Il Natale è la festività cristiana nella quale tutti i componenti della famiglia, grandi e bambini, sono chiamati a contemplare la Santa Famiglia di Nazareth per attingere ispirazioni, esempio e vitalità. La centralità di questa festa è quella di proporre alla nostra meditazione la figura di Maria, Giuseppe e Gesù, per cercare di accrescere la propria santità nell’imitazione della Santa Famiglia. Per intraprendere questo percorso, i figli hanno bisogno di essere coinvolti dai genitori, che hanno una grande possibilità per praticare la cosidetta evangelizzazione domestica.
Fare il presepe è sicuramente uno strumento che facilita la contemplazione della scena della natività. Prepare il presepe non deve essere inteso come un abbellimento per rendere la casa più accogliente in vista delle festività. Il presepe non deve essere nemmeno un’ostentazione per mostare la nostra abilità creativa. Allestire il presepe significa catapultarsi dentro l’evento centrale della storia della salvezza: l’incarnazione del Figlio di Dio che viene per salvare l’intera umanità.
Ma come è possibile spiegare questi concetti teologici ad un bambino? I bambini hanno le capacità di capire il senso profondo della natività di Gesù?
Negli ultimi anni il consumismo e il relativismo ci hanno fatto passare il concetto che il cuore della festa del Natale è lo scambio dei regali. Nei giorni che precedono il Natale, la televisione ci sommerge di pubblicità, nella quale si fa passare il concetto che i bambini si sentono protagonisti della festa solo se ricevono i regali. Questa mentalità ha trovato una vasta applicazione in ogni famiglia, annichilendo il senso profondo del Natale.
Ridare la centralità al presepe, significa ricostruire una pedagogia natalizia, dove i bambini diventano gli assoluti protagonisti, perchè sono destinatari di un annunzio di salvezza, che gli permette di immedesimarsi nei vari personaggi della natività.
La prima immagine che propone il presepe è proprio quella dell’inospitalità del mondo a Dio. E tutti noi viviamo nel mondo e siamo invischiati in tante distrazioni ed egoismi, che si traducono nel rifiutare un giusto tempo e un adeguato spazio a Dio. Nel corso dell’anno tutti noi abbiamo chiuso le porte del nostro cuore a qualcuno che ci ha chiesto un pò di tempo da dedicare a lui. E questo aprirsi all’altro viene trascurato soprattutto tra i componenti della famiglia. La parola familiarità diventa spesso sinonimo di disattenzione, incuranza, trascuratezza. Al contrario, preparare il presepe ed accostarsi per contemplarlo, significa dare un spazio e un tempo adeguato alla famiglia, riunita attorno alla rappresentazione della natività.
Tutti i personaggi del presepe, anche se sono statuette mute, possono prendere voce tramite l’insegmamento dei genitori.
La umiltà di Maria è la forma più alta della povertà spirituale, perchè Ella ha rinunziato ai suoi progetti, per diventare terreno fertile disponibile ad accogliere l’azione feconda dallo Spirito Santo.
I bambini hanno tutte le potenzialità per comprendere la figura di Maria, una ragazza di un paese sperduto, che gli attira a se con la sua semplicità e umiltà. I bambini facilmente pensano nel proprio cuore: se Dio ha guardato il cuore di Maria, può dare attenzioni anche a loro, perchè anch’essi non sono famosi, ricchi e potenti. Questo parlare di Maria diventa un invito a credere all’efficacia della preghiera, quando viene elevata a Dio con cuore umile e sincero. I bambini vanno educati alla sincerità, perchè il primo istinto che si sviluppa nella crescità è quello della menzogna, che si manifesta nel nascondere i primi insuccessi e difficoltà della loro vita.
Il silenzio di Giuseppe è la testimonianza di un obbedienza assoluta alla volontà di Dio, per divenire partecipe di una missione di salvezza.
I bambini tendono a parlare tanto per attirare l’attenzione dei genitori; guardando la figura di Giuseppe possono riscoprire la dimensione dell’ascolto, finalizzata all’adesione interiore che si trasforma in azione. E’ un “ascolto attivo” che si trasforma in un fare responsabile frutto di una decisione libera. I figli crescono non solo con le imposizioni, che in alcune circostanze sono doverose, ma anche instaurando un dialogo con i genitori che li conducono a scegliere il vero bene, senza privargli della possibilità dell’errore.
La speranza vigilante dei pastori è un invito a credere a un Dio che ha manifestato la sua preferenza proprio verso gli ultimi e gli abbandonati.
I bambini sono davvero spietati tra di loro, Una delle sofferenze, di cui un genitore rischia di prestare poca considerazione, sono le offese e le emarginazioni che i figli ricevono dai loro coetanei dentro le mura scolastiche. Per i bambini queste situazioni costituiscono davvero una grande sofferenza. Allora sentire che Dio si rivolge proprio ai pastori, agli esclusi di una popolo, ravviva la loro speranza per un cambiamento della situazione presente, e accende il desiderio di confidarsi con i propri genitori, manifestando apertamente il ,loro disagio che hanno timore a rivelare.
I re magi, che giungono dal lontano oriente con i loro doni per adorare il bambino Gesù, diventano un valido esempio per parlare del cammino della vita. La nostra società propone ai bambini una immediatezza e una semplicità nell’ottenere le cose, che gli diseduca ai valori del sacrificio e della perseveranza. E’ sufficente chiedere ai genitori un dono, e subito ottengono quello che desiderano. Basta premere un pulsante sul tablet o sullo smartphone per ottenere qualunque informazione. Una immediatezza che non ha corrispondenza su quello che dovranno affrontare, quando dovranno impegnarsi seriamente nello studio, nella ricerca di un lavoro e nelle relazioni con i loro coetanei.
Per i bambini adottati il Natale acquista un significato ancora più particolare, perchè il presepe rappresenta per essi un ponte tra passato e futuro, tra famiglia biologica e famiglia adottiva. I bambini adottati non in tenera età, riconoscono benissimo dentro il presepe tutte le contraddizioni che hanno segnato la loro esistenza: il dormire in un luogo povero, l’inospitalità della loro casa, il rifiuto dell’accoglienza da parte dei vicini.
Ma nella nuova famiglia adottiva riconoscono anche le nuove realtà dell’accoglienza e della condivisione, che gli ha restuituito quella dignità e quella regalità umana, intesa come centralità dei loro bisogni inalienabili. Continuando con le analogie del presepe, per il figlio adottato è facile immedesimarsi nei pastori, che vegliano sulla loro realtà presente ed attendono un futuro migliore all’interno di una nuova famiglia. Oppure è facile accostarsi ai magi che hanno percorso un lungo cammino seguendo la stella della speranza, quando hanno lasciato il loro paese d’origine e sono giunti nella “terra promessa” dai genitori adottivi. Non è difficile per un figlio adottato riconoscersi nei bambini di Betlemme vittime della crudeltà di Erode, quando anch’essi sono state vittime innocenti sotto la spada della fame e della violenza.