione Concistoriale inviò agli Ordinari Diocesani Italiani la lettera circolare Il dolore e le preoccupazioni, in cui per la prima volta si chiedeva di istituire una giornata annuale di sensibilizzazione sul fenomeno della migrazione e di promuovere una colletta per le opere pastorali per gli emigrati Italiani e il sostentamento economico di un Collegio, fondato a Roma qualche mese prima dal San Pio X, per la preparazione dei missionari d’emigrazione”. Quest’anno ricorre pertanto il centesimo anniversario dell’istituzione della Giornata Mondiale del Migrante.

Riflettendo poi sul Messaggio, il cardinale ne ha delineato i punti focali: il fenomeno delle migrazioni forzate e quelle caratteristiche di universalità e maternità che la Chiesa dedica soprattutto alle “vittime delle nuove forme di povertà e di schiavitù”, in cui si identifica il volto di Cristo.

Dopo aver compiuto per millenni il mandato alla “missionarietà” consegnatogli da Cristo, la Chiesa – ha ribadito Vegliò – si trova oggi ad affrontare nuove e particolari sfide viste le dimensioni che il fenomeno migratorio va sempre più assumendo. Se da un lato però emerge l’agire materno della Chiesa, che rivela “la sua vocazione di speciale sensibilità verso tutti”, dall’altro, in un’epoca di migrazioni senza precedenti, si evidenzia “la tendenza a vedere l’immigrato straniero con sospetto e paura”.

Un “doloroso approccio”, questo – ha sottolineato il cardinale, riprendendo le parole del Papa – “che non manca, a volte, anche nelle nostre comunità ecclesiali” e che si rinfervora “soprattutto quando alcuni tra i migranti si rendono protagonisti di irregolarità o, addirittura, di delinquenza”.

È qui che nasce “l’equazione tra immigrazione e criminalità”, ha osservato, che “va combattuta per la sua genericità e per l’ingiustizia, che alimenta una mentalità di discriminazione e di paura ingiustificata”. Certo è che se i migranti sono delinquenti, ha aggiunto Vegliò, “devono essere espulsi”.

Tale discorso, tuttavia, non è mai valido per i rifugiati, persone che fuggono dai drammi delle loro terre. “Ad una persona che è scappata dall’Iraq, ad esempio, con tutto quello che sta succedendo, come fai a dire torna in Iraq?”, ha dichiarato ai giornalisti il porporato a margine della conferenza.

E “in un clima così preoccupante – ha quindi domandato – come risponde la Chiesa?”. Essa risponde con i tre orientamenti posti in luce dal Santo Padre: una più stretta collaborazione tra i diversi organismi ed istituzioni che operano nel campo dell’emigrazione; l’umanizzazione delle condizioni dei migranti e l’impegno nella creazione di condizioni che garantiscano una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale.

Tutto questo perché i migranti – ha ribadito il porporato – “hanno un posto privilegiato nel cuore della Chiesa perché sono quelli che hanno più bisogno, sono i più vulnerabili”.

Proprio su questo punto si è soffermato l’intervento dell’arcivescovo Kalathiparambil, che ha evidenziato come la severità delle norme che regolano i viaggi internazionali, insieme al mancato possesso di validi documenti di viaggio, rendono i richiedenti asilo “vulnerabili, indifesi, vittime in cerca di protezione e facili prede dei contrabbandieri e di trafficanti”.

Il Segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti si è poi soffermato sul tema della multiculturalità della società contemporanea. Un fattore in continua evoluzione, che rende necessario orientare una rinnovata consapevolezza sulle migrazioni forzate che rappresentano per queste persone una fuga verso la salvezza. Anche a costo di imbarcarsi in viaggi in condizioni pericolose, che mettono a rischio la loro stessa vita. Per loro – ha sottolineato Kalathiparambil – “questo è l’unico modo per accedere a un Paese in cui si possono trovare protezione e la possibilità di vivere con dignità”.

Sulla scia di Papa Francesco e del cardinale Vegliò, il presule ha quindi ribadito che “gli Stati sono chiamati a collaborare con spirito di solidarietà internazionale per rispondere concretamente al riconoscimento del bisogno di protezione, per restituire dignità umana ai rifugiati e curare le cause della mobilità forzata”. Intanto la Chiesa, ha soggiunto, continua ad adoperarsi affinché “siano sempre tutelate la dignità e la centralità della persona umana, valorizzando la solidarietà e il dialogo tra i popoli”.

In ogni caso la vera sfida oggi – ha concluso Kalathiparambil – è quella di “non abituarci ai drammi umani vissuti dalle persone forzatamente dislocate e a non far prevalere l’indifferenza”.

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ZENIT Staff

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