Dopo due anni di roventi dibattiti sul tema, la fatidica “ora x” sembra stia per scoccare nell’orologio del Consiglio provinciale di Trento. Il 16 settembre potrebbe approdare in aula un testo di legge sul contrasto alle discriminazioni sessuali. Un testo che preoccupa per i suoi aspetti ideologici e lesivi della libertà d’espressione. Al suo interno, composto da 17 articoli, per ben 19 volte ricorre l’espressione “cultura di genere” o “identità di genere”. Aspetto, questo, che è stato definito “la maggiore criticità” del ddl in questione anche dall’arcivescovo di Trento, mons. Luigi Bressan, nel corso di un’intervista al giornale diocesano.
L’eventuale approvazione del testo costituirebbe un precedente che esula dal dibattito squisitamente locale. Si tratterebbe, infatti, del primo provvedimento in Italia su questa materia di un Ente autonomo territoriale, che potrebbe sortire un effetto domino “generando in molte altre Regioni analoghe produzioni legislative”. È di questo avviso Pino Morandini, vice-presidente del Movimento per la Vita nonché ex consigliere provinciale e regionale trentino, tra i maggiori avversari del “famigerato ddl cosiddetto contro l’omofobia”.
Nel corso della scorsa legislatura Morandini è riuscito a fermare l’approvazione di ddl analoghi all’attuale, non solo attraverso un’azione di ostruzionismo, ma anche grazie a una relazione con la quale ha dimostrato “dati alla mano” che “non c’è alcuna discriminazione in Italia ai danni di persone omosessuali”. Intervistato da ZENIT, l’ex consigliere ribadisce che esistono “fonti affidabili e non sospette” che dimostrano “che siamo ben lontani da una situazione di emergenza” tale da giustificare il ricorso a un intervento legislativo.
Morandini ricorda che l’Italia ha una storia di tolleranza verso le persone omosessuali che affonda le radici almeno nell’anno 1866, quando “nel nostro Paese fu depenalizzata l’omosessualità, ben prima dell’anglicana Gran Bretagna (1967), della Germania comunista (1968), della luterana Norvegia (1972) o d’Israele (1988)”. Una storia che non è stata interrotta, visto che “uno studio a cura del Pew Research Center documenta che siamo addirittura l’ottavo Paese al mondo quanto ad accettazione sociale dell’omosessualità”.
E allora, perché si registrano tanto vigore e insistenza affinché anche l’Italia approvi leggi atte a tutelare gli omosessuali da presunte discriminazioni? Morandini è convinto che una legge sull’omofobia sarebbe nient’altro che “il grimaldello attraverso il quale poter arrivare a un riconoscimento legislativo delle cosiddette unioni omosessuali”. Un processo, del resto, che secondo Morandini è già avvenuto in altri Paesi occidentali, nei quali si è partiti da leggi sull’omofobia per giungere, “grazie a campagne di media finanziati da lobby omosessuali”, a concepire “il diritto degli omosessuali a sposarsi come una necessità da regolare per via legislativa”.
L’opinione di Morandini è che una simile prospettiva rappresenta un passaggio fondamentale di una “rivoluzione antropologica” che “alla lunga potrebbe avere conseguenze assai rischiose”. Il principale rischio dei ddl omofobia evidenziato dal vice-presidente del Movimento per la Vita è “l’omologazione a un pensiero unico” che “farà incorrere in sanzioni chiunque dovesse ancora affermare che il ‘matrimonio omosessuale’ è contro natura”.
Il vero pericolo, insomma, più che l’omofobia è - aggiunge Morandini - la “omofilia”. Egli ne riassume il fondamento in un’antropologia - “carente di qualsivoglia fondamento giuridico, filosofico, scientifico, sociale” - che afferma “l’indifferenza sessuale” riassunta nel concetto di “ideologia gender”. Una sorta di “banalità libertaria” che ha l’obiettivo di “rimettere in discussione l’istituto familiare, il quale ha garantito nei secoli non solo il protrarsi delle generazioni ma anche un sistema educativo e sociale che è stato caposaldo persino dell’espansione di imperi; si pensi all’Impero romano, basato sulla figura del Pater familias”.
Data dunque la grave minaccia rappresentata da un simile ddl, Morandini è dell’avviso che l’arcivescovo di Trento, mons. Bressan, “ha fatto bene a parlare”. A chi ha reagito male all’intervento del presule brandendo la laicità delle Istituzioni pubbliche, l’ex consigliere risponde che “ogni qual volta è in gioco l’uomo e la sua vita, la Chiesa ha non solo il diritto ma il dovere di intervenire perché essa è oggi corpo di Cristo presente nella società”.
Un intervento, quello del vescovo, che potrebbe in effetti aver già prodotto qualche risultato. È notizia di poche ore fa che alcuni capigruppo, proprio in virtù dell’intervista di mons. Bressan, intendono ripensare la loro posizione e chiedono dunque modifiche del testo. “Vorrei far notare - commenta Morandini - che questi capigruppo furono contattati mesi fa da noi rappresentanti dell’associazionismo cattolico per farli rendere conto dei contenuti pericolosi della legge, ma si opposero alle nostre ragioni adducendo motivi prettamente di tenuta del governo provinciale”. Come dire, meglio tardi che mai.