Seconda Lettura Fil 1,20-24.27
“Fratelli, 20 Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. 21 Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22 Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. 23 Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24 ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.”
In questo testo ci sembra di capire assai chiaramente che S. Paolo, imprigionato e nel rischio di essere giustiziato, alluda alla sua morte come un qualcosa che riguardi solo il suo corpo, non il suo spirito-anima. Infatti Paolo parla del suo “io”, nel che si riassume e specifica l’essenza della persona umana giacché si resta persone anche senza corpo, e si dice convinto (ed è rivelazione biblica della immortalità dell’anima!) che, lasciato il corpo, ci guadagnerà perché lui stesso raggiungerà Gesù in cielo; e lo raggiungerà anche immediatamente (senza dover dormire annientato nella morte in attesa di essere risuscitato nel 1918, come insegna il geovismo!). Così che, combattuto da questo desiderio e insieme dall’affetto per i discepoli che non vorrebbe lasciare, non sa cosa scegliere. Ma alla fine ritiene che se per se stesso sarebbe meglio che muoia, per loro invece è meglio che resti in questa vita. Il geovismo, in disaccordo e sempre per sostenere che l’anima (decodifica l’equivoco e leggi: l’uomo) muore, tuona: “Voi non avete un’anima, siete un’anima!” e anche “La vostra anima siete voi!” Ma questo testo è troppo chiaro quanto alla convinzione “ispirata” di Paolo. La versione CEI del 1974 dice anche più chiaramente, al v. 23, che Paolo ha “il desiderio di essere sciolto dal corpo”, e il v. 24 che “è più necessario per voi che io rimanga nella carne”. E allora?… E allora ecco cosa succede alla Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, cioè alla cosiddetta Bibbia dei TG; leggiamola: “ Cristo 20 sarà magnificato per mezzo del mio corpo, sia mediane la vita che mediante la morte. 21 Poiché nel mio caso vivere è Cristo, e morire, guadagno. 22 Ora se sia il continuare a vivere nella carne, questo è frutto della mia opera, eppure ciò che sceglierei non lo faccio conoscere. 23 Sono messo alle strette da queste due cose; ma ciò che desidero è la liberazione e di essere con Cristo, poiché questo, certo, è molto meglio. 24 Comunque , è più necessario che io rimanga nella carne a motivo di voi.” Eh sì! Quando la NM non falsifica esplicitamente la traduzione, gioca a renderla confusa. Certo che ci vuole del bello e del buono per ricavare da questa cosiddetta traduzione l’idea esatta che Paolo esprime di se stesso; e cioè che sa di avere un corpo e di non essere un corpo, di avere un’anima e non di essere un’anima. Sarà molto utile, dialogando con i TG ricordare loro che essi devono “essere lieti di usare qualsiasi traduzione noi preferiamo”. (Cf in Ragioniamo facendo uso delle Scritture, pag. 402) E perciò dovranno, qui come altrove, “allietarsi” di usare le nostre versioni CEI per sostenere la dottrina propagata dalla Società Torre di Guardia.
Prima Lettura Is 55,6-9
“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.”
Vangelo Mt 20,1-16
“Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.
Sì, indubbiamente il Signore la pensa diversamente dagli uomini! Ciò traspare sia dalla prima Lettura che dal Vangelo, brani che la Liturgia mette in correlazione. E notiamo con piacere che in queste Letture la NM non si discosta dalla nostra versione CEI. Il che dovrebbe significare che siamo d’accordo. E allora ne approfittiamo per scambiare fraternamente con i nostri interlocutori TG – quelli aperti al dialogo e di spirito amichevole – un commento su queste Parole di Dio che forse piacerà.
“A tutte ore della storia. La rivelazione è chiarissima: Dio non se ne sta solo, dedito ai fatti suoi. Dio esce “di casa”, cioè esce da se stesso, continuamente, a tutte le ore della storia, a tutte le ore della vita. Esce ed invita. E’ troppo grande il suo amore per restarsene solo, o con i pochi eletti della prima ora. Dio cerca tutti, Dio invita tutti, perché Dio ama tutti, e nella sua vigna, nella sua casa, nel suo cuore, vi è posto davvero per tutti. Proclamando questo lieto annuncio la Chiesa non si accoda alle tante agenzie pubblicitarie che sfornano spot dietro i quali, il più delle volte, si nasconde un imbroglio o una truffa. Il verbo greco symphonèo, usato dagli evangelisti in questo testo, anche per chi non conosce questa lingua antica, è eloquente. L’accordo che Dio ci prospetta è musica, è armonia, è sinfonia per le orecchie, è alleanza, è patto nuziale per il cuore. Ecco perché in questa logica non vi è posto per la fallace giustizia distributiva umana, che sembrerebbe, invece, l’unica cosa valida da ricercare, l’unica via da praticare. Nel commercio valgono le sue regole; nella logica dell’amore queste regole saltano e sono stravolte. Anzi, se le prime possono superficialmente sembrare più giuste, alla fin fine risultano le più spietate. Lo ammettevano anche gli antichi esperti di diritto quando sentenziavano: “Summum ius, summa iniuria!”. Ma non è finita! La rivelazione che ci illumina continua, ribadendo, con il linguaggio delle parabole, il criterio divino che presiede la storia e che fa esultare, non i ricchi e i potenti del mondo, ma gli anawìm JHWH: Dio rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili; Dio ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote; agli occhi di Dio gli ultimi sono i primi e i primi gli ultimi. E ciò che fa lui, chiede anche a noi di adottarlo come regola di vita: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,35).
Cosa ci si guadagna in un Regno del genere?Se questi sono i criteri “socio-politico-economici” che governano il Regno di Dio, è evidente che l’uomo, qualsiasi uomo, anche l’apostolo, si domanda: “Cosa ci guadagno a diventare cittadino di un Regno del genere?”. Se la risposta attesa si attesta su un versante merceologico, essa è assai deludente: “Davvero poco!”. Il Vangelo ci avverte: se entri nel Regno con queste attese, preparati a cocenti delusioni e a quella litania interminabile di mugugni e di lamentele che, purtroppo, affiorano nel cuore e sulle labbra di molti cristiani che ancora non si sono convertiti ai pensieri di Dio, più alti e più saggi dei nostri. Preparati alle irritazioni nei confronti di Dio, per le sue presunte ingiustizie, disponiti a quelle immotivate gelosie per tutto: per un talento in più dato a qualcuno, per una parola in più spesa per qualcuno, per dieci minuti in più dati a qualcuno piuttosto che a te. Siccome queste situazioni non sono una ipotesi della irrealtà ma, ahimé, pane quotidiano di tutte le parrocchie, occorre davvero effettuare uno spietato esame di coscienza su di sé, e mettere in programma una radicale rivoluzione copernicana della vita personale e comunitaria. Solo allora, se torniamo a porci la domanda; “Che cosa ci si guadagna in un regno del genere?”, possiamo rispondere con grande libertà di spirito e con molta gioia: “Dio sa pagare assai bene! La sua ricompensa non è moneta sonante, ma il centuplo quaggiù e l’eternità”.” (SAMUELE RIVA, in Servizio della Parola , Settembre/Ottobre 2014, 108-110) p>