Quella mattina, – mi racconta il cappellano, – avrei dovuto celebrare per i carcerati. Passando davanti al portone del carcere, scorsi, appoggiata allo stipite, una anziana donna che aspettava.
Veniva da Firenze, era da poco arrivata a Napoli col treno e desiderava visitare il figlio detenuto che non vedeva da tempo. Aveva rischiato tutto, perché la domenica non era giorno di visite.
Era una povera vedova, l’unico figlio era in carcere. Mimmo lo conoscevo molto bene. Un’occhiata alla sua fedina penale: “delinquente comune”. Lei, come ogni vera mamma, conosceva un unico linguaggio: “Mio figlio è buono! Mio figlio è tanto buono, sa!”
Amore di madre, sincero e convinto per quel suo unico figlio, anche se ormai aveva conosciuto parecchi ambienti penitenziari. Donna, povera e stanca, ma ricca e forte nel suo amore cieco, eroico; un amore oltre ogni limite; si direbbe, oltre ogni buon senso.
“Permettetemi di entrare per un istante; abbracciarlo, rassicurarlo del mio amore immutato. Lui ha bisogno solo di questo. E’ questa la sua libertà.”
Mi sono accorto che le sue mani non avevano nulla da portare al figlio; gli portava solo il cuore rigonfio d’amore che ripeteva: “mio figlio è buono”.
Maria, la mamma tua e mia, sul calvario, ha udito da Gesù queste parole: “va a dire a tutti i delinquenti d’ogni ordine o grado, che ora sono tutti tuoi figli e rassicurali che mi sono lasciato condannare perché tutti fossero innocenti”.
Ciao da p. Andrea
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