Chi può aver scritto questo splendida riflessione?
La stessa persona scrisse pure: “Non c’è una via di mezzo: Cristo o è un impostore o è Dio. Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è un uomo. Gli spiriti superficiali scorgono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori di Imperi, i conquistatori e le divinità di altre religioni. Questa somiglianza non esiste. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito. Si, esiste una causa divina, una ragione sovrana, un essere infinito. Questa causa è la causa delle cause; questa ragione è la ragione creatrice dell’intelligenza”.
Nessuno potrebbe immaginare che l’autore sia addirittura Napoleone Bonaparte. Si, proprio l’imperatore di origine corsa che, secondo il cardinale Giacomo Biffi, “un opinione tanto diffusa quanto acriticamente accolta” indica come “materialista e saccheggiatore di chiese e conventi, miscredente e fedigrafo, anticlericale e sequestratore del Papa”.
L’arcivescovo emerito di Bologna sosteneva invece che “per Napoleone la fede e la religione erano l’adesione convinta non ad una teoria o ad un’ideologia ma a una persona viva, Gesù Cristo”.
Il pensiero del cardinale Biffi fa da prefazione al nuovo libro edito dalle Edizioni Studio Domenicano (EDS), dal titolo “Conversazioni sul Cristianesimo – ragionare nella fede”. Nel volume viene descritto un Napoleone che non solo è fiero di essere “nella apostolica religione apostolica romana”, come disse alla sua morte, ma si mostra anche un profondo e autentico apologeta di Cristo e del Vangelo.
Il libro raccoglie infatti le conversazioni che l’imperatore intrattenne con i suoi collaboratori nell’esilio all’Isola D’Elba. La prima edizione di queste conversazioni venne pubblicata nel 1860 in Francia, ad appena venti anni dalla morte di Bonaparte, quando gli interlocutori erano ancora in vita. Il piccolo volume ebbe così successo che nel 1841 e nel 1843 vennero pubblicate altre due edizioni.
Una copia dell’edizione del 1843 con il titolo “Sentiment de Napoleon sur le cristianisme, Conversations religieuses” è stata regalata dal dottor Vito Patella al cardinale Giacomo Biffi. L’arcivescovo di Bologna – racconta il domenicano padre Giorgio Maria Carbone – rimase così colpito da questa lettura che chiese a Padella la traduzione dal francese e la pubblicazione in italiano.
In particolare, il porporato si stupì della profondità con cui Napoleone percepiva la persona di Gesù. Discutendo con il generale Bertrand che gli chiedeva prove della divinità di Cristo, Napoleone risponse: “Mentre tutto ciò che egli ha fatto è divino, negli altri, Zoroastro, Numa, Maometto, non c’è nulla, al contrario, che non sia umano”.
“Cristo si tratta forse di una invenzione dell’uomo?” gli venne chiesto. Ma Bonaparte rispose con fermezza: “No, al contrario è una realtà inspiegabile. Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio. Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati, ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro? Invece per Cristo è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane”.
Una guerra che, secondo il grande imperatore, durava tutt’ora. “Dopo san Pietro – disse – i 32 vescovi di Roma che gli sono succeduti sulla Cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato. In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce”.
Al generale che parlava di questioni militari, Napoleone chiese: “Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?”.
“Questa – aggiungeva – è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo. I popoli passano, i troni crollano e la Chiesa rimane! Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa Chiesa, assalita dall’oceano furioso della diffidenza, del pregiudizio, della collera e dell’odio del mondo? Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l’ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?”.
“Come mai, quindi – si domandava ancora Napoleone -, un ebreo, la cui esistenza storica è testimoniata con più sicurezza di tutte quelle del tempo in cui visse, lui solo, figlio di un falegname, si presenti subito come Dio stesso, come l’essere per eccellenza, come il creatore degli esseri? Egli si arroga ogni forma di adorazione. Costruisce il suo culto con le sue mani, non con le pietre ma con gli uomini. Ci si esalta davanti alle conquiste di Alessandro! Ebbene, ecco un conquistatore che confisca a proprio vantaggio, che unisce, che aggrega a sé non una nazione ma la specie umana. Che miracolo!”.
Secondo il conquistatore, inoltre, “l’anima umana con tutte le sue facoltà diventa un’appendice dell’esistenza di Cristo”. E “in che modo accade questo?”, si domandava. “Con un prodigio che supera ogni prodigio. Egli vuole l’amore degli uomini, vuole, cioè, la cosa al mondo piu difficile da ottenere. Ciò che un saggio domanda inutilmente a qualche amico, ciò che un padre chiede ai suoi figli, la sposa al suo sposo, un fratello al fratello, in una parola il cuore, questo e ciò che egli vuole per sè. Lo esige in forma assoluta e immediatamente lo ottiene. Così egli conferma ai miei occhi la sua natura divina. Alessandro, Cesare, Annibale, Luigi XIV, con tutto il loro genio hanno fallito su questo punto. Hanno conquistato il mondo e non sono riusciti ad avere un amico”.
Impressionante è anche quanto Napoleone scrisse sul Vangelo. “Il Vangelo – affermò nelle conversazioni – possiede una virtù segreta, un non so che affascina il cuore. Nel meditarlo si prova la stesso sentimento che a contemplare il cielo. Il Vangelo non è un libro, è un essere vivente, con una capacità di azione, con una potenza che invade tutto quello che si oppone alla sua espansione. Non mi stanco mai di leggerlo, ogni giorno e sempre con lo stesso piacere. Da nessuna parte si ritrova questa serie di belle idee, di belle massime morali, che sfilano come battaglioni della milizia celeste e producono nel nostro animo lo stesso sentimento che si prova considerando la distesa infinita del cielo quando, in una bella notte d’estate, risplende di tutta la luce degli astri. Non soltanto il nostro spirito è occupato, ma è dominato da questa lettura e l’anima con questo libro non corre mai il rischio di smarrirsi”.
I colloqui proseguono con una vasta riflessione che abbraccia ogni ambito del cristianesimo: la Fede, l’ultima Cena, le altre religioni, la regalità dell’anima, la confessione, i rapporti con Papa Pio VII, il suicidio, i rapporti tra Cristianesimo e Islam, il perdono, e via dicendo.
Rispondendo alle accuse che soprattutto gli inglesi mossero nei confronti di Napoleone, il libro riporta nell’appendice la lettera del generale de Montholon al cavaliere Antoine de Beauterne, in cui si afferma che “Napoleone era credente, come re riteneva la religione una necessità (…) Uno dei primi atti da lui compiuti fu il ristabilimento della libertà religiosa, che era stata spazzata via dalla tenpesta del 1793”.
L’imperatore
– si legge – pose i preti “alla guida dei propri greggi”, sotto la tutela del Concordato del 1801; “mai chiese alla Santa Sede la soppressione dei conventi e l’alienazione dei loro beni né in Francia né in Italia”. Infatti, “i conventi erano già chiusi e i beni alienati in Francia e nella Repubblica Cisalpina molto prima che egli tornasse dalla Campagna d’Egitto”.
Un chiarimento si offre infine sulla oscura vicenda del rapimento del Papa, che – si dice nella lettera – fu “una decisione personale del generale Miolis. Napoleone non l’aveva né progettato né autorizzato”. (…) I contrasti tra Napoleone e la Santa Sede non ebbero mai motivazioni religiose ma politiche”.