Abulia della volontà e crisi contemporanea

L’attualità di Ganivet e il valore autentico del discernimento

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Non vi è dubbio che l’attuale crisi economica abbia alcune precise cause tecniche ma i campanelli di allarme erano evidenti in alcuni comportamenti che stavano modificando profondamente le relazioni sociali ed interpersonali. I sintomi, tuttora presenti, si riscontrano anche in una profonda disaffezione all’impegno civico e alla responsabilità individuale mostrando uno scollamento tra i valori e i comportamenti[1].

La digitalizzazione di ogni aspetto pubblico o privato[2], inoltre, legata ad un impressionante flusso di informazioni, in un contesto di positivismo onnicomprensivo, confonde l’individuo, già smarrito nell’arena contemporanea, che non predilige alcun punto fermo, alcuna àncora di riferimento[3] in uno smantellamento epocale dell’essenza più profonda dell’umanità:

Il concetto positivista di natura e ragione, la visione positivista del mondo è nel suo insieme una parte grandiosa della conoscenza umana e della capacità umana, alla quale non dobbiamo assolutamente rinunciare. Ma essa stessa nel suo insieme non è una cultura che corrisponda e sia sufficiente all’essere uomini in tutta la sua ampiezza. Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità. Lo dico proprio in vista dell’Europa, in cui vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come fondamento comune per la formazione del diritto, riducendo tutte le altre convinzioni e gli altri valori della nostra cultura allo stato di una sottocultura. Con ciò si pone l’Europa, di fronte alle altre culture del mondo, in una condizione di mancanza di cultura e vengono suscitate, al contempo, correnti estremiste e radicali.[4]

Nella storia dell’umanità più volte si sono succeduti momenti di instabilità e transizione che hanno anticipato passaggi epocali o cambiamenti prospettici nelle relazioni geopolitiche ed economiche. A questi periodi si lega, per fisiologica natura, un sentimento di impotenza o di decadenza: un’abulia della volontà (Ganivet). Se nel passato tali trasformazioni erano legate a zone geografiche circoscritte o a singoli imperi, oggi si assiste alla radicale novità di una crisi epidemica strutturale che va a proporsi continuamente su scala globale provocando un sentimento di comune appartenenza a un destino indefinito ed incerto, dalle devastanti conseguenze spirituali, cognitive ed intellettuali:

Il timore di perdere le idee è un segno mortale; non è che le idee si perdano, è che l´intelligenza sfugge al nostro dominio, che non possiamo avere idee quando lo vogliamo perché l´intelligenza non vuole osservare gli oggetti. (…) E´ anche sintomo dell´abulia o debilitazione della volontà, perché in questa sofferenza la vita va indietro, non potendo vincere la pigrizia, che le impedisce di continuare ad assimilare elementi nuovi per rinnovare la vita al passare del tempo.[5] 

In quel passaggio temporale e graduale, non ci si può esimere dal progettare, costruire, impegnarsi perché sarebbe una volontaria condanna all’oscuramento della propria ragione[6]. In quel percorso vi è non solo una conformità e corrispondenza con il reale ma un rifiuto di ogni proposizione aletofobica in un processo logico che si apre al senso comune e alla relazionalità[7]. Se si perde la “primaria concezione antropologica” di un percorso nel tempo e nella storia in nome dell’utopia rivoluzionaria di un mondo nuovo tecnocratico ed autosufficiente, si commette lo stesso errore delle ideologie onnicomprensive ed anti-umane del secolo scorso:

Essendosi dileguata la verità dell’aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell’aldiquà. La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica. Il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società ed indica così la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose[8].

In una vuota emancipazione, figlia di una delega miope ed assurda, soltanto la superficie o il superficiale divengono la tesi e l’antitesi della quotidianità in una auto-deligittimazione della ragione, che a sua volta si impigrisce, si imbarbarisce, si dissolve con un senso estraniante di mortificazione. L’unica risposta sembra essere un immobilismo silenzioso o una iperattività senza senso tra la desertificazione della volontà e l´abbandono alla pigrizia.

Proprio questo senso di inutilità, di incessante corsa senza scopo ha avuto come risultato eclatante la predisposizione a una inerzia agglutinante che impedisce qualsiasi movimento. Si ha la tentazione di “ridurre” o, addirittura, eliminare – con mezzi tanto artificiali quanto degradanti o con palliativi anestetici – non solo il naturale corso del tempo ma anche l’esercizio elaborato del pensiero:

; so poi qualcosa? Ci sarà mai un sapere che si distingue dall´incertezza e dall´ignoranza? E´ possibile una vera e propria presa di posizione? Esiste quello che si chiama realizzazione del senso? In qualche modo, chiunque eserciti l´attività filosofica fa quest´esperienza e in modo tanto più opprimente se intervengono anche la delusione personale, il fallimento delle opere intraprese, l´ansia e la malattia – e da chi non andrebbero questi cupi visitatori? Anche questo però è ammaestramento. La possibilità del dissolvimento del senso fa parte dell´esistenza. L´esistenza è tale che molte cose in essa non hanno proprio più senso, o, per lo meno, non hanno più un senso che possa essere comprensibile all´animo. Abbiamo detto, a proposito dell’età adulta, che in essa il compito consiste nel riconoscere l´assoluto nella trama delle realtà contingenti; ora invece si tratta di salvaguardare il senso in mezzo ai processi di disintegrazione che lo scoraggiano e lo indeboliscono. E una filosofia che non abbia tenuto testa a questo pericolo non è una filosofia autentica.[9]

Nella storia del pensiero teologico e filosofico – come molti recenti saggi dimostrano – la pigrizia, l’inerzia, la mancanza di sforzo, la “sonnolenza” apatica sono associate, anche se con differenziazioni e variazioni graduali, all’ignavia: il peccato capitale dell’accidia. Etimologicamente accidia deriva dal greco antico e l’alfa privativo (a-kedeia) va a sottolineare una “mancanza di attenzione”.  San Giovanni Cassiano l’Asceta ci propone una spiegazione dettagliata dei sintomi aggiungendo che:

Una volta che l’accidia ha preso possesso di una mente infelice, rende la persona terrorizzata del luogo in cui è […]. Allo stesso modo la rende indolente e immobile di fronte a tutto il lavoro da fare tra le mura della sua dimora.[10]

<p>Questa condizione psicologica e ansia esistenziale, in un percorso ininterrotto, degrada la volontà personale e va a inficiare la fonte stessa dell’identità, il significato e il senso di ogni realizzazione. San Tommaso d´Aquino mette in correlazione l’accidia con le tre virtù teologali arrivando alla conclusione che essa può essere definita, in primo luogo, come una opposizione alla carità, considerata la “radice e la madre”[11] delle perfette virtù.

Secondo il Doctor Angelicus, come la carità ha per atto principale l’amore e per effetto la pace, l’armonia e il rispetto così il deprecabile risultato di questa contrapposizione
è una triste decadenza[12], una sorta di autoeliminazione masochistica[13], una “banale” avversione al senso e un´involuzione radicale delle capacità logiche di discernimento:

Entativamente, la logica si pone in stretta relazione con l´operatività razionale dell´uomo, il quale non agisce per istinto naturale come gli altri animali, ma attraverso il giudizio direttivo della ragione. Tale giudizio non si limita alla direzione delle operazioni di ordine sensitivo, ma si estende riflessivamente alle operazioni della ragione stessa, perché ne sia facilitato e rigorizzato l´esercizio intrinseco.[14]  

Paradossalmente, in una estrema conseguenza, la persona apatica, come dimostra la studiosa americana R. Konyndyk de Young nelle sue opere, può addirittura “(restare) impegnata con misure disperate per scappare (sia nella realtà che nella fantasia) o (sprofondare) nella disperazione e nell’attività.”[15]

Tale disperata iperattività non è altro che l´estrema conseguenza di un processo volontario di distrazione narcotizzante o auto-annientamento nel rifiuto nichilista di qualsiasi altra opzione che richieda un approccio sia realista che contemplativo e metafisico[16], estremamente utile alla conoscenza personale, a una sana riflessione e alla maturità psicologica, senza “alienarsi” in inutili, faticose e retoriche “costruzioni speculative” o assuefarsi passivamente ai paradigmi imposti o preconfezionati:

L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento. Bisogna passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa.[17]

[1] Cfr. T. DeLuca, The Two Faces of Political Apathy, Temple University Press, Philadelphia PA 1995.

[2] Cfr. Z.A. Papacharissi, A Private Sphere: Democracy in Digital Age, Polity, Cambridge UK, 2010.

[3] Cfr. Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000.

[4] Benedetto XVI, Discorso al Parlamento Federale Tedesco al Reichstag, 22 Settembre 2011. www.vatican.va

[5] A. Ganivet, Epistolario. Obras Completas, Vol. 10, Victoriano Suarez, Madrid 1944 pg. 26-27.

[6] (Die Vernunft) kann die Wahrheit, die für sie konstitutiv ist, nur erkennen, indem sie Zukunft antizipiert“ G. Picht, Wahrheit, Vernunft und Verantwortung. Philosophische Studien. Klett, Stuttgart 1969, pg. 7.

[7]Cfr. V. Possenti, “La domanda sulla verità e i suoi concetti”, in V. Possenti (ed.), La questione della verità. Filosofia, Scienza, Teologia, Armando Editore, Roma 2003, pg. 41.

[8] Benedetto XVI, Spe Salvi, n. 20

[9] R. Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano 1992, pg. 91.

[10] Saint John Cassian, The Institutes, Ancient Christian Writers 58, Trans. Boniface Ramsey, Paulist Press, New York 2000, n. X.xxi  (Traduzione nostra)

[11] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae. 23.8

[12] Cfr. R. Konyndyk de Young, “Resistance to the Demands of Love: Aquinas on the Vice of Acedia” Thomist 68:2 (April 2004) pg. 173-204.

[13] “Il masochismo morale mostra e denuncia, coi suoi infiniti drammi umani, l´inadeguatezza delle strutture sociali e delle ideologie a comprendere e integrare la naturale vocazione comunitaria del singolo essere umano e di alcuni individui dotati più di altri. Di fatto, il masochismo morale costringe alla socialità, mediante la minaccia e il dolore, proprio coloro che per natura intrinseca sono piu adatti di altri alla vita sociale, al suo arricchimento e anche alla sua radicale rigenerazione.” N. Ghezzani,  Volersi male. Masochismo, panico, depressione. Il senso di colpa e le radici della sofferenza psichica, Franco Angeli, Milano 2012, pg. 121.

[14] G. Barzaghi, L´essere, la ragione, la persuasione, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998, pg. 20-21.

[15] R. Konyndyk de Young, “The Vice of Sloth: Some Historical Reflections on Laziness, Effort, and Resistance to the Demands of Love”, The Other Journal 10 (Fall 2007).

[16] “La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. Senza un amore affidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non sulla gioia che la semplice presenza dell’altro può suscitare. La fede fa comprendere l’architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l’arte dell’edificazione, diventando un servizio al bene comune.” Francesco, Lumen Fidei, n. 51

[17] Francesco, Evangelii Gaudium, n. 232

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Giovanni Patriarca

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