Storia di un cappuccino del XVI secolo

Riflessioni sugli scritti di fra Tommaso da Olera (1563-1631)

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1. Considerando le dimensioni della cultura, come viene generalmente intesa, se ne scoprono facilmente i limiti. La mente umana, che lascia la sua impronta specialmente nel progresso di scienze, medicina, tecnica, forse meno di arte, architettura e musica, è aliena dall’approfondire quanto sorpassa ciò che già gli antichi consideravano come metafisico. La cultura contemporanea fatica ad entrare in tale dimensione, pur conscia dei propri progressi in tanti settori. Non così quando ritiene di riflettere sulle finalità ultime della vita e in quel mondo riservato che ci viene offerto dalla rivelazione cristiana: non si tratta solo di speculazione filosofica in un ambito sorprendente quale è quello del divino, ma si entra pure in una dimensione inimmaginabile come il poter comunicare direttamente col divino. La mistica ci aiuta ad entrare in tale dimensione, dove si possono incontrare dei protagonisti, i quali, al di là delle loro proprie capacità inventive, testimoniano un mondo superiore al comune che procede oltre l’esperienza pur usando sempre i sensi umani per esprimersi.

Queste considerazioni sorgono riflettendo a proposito di personaggi impegnati nell’ascesi cristiana, e ancor più nella vita mistica, come il cappuccino fra Tommaso da Olera, vissuto tra il 1563 e il 1631, sconosciuto ai più, ma non agli esperti del settore. Essere allora religioso laico, era segno del non aver potuto studiare ed essere solitamente addetto alla vita domestica dei conventi, oltre a quel genere di presenza francescana come l’andare tra la gente, questuando. Con sorpresa, però lo troviamo autore di scritti di ascesi, di mistica cristocentrica, predicatore ricercato e in relazione con personalità nobili del Tirolo asburgico. Quantomeno occorre ritenerlo persona intelligente e, al tempo stesso, aperto a dimensioni ascetiche di notevole livello. È anche vero che è proprio il Vangelo ad insegnare come, a tale proposito, vengano scelti i semplici e gli umili: sono costoro che sono chiamati a conoscere verità di contenuti eccellenti da comunicare poi non solo ai loro contemporanei. In tal modo si può subito notare come tali loro doni non vengano da loro stessi, ma attraverso di loro.

Data la povertà della famiglia fra Tommaso non aveva potuto compiere gli studi regolari, ed era entrato tra i francescani della riforma cappuccina come frate  laico, per cui il suo compito quotidiano era quello ricordato del questuante. Il seguito delle sue vicende, soprattutto dopo il periodo passato dal 1619 alla morte nel 1631, nel convento di Innsbruck, nel Tirolo settentrionale, là destinato per interessamento dell’arciduca Leopoldo V d’Austria (1586-1632), confermano doti di carattere altamente ascetico, spirituale, mistico. Infatti dalle testimonianze raccolte da un suo amico, il medico trentino Ippolito Guarinoni (1571-1654), e dai confratelli, viene ricordato come operatore di grazie e di miracoli, come scrutatore e consigliere di coscienze, pacificatore di famiglie, operatore di conversioni, dotato di un accentuato carisma profetico. L’aspetto che lo qualifica in campo perfino letterario è quello tratto dai suoi scritti, dove pone al centro del proprio messaggio e quindi del suo insegnamento l’amore di Dio per l’uomo e il Cuore di Cristo. Al riguardo, è chiaro il riferimento alla scuola francescana di spiritualità, che con s. Francesco volle riferirsi direttamente al Vangelo, accentuando l’attenzione per l’aspetto divino e umano del Figlio di Dio. La spiritualità cristocentrica verrà ripresa lungo la stessa tradizione francescana sottolineando sempre nuovi aspetti, compreso quello del Cuore di Gesù trafitto, ma risorto appunto a Pasqua, e pertanto vivo in seno alla Trinità. Si entra ovviamente nel mistero, quale è quello di un cuore umano che vive in Dio  e che continua a mostrare il suo amore per gli uomini.

2. Solitamente nelle apparizioni del 1675 di santa Margherita-Maria Alacoque (1647-1690), suora francese della Visitazione nel convento di Paray-le-Monial, viene riferito che il Signore le affidò il compito di far conoscere il suo amore per gli uomini, oltre la sua tristezza per le ingratitudini e le indifferenze che riceve, e il desiderio di vedere istituita la festa liturgica del Sacro Cuore. Appunto da tale evento si svilupparono nuove forme di attenzione verso tale messaggio dottrinale con forti connotazioni devozionali: in altre parole, l’approfondimento della dottrina dell’amore di Dio per l’uomo doveva trovare il proprio corrispondente nell’amore del cristiano per il Cuore di Gesù. Questo però è lo stesso grande impegno che si riscontra nella spiritualità e nella mistica di fra Tommaso già cinquant’anni prima: cioè la sua pietà, la sua devozione, la sua contemplazione del Cuore di Cristo come centro della vita spirituale, tale da trascinare  pure l’indifferenza dei cristiani. Si è scritto che fra Tommaso avrebbe anticipato suor Alacoque. È difficile pensare che la religiosa francese abbia conosciuto fra Tommaso e i suoi scritti, ma la consonanza tra i due mistici induce a tornare alla fonte di tali ispirazioni. Chi muove la volontà verso il bene deve pure avere un suo disegno, quale quello di elevare l’umanità attraverso le vie accidentate della vita, muovendo i piccoli  e gli indotti ancor prima dei maggiormente dotati.

La scuola teologica cristiana vede gli interventi di Dio nei confronti dell’umanità, da quello della creazione dei progenitori in poi, come espressione di una misericordia impensabile se la si misura con le negative risposte avute. L’atteggiamento umano nei confronti del divino si può scoprirlo nel Vecchio Testamento, ma con l’incarnazione del Salvatore non sono mancate le occasioni, anzi i necessari  interventi in modo, per dir così, suppletorio rispetto ai princìpi, alle disposizioni, agli aiuti offerti già a partire dalla creazione dell’umanità. Secondo la teologia cristiana i grandi interventi spirituali che si notano lungo i secoli, volti soprattutto a dare indirizzi nuovi e innovatori nella vita spirituale, non sono mancati. Si possono ricordare l’approfondimento dottrinale dei misteri cristiani avvenuti con i Padri della chiesa e con la scolastica medievale, l’incremento del culto eucaristico, i grandi ordini mendicanti francescani e domenicani, dopo quelli secolari del monachesimo orientale e occidentale, i fenomeni mistici del Cinquecento spagnolo, la stessa ripresa religiosa avvenuta col concilio di Trento. Così di fronte all’approfondimento manifestato dai nostri mistici del Seicento, fra Tommaso compreso, ci si può chiedere se i protagonisti più o meno conosciuti di  nuove forme di spiritualità  non siano espressione di sempre nuovi interventi dello Spirito di Dio a vantaggio di una umanità incredula. Si direbbe che occorra provvedere in forme costantemente nuove ed offrirle anche agli indotti per sottolineare come la loro fonte sia parte di un disegno che non ha cessato di manifestarsi lungo i secoli. Tali interventi di carattere ispirato e mistico non sembrano iniziative completamente personali, anche se  intervengono attraverso di loro, per cui alla fine ci si rende conto che il disegno iniziale a beneficio dell’uomo torna a manifestarsi in modi diversi pur sempre efficaci.

Qui il discorso si distanzia da quello che riguarda fra Tommaso, il quale procedeva in un proprio itinerario probabilmente indicato dalle circostanze, dagli eventi, dagli incontri offerti al suo operato. Nel sud della Germania protestante e a nord di Trento (città del concilio), il problema del momento era appunto quello di conservare la fede cattolica nelle popolazioni che erano minacciate di perderla, per cui  si capisce il significato dei suoi scritti, come Selva di contemplazione, dove inizia la propria riflessione partendo dalla Sacra Scrittura.

Mentre Lutero ne aveva offerto un testo in una lingua comprensibile ai suoi contemporanei, appunto in tedesco, il nostro cappuccino, pur indotto e a mala pena capace di analizzare i testi, si sentiva in grado di offrire una rivisita
zione di vita, morte, resurrezione, ascensione al cielo del Salvatore e della sua Madre, dedicando il testo all’arciduchessa d’Austria, sposa di Leopoldo, arciduca d’Austria e Tirolo. Ne spiegava pure la ragione col voler “infiammare la volontà e muovere l’affetto, per innamorarsi e trasformarsi in questo nostro vivente Dio”, consapevole della possibilità con il suo scritto di “sollevarli con lo spirito alli eterni e increati beni meditando, contemplando, gemendo e lacrimando la vita, la passione e morte del nostro Redentore” (p. 119).

È ovvio che lo stile e tutto l’andamento discorsivo risenta dello stile ampolloso dell’oratoria del tempo, alla quale il frate doveva essere adusato, ma occorre sempre superare l’aspetto per noi meno interessante dello scritto per cercare la sostanza e i contenuti più personali della sua opera. Se gli scritti, come la spiritualità e la mistica di fra Tommaso sono state oggetto di attenzione e di approfondimento, non è mancato neppure l’interesse pure filologico  per un autore tanto particolare che cerca di esprimersi in iscritto per un pubblico non solamente popolare. La bibliografia indicata nel volume citato (pp. 35-42), come le ricerche effettuate nei codici manoscritti e nelle prime edizioni a stampa, indicano l’interesse avuto fin dalle prime generazioni di estimatori di tali scritti, dal momento che le varianti tra i manoscritti esistenti pongono problemi diversi, sui quali non è il caso di entrare, anche perché ampiamente approfonditi nelle edizioni citate dell’opera.

3. Fra Tommaso inizia il suo scritto dalla vita del Signore e di sua Madre, assicurando di “essersi servito del solo libro del Crocifisso”: la ragione peraltro era che la meditazione di tali misteri andava compiuta “con affetto e divozione interna”, lasciando da parte “la speculazione de l’intelletto, il quale apporta alle anime nostre curiosità e aridità con puoco frutto delle anime nostre” (p. 121). Già qui si vede dunque l’aspetto centrale del suo antintellettualismo, ponendo l’attenzione nello spirito o, meglio, nel cuore. Il proprio affetto doveva andare al centro del sacrificio del Cristo. Nel contempo si potrebbe pensare che, di fronte alla Scrittura letta dai protestanti, occorreva offrirne un’altra per la quale bisognava sempre effettuare lo stesso percorso. Inizia così il suo racconto dal primo libro di Genesi, con  la vicenda dei progenitori e della loro disobbedienza, inserendo tuttavia nella loro l’opera demoniaca di Lucifero. Il peccato di Adamo viene connesso con quello degli angeli decaduti e sempre tentatori, anche se l’incarnazione ne avrebbe arrestato l’operato.

A questo punto si profila la figura di Maria, sulla quale il cappuccino si dilunga, sottolineandone le virtù innate, l’assenza del peccato originale: l’Immacolata Concezione dunque! Quanto però egli scrive su Maria è molto di più di quanto si legge nei Vangeli, per cui si ripropone il problema della fonte dei suoi scritti e dove egli abbia attinto le notizie riferite. Si può pensare ai fatti riportati dagli Apocrifi, a meno di prendere in parola ciò che all’inizio asserisce di aver solamente meditato “sul solo libro del crocifisso”, ma qui allora è da chiedersi come mai egli si distacchi dal racconto dei Vangeli, almeno per quanto si riferisca all’annunciazione e alla scoperta della gravidanza di Maria da parte di Giuseppe, alla visita di ambedue ad Elisabetta, della venuta dei magi a Betlemme, o dell’eccidio dei bambini da parte di Erode dopo un suo viaggio a Roma. O, ancora, alla stessa fuga in Egitto partendo non da Betlemme ma da Nazaret, dove la famiglia era rientrata dopo la visita dei  magi, rimanendo in Egitto per 7 anni. Dal momento che tali episodi vengono riferiti da un codice che riporta i suoi scritti, una diversa ipotesi potrebbe far pensare ad una intricata serie di accomodamenti da parte di chi ha provveduto poi a riunire le riflessioni di fra Tommaso.

A parte lo stile, molto elementare, dove la sequenza dei fatti è modellata sul dire con tono piuttosto suasivo, si avverte spesso l’interruzione propria degli oratori che cercano di convincere l’uditorio ammonendolo con incisione. Si possono così cogliere tutti gli interventi esclamativi rivolti alle anime fedeli, a religiosi e religiose, ai lettori, tutti peraltro dotati di una fede cristiana di base, necessaria solo di essere rinnovata con le mozioni convinte di un frate entusiasta. Si può constatare tale costante dialogo tra le vicende di Cristo o di sua Madre con l’anima fedele, attenta ad ascoltarne valore e gravità. Si direbbe che l’unico scopo dell’Autore, ancor più che raccontare fatti, peraltro già conosciuti, fosse quello di muovere la volontà dei suoi lettori verso l’appropriazione spirituale e religiosa, in particolare della passione di Cristo. Qui infatti si notano pagine intense, in particolare sull’amore e sul dolore di Maria di fronte al martirio del Figlio. La sofferenza di Gesù si intreccia con l’umanità della Madre, in una progressiva sequenza. Occorre rifarsi ancora alla misericordia di Dio per entrare, per quanto possibile, in questo quadro che viene prospettato come il dramma del Figlio e della Madre. È appunto la misericordia di Dio, che perdonando le colpe, tutte le colpe dei pentiti, apre la possibilità di entrare in questo nuovo mondo dell’amore di Dio per l’uomo e  nella relazione amorosa e drammatica della Madre e del Figlio che trova il culmine nel Calvario, continuando poi col distacco dell’ascensione e con la presenza della Madre nella Chiesa. Cristo, disceso agli inferi per liberare i giusti dell’antichità, per quaranta giorni vorrà rassicurare i suoi e prepararli alla sua assenza-presenza. Assente, ma presente in modo nuovo, lascia ai suoi, apostoli, discepoli, fedeli, appunto Maria che manterrà uno straordinario compito materno per la Chiesa nascente.

Anche nel breve testo sulla Mors Beatae Mariae Virginis, si ripropone il problema delle fonti utilizzate dall’Autore. Maria che vive 63 anni e che muore circondata dagli apostoli con molte diverse altre presenze, come il passare 40 ore dopo la morte per visitare i luoghi dove il Figlio aveva operato prima di salire al cielo pure col corpo, porta a chiedersi se ciò faccia parte di un discorso ispirato oppure di accomodamenti sempre connessi con la ricostruzione spirituale che fra Tommaso ritiene da offrire per i devoti che lo leggono. Certamente il dilungarsi con passione ed affetto sulla figura di Maria doveva avvincere il lettore di allora anche se l’attendibilità critica può essere più problematica, essendo oggi il lettore più attento all’autenticità dei fatti narrati, che alle emozioni che possono nascere da un racconto affettivamente, sia pure, bene modellato. Tuttavia anche questi scritti vanno letti fuori di una critica, oggi estremamente esigente, e piuttosto tesi a sviluppare una dottrina della spiritualità sulla linea di quella del suo tempo.

4. Indubbiamente interessante è il lungo testo dal titolo Scala di perfezione, di cui restano due redazioni diverse, una conservata in un manoscritto di Innsbruck, l’altra in un codice di Vienna. A parte lo stile, sia pure rimaneggiato e sistemato linguisticamente probabilmente dai primi curatori del testo, si tratta qui di un’opera di alto rilievo ascetico e mistico, una specie di itinerario dell’anima a Dio che fra Tommaso scrive essergli stato ispirato, dedicato all’arciduca d’Austria, Leopoldo. La composizione dovrebbe risalire circa al 1621 e anche se rimangono diversi scritti su tale argomento, per esempio di Giovanni Climaco e di altri, continuando lungo i secoli fino ai trattati di autori francescani e cappuccini, tuttavia leggendo fra Tommaso si ha l’impressione che egli abbia scritto dopo aver vissuto il cammino spirituale che testimonia. Le pratiche classiche dell’orazione mentale ed affettiva, e così della contemplazione, gli sembrano comuni tanto le descrive con precisione analitica, per sfociare poi nell’estasi. Alla base sta tuttavia la formula ricorren
te dell’amore puro, necessario per percorrere la via tracciata, e al quale oppone l’amore proprio. Il trattare con tanta precisione di questi stati interiori comporta una certa capacità di equipaggiarsi – per dir così – al viaggio interiore. Egli suggerisce di “sconfiggere timori e trepidazioni, in particolare la paura di stare soli”, che “procede da affetti disordinati e dalla scarsa confidenza in Dio”; al tempo stesso sottolinea l’importanza fondamentale dell’umiltà, considerata rilevante assieme alla carità. Suggerisce l’orazione mentale come il mezzo più efficace per salire la Scala, e altrettanto la morticazione in piccole cose, il frenare le passioni, l’obbedienza a Dio e alla ragione.

In realtà egli sembra conoscere con profondità le pulsioni del cuore umano, il suo peso, le sue possibilità, il suo slancio, comprese le sue enormi debolezze. Si direbbe che la strada della perfezione si intoppi se non viene regolamentata la disciplina del cuore, essendo il cammino molto lungo e qui  appena agli inizi  del viaggio. La tappa ulteriore dell’anima cristiana è quella contemplativa e se quella prodotta nell’intelletto è piuttosto arida, occorre invece quella che si esercita attraverso la via affettiva col Crocifisso. Ancora dunque il cuore come necessario, anche se occorre passare attraverso la via purgativa, illuminativa, con meditazione e mortificazione delle passioni. Fra Tommaso sostiene che mortificazione e vigilanza restano sempre  necessarie per chi procede in questa strada, in specie nella scala che sale verso Dio, che va amato anche nella sua assenza. E’ un cammino non facile quello che sfocia nella contemplazione, dove l’anima si troverà ormai immersa in Dio. L’anima e Dio sono così uniti come in un matrimonio. Non vi sono allora più pesi, in quanto l’anima sale e può contemplare, con stupore, passione e morte del Salvatore. Però occorre distinguere il vero contemplativo, che sarà umile, solitario, nascosto, conscio del proprio niente, pronto a procedere per le consuete vie dell’ascesi, vale a dire le vie purgativa, illuminativa, affettiva, unitiva, anche se l’unione più profonda si realizza nel dolore di Cristo.

La contemplazione è ritenuta quasi simile all’estasi, che ne è la fonte, ma deve sempre procedere con umiltà e amore, con effetti che vengono ripresi dalla mistica, con fenomeni straordinari quali visioni o rivelazioni. Sembra che fra Tommaso abbia sperimentato tali fenomeni per averne scritto negli ultimi capitoli della Scala (p. 355ss.). Egli ne offre tutta una casistica, trattandosi di eventi che, quando sono autentici, superano la normalità umana. Infatti, parlando di visioni, sempre pone il problema “quando sono vere”, in quanto provengono dalla grande amicizia che l’anima ha con Dio e Dio con l’anima: per questo Dio fa vedere la sua dignità, la sua grandezza. La questione si pone quando siano visioni  apparenti, dal momento che l’occhio umano non può vedere realtà spirituali, e se i veggenti vedono la Vergine, angeli  e santi, ciò può essere nella misura in cui Dio voglia che così appaiano non avendo gli angeli corpo e così i santi trapassati, mentre le apparizioni della Vergine possono avvenire mostrandosi Ella in diverse sue età. Fra Tommaso sottolinea che queste visioni sono pericolose potendo essere illusioni del diavolo e, in particolare, destinate al ceto femminile più incline a crederle come autentiche.

Altro tipo di visione o rivelazione è quella intellettuale nell’immaginazione, portando l’anima che ne beneficia entro il mistero di Dio e del Redentore, contemplandolo come se fosse presente. Si ripropone così la questione della loro autenticità, essendo oggetto di tanta grandezza “che non se ne può parlare” (p. 250). Quando fra Tommaso torna a scrivere sull’estasi, ribadisce che essa supera ogni capacità umana, e pertanto non si può presumere di conseguirla con diligenza ed arte propria. E’ solo Dio che può costituirla secondo il suo beneplacito, dono che fa “se non a grandi illuminati e amici” suoi, per cui dopo essere passati attraverso i gradi inferiori dell’ascesi, una volta purificati con l’esercizio familiare dell’orazione mentale, saliti alla contemplazione e all’unione con Dio, ecco che l’anima gode di Dio in modo indicibile. È da ribadire come sia verosimile pensare che il frate cappuccino abbia sperimentato tale percorso col dono finale dell’estasi, anche se scrive che trattando un argomento così “eminente e alto”, essendo egli “idiota, semplice e ignorante senza lettere”, quasi si vergogna ed arrossisce (p. 362). E’ interessante leggere il seguito della sua analisi quando l’anima viene trasformata in Dio, perde la corporeità morendo d’amore, entra nel dolore e nella passione di Cristo, il quale durante tutta la vita ebbe dolori e angosce. Per questo – egli scrive – molti sanno predicare tale passione, ma pochi la vogliono praticare.

Il codice di Vienna  sulla Scala di perfezione riprende l’argomento della contemplazione e sembra voler approfondire l’aspetto ascetico che la prepara, col fondamento della mortificazione. Potrebbe trattarsi di uno scritto più maturo, dal momento che evidenzia gli aspetti interiori che ne derivano dietro l’azione dello Spirito Santo, quando l’anima vede e gode dell’essenza e delle meraviglie del suo Creatore. La Scala non si chiude ancora: per i più  impegnati, i perfetti, l’amore può impegnare un ulteriore cammino verso l’unione, che troverà il proprio culmine nell’imitazione di Cristo. Se l’estasi porta ad una vita più inserita in Dio, che Egli può concedere ai propri servi, tuttavia può essere concessa a quanti si trovano ad un livello inferiore nel cammino della perfezione.

<p>5. Non è il caso di entrare qui in tutta una serie di approfondimenti relativi allo stile, alle citazioni bibliche presenti nel testo, agli accomodamenti intervenuti da parte dei copisti, tutti problemi già analizzati nella redazione dei volumi citati. Quanto si può pensare, scorrendo gli scritti di fra Tommaso, autodefinitosi come indotto, è la visione d’insieme sulla vita spirituale, con la costruzione di un cuore regolato e una ragione che collabora per entrare e proiettarsi nel mistero dell’amore crocifisso del Figlio di Dio. Questo è solo l’inizio del cristiano che voglia  salire la grande scala della perfezione: essa ricorda quella che Giacobbe trovò di fronte a sé e che ha attirato nella storia dell’ascesi tanti imitatori.

Se invece si volesse andare alla ricerca della sua concezione sulla vita cristiana, vissuta personalmente da lui stesso prima ancora di insegnarla agli altri, è la profonda intuizione che l’insieme della creazione, dell’universo e dell’uomo, è l’amore che Dio ha voluto esprimere. Forse le sue pagine più belle sono quelle dell’amore di Dio per l’uomo, anche quando l’uomo, sbagliando, se ne sottrae. In termini teologici si direbbe che qui si annoti l’attenzione di fra Tommaso al problema del male, visto nella continua insistenza del Creatore per riportare l’umanità al proprio amore. La libertà dell’uomo male espressa è continuamente oggetto di una attenzione amorosa da parte di chi ha voluto l’uomo libero, non cessando di esprimere il proprio amore pur attraverso le risposte dell’ingratitudine.

Nota bibliografica

Tommaso da Olera, Scritti, I. Selva di contemplazione, ed. critica a cura di A. Sana, Brescia, Morcelliana, 2005

Tommaso da Olera, Scritti, II. Scala di perfezione, ed. critica a cura di A. Sana, Brescia, Morcelliana, 2010

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L’autore:

Giorgio Fedalto, già professore incaricato di Letteratura Cristiana Antica dal 1970 al 1975 presso l’Università degli Studi di Padova, ed ordinario di Storia del Cristianesimo con affidamento di Storia Bizantina dal 1975 al 2005 presso lo stesso ateneo, si interessa da anni della storia dell’Oriente cristiano. Invitato dell’Institute for Advanced Studies di Princeton (US
A), negli anni accademici 1976/77 e 1984/85, ha potuto approfondire diversi aspetti delle sue ricerche.

Tra le sue principali pubblicazioni ricordiamo: Massimo Margunio e il suo commento al “De Trinitate” di Sant’Agostino (1588), Brescia 1967; Le chiese d’Oriente, 3 volumi, Milano 1984-95; Simone Atumano. Monaco di Studio, arcivescovo latino di Tebe. Secolo XIV, Brescia 2007 (2a ed.); La chiesa latina in Oriente, 3 volumi, Verona 1981-2006 (2a ed.); Acta Eugenii papae IV (1431-1477), Roma 1990; Rufino di Concordia tra Oriente e Occidente, Roma 2005 (2a ed.); Hierarchia ecclesiastica orientalis, 3 volumi, Padova 1988-2006; Aquileia, una chiesa, due patriarcati, Roma 1999.

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Giorgio Fedalto

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