“Evangelizzare!”. Cos’altro avrebbe potuto raccomandare Papa Francesco a chi partecipa ad un Incontro internazionale intitolato Il progetto pastorale di Evangelii gaudium? È questo il Convegno organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione guidato da mons. Rino Fisichella, che ha riunito dal 18 settembre, in Vaticano, vescovi, responsabili degli uffici pastorali, sacerdoti, diaconi, catechisti, per “riscoprire la sorgente dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo”, alla luce dell’Esortazione apostolica del Pontefice.
Il Papa li ha voluti incontrare tutti oggi pomeriggio in Aula Paolo VI per ringraziare di questo impulso e incoraggiare lo studio del suo documento che – dice – “ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti”. Non potrebbe essere altrimenti quando si parla della missione principale della Chiesa. Evangelizzare, appunto.
Tuttavia, sottolinea il Santo Padre, “ci sono dei momenti in cui questa missione diventa più urgente e la nostra responsabilità ha bisogno di essere ravvivata”. È quanto accade di fronte a quelle persone “stanche e sfinite”, stagnate “nelle tante periferie esistenziali dei nostri giorni”. “Mi vengono in mente, le parole del Vangelo di Matteo dove si dice che Gesù ‘vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano come pecore senza pastore’”, dice Francesco. “Quanta povertà e solitudine purtroppo vediamo nel mondo di oggi!”, esclama, “quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore”.
Tutte queste, “attendono la Chiesa, attendono noi!”, afferma il Papa. Allora come raggiungerle? Come ravvivare la loro anima debilitata condividendo “l’esperienza della fede, l’amore di Dio, l’incontro con Gesù?”.
Quelle tratteggiate dal Pontefice sono “realtà negative che fanno sempre più rumore”, ma anche – afferma – “segni dei tempi” che il Signore stesso manda per individuare la Sua presenza nel mondo. E il Papa, da parte sua, offre la giusta chiave di lettura per interpretarli.
A chiunque abbia una responsabilità pastorale è affidato dunque il compito di saper “riconoscere e leggere questi segni dei tempi per dare una risposta saggia e generosa”. “Chiunque”, ribadisce Bergoglio: “al vescovo nella sua diocesi, al parroco nella sua parrocchia, ai diaconi nel servizio alla carità, ai catechisti e alle catechiste nel loro ministero di trasmettere la fede…”.
Davanti a tante esigenze e richieste pastorali, il rischio è infatti di “spaventarci e ripiegarci su noi stessi in atteggiamento di paura e difesa”. Da lì – osserva il Vescovo di Roma – nasce “la tentazione della sufficienza e del clericalismo”, cioè “quel codificare la fede in regole e istruzioni”, come secoli fa facevano scribi, farisei e dottori della legge.
Certo riducendo la fede ad una serie di norme “avremo tutto chiaro, tutto ordinato”, ammette Papa Francesco. Ma poi al popolo credente chi ci pensa? Esso continuerà ad essere sempre “in ricerca”, continuerà “ad avere fame e sete di Dio”.
Allora per saziarlo e dissetarlo bisogna compiere un’altra azione: uscire. Uscire come il padrone della vigna nella parabola di Gesù, che uscì cinque volte dall’alba al pomeriggio per chiamare i lavoratori. Uscire, in diverse ore del giorno, “per andare ad incontrare quanti sono in ricerca del Signore. Raggiungere i più deboli e i più disagiati per dare loro il sostegno di sentirsi utili nella vigna del Signore, fosse anche per un’ora soltanto”.
Poi – aggiunge il Papa – un’altra raccomandazione: “per favore, non rincorriamo la voce delle sirene che chiamano a fare della pastorale una convulsa serie di iniziative, senza riuscire a cogliere l’essenziale dell’impegno di evangelizzazione”. A volte, afferma, “sembra che siamo più preoccupati di moltiplicare le attività piuttosto che essere attenti alle persone e al loro incontro con Dio”.
E quando una pastorale manca di questa cura, di questa attenzione, “diventa poco alla volta sterile”. Gesù stesso, dopo che i discepoli erano tornati dai “successi” nei villaggi in cui avevano portato l’annuncio del Vangelo, “li prende in disparte, in un luogo solitario per stare un po’ insieme con loro”, ricorda il Santo Padre. E ribadisce ancora il monito che “una pastorale senza preghiera e contemplazione non potrà mai raggiungere il cuore delle persone”, ma “si fermerà alla superficie senza consentire che il seme della Parola di Dio possa attecchire”.
Sembra che con il suo discorso Francesco abbia aggiunto un carico da 90 al già duro lavoro degli operatori pastorali. Per questo, egli stesso prima di concludere lascia un’ultima parola importante: “pazienza”. Anzi due: “pazienza e perseveranza”. Perché – dice – “non abbiamo la ‘bacchetta magica’ per tutto, ma possediamo la fiducia nel Signore che ci accompagna e non ci abbandona mai”.
“Nelle difficoltà come nelle delusioni, che sono presenti non di rado nel nostro lavoro pastorale, abbiamo bisogno di non venire mai meno nella fiducia nel Signore e nella preghiera che la sostiene”, soggiunge il Santo Padre. Conclude quindi con una esortazione dal sapore evangelico: “Facciamo il bene, ma senza aspettarci la ricompensa. Seminiamo e diamo testimonianza”. Perché, aggiunge a braccio, “le parole senza testimonianza non vanno, eh?, non servono. La testimonianza è quella che porta e dà validità alla parola. Grazie del vostro impegno! Vi benedico e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché io devo parlare tanto: anche io dia un po’ di testimonianza cristiana. Grazie”.