Queste e altre domande ZENIT le ha rivolte a Giuseppe Rusconi, vaticanista di lungo corso.

Già professore di letteratura italiana al Liceo svizzero di Roma, giornalista parlamentare a Berna per il Corriere del Ticino, Rusconi ha diretto la rubrica Rossoporpora nella rivista di approfondimento per il mondo cattolico Il Consulente RE. Della stessa rivista è stato direttore per cinque anni.

Attualmente Rusconi è corrispondente da Roma per il Corriere del Ticino, collabora con il Giornale del Popolo e si occupa di notizie vaticane e riguardanti il cattolicesimo italiano, politica italiana e rapporti italo-svizzeri.

Ultimo libro pubblicato L'impegno - Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno, un'indagine sull'enorme dimensione del servizio sociale che il mondo cattolico rende alla comunità nazionale.

Da metà febbraio 2013 è attivo il suo sito www.rossoporpora.org

Quali sono, secondo te, le ragioni profonde per cui Benedetto XVI ha rinunciato al Pontificato?

Giuseppe Rusconi: Penso che Benedetto XVI abbia deciso di rinunciare al Papato per il semplice motivo che sentiva di non farcela più a sopportarne gli oneri sempre maggiori in un mondo pervaso da una secolarizzazione diffusa. Per un verso ottantasei anni è un’età in cui normalmente le forze incominciano a venir meno in modo palese. Peraltro Joseph Ratzinger più volte aveva detto e scritto che nel caso in cui un Papa avesse percepito di non riuscire più a essere tale al cento per cento, si sarebbe aperta razionalmente la prospettiva delle dimissioni, una decisione da assumere in piena libertà di spirito. Del resto il cardinale Ratzinger ha vissuto da vicino i lunghi anni del declino fisico di papa Wojtyla e anche ciò gli è servito per preparare una decisione presa per il bene della Chiesa e dunque dell’umanità. 

Il popolo, soprattutto quello dei lontani dalla Chiesa e dei non credenti esulta ed è entusiasta di papa Francesco, mentre una parte del clero non capisce, e alcuni laici cattolici sono addirittura critici. Come spieghi questo fenomeno?

Giuseppe Rusconi: Fin dal giorno della sua elezione, già con i suoi primi gesti, papa Francesco ha portato una ventata di novità nella Chiesa. In una società massmediatica come la nostra l’impatto pubblico di tali gesti si moltiplica. E’ evidente che ogni Papa, nel contatto con il mondo, è condizionato dalla sua origine, dall’educazione ricevuta, dall’aria che ha respirato, dalle esperienze che ha avuto e certamente dalle sue caratteristiche native. Il cardinale Ratzinger più volte aveva chiesto a Giovanni Paolo II di potersi ‘pensionare’ da prefetto della Dottrina della Fede per tornare ai propri studi e si è ritrovato invece a essere Pastore universale. Il cardinale Bergoglio ha avuto una vita molto diversa da quella del cardinale Ratzinger; molto diversi sono anche i tratti di carattere dei due. Il gesuita argentino non poteva non piacere subito al mondo. Prima di tutto al mondo dei cattolici solo anagrafici, degli scettici, dei non credenti: il calore umano che promana da papa Francesco è tale che diventa irresistibile per chi nel proprio immaginario associa la Chiesa istituzionale all’immobilismo paludato. A questa parte di mondo sono piaciute molto anche alcune esternazioni di papa Francesco su temi delicati, come quelli dei ‘valori non negoziabili’: non a caso la maggior parte dei massmedia le ha presentate, magari con qualche equivoco, come un’apertura inaudita alla cosiddetta ‘modernità’. Papa Francesco piace molto anche ai credenti di altre fedi, ad esempio a non pochi musulmani (già per il nome scelto), che vedono in lui in qualche modo un oppositore della politica statunitense in campo internazionale.

Per quanto riguarda l’interno del cattolicesimo, è vero che le opinioni non sono univoche. Certo sono molti i cattolici che amano papa Francesco, in particolar modo per la sua vicinanza (espressasi anche con tanti gesti concreti) alla carne di Cristo che soffre, alle ‘periferie’ umane; lo amano anche per il suo incessante richiamo alla misericordia, per il suo invito a ogni fedele a scuotersi dal più o meno grande torpore che lo caratterizza per incamminarsi con gioia sulla via di una conversione autentica di vita, per il suo linguaggio semplice, diretto, ricco di saggezza derivata dall’esperienza concreta. Tuttavia, specie nelle gerarchie e tra i cattolici praticanti, non manca chi – pur apprezzando molto la capacità di contatto di papa Francesco con il cuore di ogni singolo uomo – resta a volte perplesso perché, a torto o a ragione, vede sbiadire certi contorni dell’identità cattolica come si è formata nella storia. Non pochi sono perplessi ad esempio sul mancato incoraggiamento del Papa ai tanti cattolici che testimoniano pubblicamente la loro fedeltà ai ‘valori non negoziabili’, come è successo in Francia attorno alla questione del ‘matrimonio per tutti’ (ovvero per il riconoscimento delle cosiddette ‘nozze gay’). Ci sono poi laici, cattolici e non cattolici, ancora più critici, che ritengono papa Francesco un fattore di rischio per il cattolicesimo universale, dissentendo non solo dal suo approccio al tema dei ‘valori non negoziabili’, ma dalle sue idee in materia di decentramento della Chiesa, di globalizzazione e di economia di mercato.    

[La seconda parte segue domani, sabato 28 dicembre]