Un'anima gettata nel vuoto e la Chiesa in cerca d'anime perdute

Una riflessione sui fatti di Milano, dove un ragazzo ventenne si è lanciato dal settimo piano trascinando con sé l’ex fidanzata

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Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c’è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, la quale, per invidia, li fa cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La Chiesa insegna che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio. «Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi ».  

La Scrittura parla di un peccato di questi angeli. Tale « caduta » consiste nell’avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: «Diventerete come Dio». «Il diavolo è peccatore fin dal principio», «padre della menzogna».

– Catechismo della Chiesa Cattolica (N° 391-392) –

Il demonio, nessun altro, si trovava dietro la videocamera quella sera; è lui il regista oscuro del gesto agghiacciante di Pietro Maxymilian che si è gettato nel vuoto trascinandovi Alessandra, la sua ex fidanzata. Con le parole sparse sui media, con le analisi e i dibattiti non lo si smaschererà mai. Lui ci sguazza in questo diluvio di opinioni, sa nascondersi e far perdere le sue tracce proprio dentro le ragioni sviscerate, soprattutto nelle ovvietà. 

Come quelle di chi dice che è accaduto perché Pietro era stato adottato, i genitori si erano separati, insomma la sua era stata una vita come una groviera, con voragini affettive che l’hanno assorbito facendolo impazzire. Oppure che era un mostro e basta, un assassino vile e perverso. 

Ma Pietro, come ciascuno di noi, era innanzitutto un uomo libero. Di fronte alla storia, alle relazioni, nel fondo del suo cuore era libero, poteva scegliere, e ha scelto. Se si nega questo, neghiamo l’uomo. Per quanto le vicende della vita possano ferirci, non ci condizionano mai sino al punto di toglierci la libertà. Essa ci è data da Dio, ed è inviolabile. 

Per questo, è nel fondo del cuore che si è consumato il suo gesto, molto prima di realizzarlo: “Ho perso l’anima tempo fa e quando sono salito sul terrazzo ero solo un corpo ed un ammasso di rabbia, incredulità e puro spirito sadico” ha lasciato scritto. Tempo fa: già, quando si perde l’anima? Forse inconsapevolmente Pietro ha usato il verbo più idoneo: perdere. Lo stesso utilizzato da Gesù: “Che giova all’uomo conquistare il mondo intero se poi perde la sua anima?”. L’originale greco del termine si può tradurre anche con “gettare via”; prima di gettare il suo corpo nel vuoto, vi aveva gettato la sua anima: “Purtroppo con l’Alessandra ho finito a coinvolgere tutto me stesso: anima, cuore e corpo, ho specificato anima perché se si arrivano a fare certe cose, vuol dire che non la si ha più”. 

Di fronte alla sofferenza inevitabile di una storia complicata come la sua, come in fondo sono tutte le storie, Pietro ha creduto alla menzogna del demonio; la conosciamo bene vero?, tanto è amplificata in questa generazione che crede di poter “conquistare il mondo intero” con un click o un touch. Anche una donna, un uomo, ridotti a bambolotti per soddisfare i capricci dei tanti Caligola che siamo diventati. Anche Alessandra. 

Sì, finalmente sarebbe diventato come Dio, riscattando una vita beffarda; con Alessandra avrebbe avuto quello che ingiustamente gli era stato tolto. Così, come la stragrande maggioranza degli adolescenti, e dei giovani, e degli adulti, ha messo tutto se stesso in quella relazione, trasformando la ragazza in un idolo. Aveva ceduto la sua anima in cambio di un frutto che, invece della felicità che cercava, gli ha consegnato “un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza”. Credeva di riempirsi, è “rimasto a secco”. 

Alessandra non avrebbe potuto saziare la fame della sua anima, anche se avessero continuato a stare insieme. Lo scrive lui, dicendo che con il suo gesto ha voluto “sfogare 7 anni di dolore”. Ma come, dolore? Allora non è stato perché l’ha lasciato… Il dolore è stato dall’inizio. E’ qui dove ha cominciato a perdere la sua anima. Se inizi una relazione per impossessarti dell’altro muori in quello stesso momento; l’altro si trasforma in una fonte di dolore, anche se ti diverti, se ci fai l’amore, se credi di amarlo e fai mille sacrifici per conquistarlo. Se invece lo accogli come un dono a cui offrirti nel rispetto e nella libertà, desiderando il suo autentico bene, cominci a sperimentare la vita che non muore, frutto di una vita perduta per amore. 

Chiediamoci se non stiamo per caso vivendo anche noi il matrimonio, il fidanzamento, le amicizie come territori di conquista. Non stiamo anche noi gettando via la nostra anima in cambio di felicità rancide che si trasformano in frustrazioni e peccati? Non stiamo seguendo il sibilo suadente del serpente che ci vuol trascinare nella sua caduta? Osservate bene, e nei fotogrammi del gesto di Pietro Maxymilian vedrete in negativo le sembianze del diavolo, precipitato fuori dal Paradiso: “Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato messo a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!”. 

Così Satana. Per Pietro speriamo la misericordia infinita di Dio, capace di intercettare in lui il grido di suo figlio in Croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e rispondergli con il perdono. Pietro non è morto sul colpo; forse perché il Padre lo stava aspettando, nell’ultimo frammento della sua vita. Di certo in quei momenti che lo separavano dalla morte, nel suo intimo così vicino all’abisso che le macchine non possono misurare, gli era accanto Cristo; aveva versato sulla Croce il suo sangue per mescolarlo a quello di Pietro e togliere così ogni macchia dall’anima che aveva perduto. Gesù era lì per riconsegnargliela e aprirgli le porte della vita che non muore. E forse Pietro l’ha accolta, e con essa il perdono. Noi preghiamo perché egli possa oggi contemplare il volto del Padre che si era illuso di incontrare nelle creature. 

Ma non solo. C’è una missione che si fa ogni istante più urgente. Le attenzioni degli amici avevano aperto una breccia, un desiderio nuovo in Pietro: “In queste settimane si sono comportati in modo magnifico. Purtroppo ciò mi ha fatto anche desiderare una vita perfetta a cui prima non avevo mai aspirato, perciò posso dire che nel mio caso, sia stata la speranza a fregarmi“. Basta poco, basta esserci. Gli amici hanno fatto quello che hanno potuto, ma la Chiesa ha lil segreto della speranza; per questo è chiamata ad annunciare e a dare ragione della sua speranza; non possiamo chiuderci nell’egoismo, cercando nella fede solo il nostro benessere e la pace per la nostra vita. Anche così “getteremmo via” la nostra anima. 

Lo affermava proprio ieri Papa Francesco, e mette i brividi la contemporaneità delle sue parole: “Se ad esempio alcuni cristiani fanno questo e dicono: “Noi siamo gli eletti, solo noi”, alla fine muoiono. Muoiono prima nell’animapoi moriranno nel corpo, perché non hanno vita, non sono capaci di generare vita, altra gente, altri popoli: non sono apostolici. Ed è proprio lo Spirito a condurci incontro ai fratelli, anche a quelli più distanti in ogni senso, perché possano condividere con noi l’amore, la pace, la gioia che il Signore Risorto ci ha lasciato in dono. Che cosa comporta, per le nostre comunità e per ciascuno di noi, far parte di una Chiesa che è cattolica e apostolica? Anzitutto, significa prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei
di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro. Significa inoltre avere il senso della pienezza, della completezza, dell’armonia della vita cristiana, respingendo sempre le posizioni parziali, unilaterali, che ci chiudono in noi stessi”. 

Significa che, nutriti dalla parola di Dio e dai sacramenti nelle nostre comunità, ciascuno di noi che ha conosciuto la misericordia di Dio è chiamato a mostrare sul candelabro di vite imperfette e piene di errori, fallimenti, peccati e sofferenze, che la speranza non dà fregature, perché “l’amore di Cristo è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo”. E l’amore di Cristo “urge”, spinge i cristiani ad annunciare che Lui ha vinto il peccato ed è davvero risorto, e ora è vivo per dare senso e compimento a ogni vita, strappando al vuoto ogni anima. 

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Antonello Iapicca

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