Proseguono gli interventi dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede agli uffici Onu di Ginevra, alla 27° sessione del Consiglio dei diritti umani. Dopo aver espresso il punto di vista del Vaticano sulle moderne forme di schiavitù e sull’approccio della società civile al mondo degli anziani, il presule ha affrontato oggi il tema delle popolazioni indigene, i cui diritti e libertà fondamentali – ha denunciato – “continuano purtroppo ad essere violati”.
La vita dei circa 370 milioni di indigeni che attualmente vivono in 90 Paesi del mondo – ha osservato Tomasi basandosi su dati e studi dell’Onu – è infatti caratterizzata da “discriminazione sistematica” ed “esclusione dal potere politico ed economico”, oltre a “mancanza di un adeguato accesso alla giustizia”, povertà, analfabetismo e indigenza.
In particolare, il delegato vaticano ha riferito con rammarico nella sede di Ginevra degli episodi di violenza attuati non solo nei confronti degli indigeni, ma anche verso i difensori dei loro diritti umani. Non ha dimenticato poi i numerosi casi di sfollati causati da guerre e disastri ambientali o le vittime di “molestie, persecuzioni, rappresaglie”.
Un pensiero è andato anche alle “conseguenze negative, devastanti, per i popoli indigeni causate dalle industrie estrattive”. In tal contesto, il presule ha chiesto che vengano adottati “modelli di sviluppo autentico” che superino la logica del vantaggio economico e non violino i diritti dei popoli indigeni, incoraggiando anzi “un uso responsabile dell’ambiente”.
Alla luce di tutto questo, infatti, appare chiaro che “lo sviluppo completo è in ritardo, se non negato”, ha affermato l’arcivescovo. E ha esortato a fare in modo che le iniziative a favore dei popoli indigeni siano sempre “ispirate e guidate dal principio del rispetto” delle loro identità e cultura, con particolare riguardo alle specifiche tradizioni, anche religiose, e alla capacità di decidere del proprio sviluppo in collaborazione con i governi nazionali.
Da “definire e proteggere” anche – ha aggiunto il presule – le merci prodotte dalle popolazioni indigene, in modo che non vengano “utilizzate da chiunque, senza tener conto degli interessi e dei diritti delle comunità” stesse”. Purtroppo, ha evidenziato, “le leggi sulla proprietà intellettuale e del lavoro non hanno ancora fornito garanzie sufficienti per tutelare tali prodotti”.
Infine, in vista della Conferenza mondiale sui popoli indigeni, in programma il 22 e 23 settembre prossimi al Palazzo di Vetro di New York, l’osservatore Onu ha espresso l’auspicio, a nome della Santa Sede, che queste popolazioni vengano incluse “nei processi decisionali relativi alla gestione delle risorse naturali nei loro territori”. Ciò – ha concluso – significa eliminare “ogni tentativo di emarginazione”, “rispettare” le proprietà e i relativi accordi delle popolazioni indigene, soddisfare le loro esigenze sociali, sanitarie e culturali, e sollecitare una “riconciliazione tra i popoli indigeni e le società in cui vivono”.