Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” ci invita al discernimento e alla responsabilità: “Esorto tutte le comunità ad avere una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi. Si tratta di una responsabilità grave, giacché alcune realtà del presente, se non trovano buone soluzioni, possono innescare processi di disumanizzazione da cui è poi difficile tornare indietro. È opportuno chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio”.
Il Papa non nasconde il disappunto verso quei cristiani che “si sentono superiori agli altri”, perché “irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato” e “invece di evangelizzare classificano gli altri”. Valutazione negativa anche verso coloro che hanno un “cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo” nei bisogni della gente (95).Questa “è una tremenda corruzione con apparenza di bene… Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).
Il Successore di Pietro ricorda l’importanza della predicazione e ricorda a chi predica di parlare ai cuori delle persone, evitando il moralismo e l’indottrinamento (142). “Un predicatore che non si prepara non è spirituale, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). La predicazione offra “sempre speranza” e non lasci “prigionieri della negatività” (159).
Patologie contrarie all’evangelizzazione toccano anche le comunità ecclesiali divise da invidie e gelosie: “Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?” (100).
Di fondamentale importanza è far crescere la responsabilità dei laici, finora tenuti “al margine delle decisioni” a causa di “un eccessivo clericalismo” (102). Un nuovo riconoscimento viene proposto alla “presenza femminile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti” (103). Alla evangelizzazione sociale il Papa dedica addirittura due dei cinque capitoli del documento. Il secondo e il quarto per l’esattezza.
Sono parole incarnate dalle quali emerge chiaramente l’esperienza di pastore vissuta nella sua Argentina colpita dalla drammatica crisi economica del 2002; ed è chiara la sua critica al “feticismo del denaro” e “alla dittatura di un’economia senza volto e senza scopo veramente umano, nuova e spietata versione dell’adorazione dell’antico vitello d’oro”.
Papa Bergoglio definisce l’attuale capitalismo finanziario come “ingiusto alla radice” (59): “questa economia che uccide” perché prevale la “legge del più forte”, scrive. Denuncia in maniera profetica la cultura dello “scarto” che ha creato “qualcosa di nuovo” e drammatico: “Gli esclusi, che non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi” (53). Afferma che fintanto che non si risolveranno i problemi dei poveri, dando delle regole “all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema”. Infine indica proprio nell’inequità, la radici dei mali sociali.
La Chiesa non può restare indifferente a tali ingiustizie: “L’economia non può più ricorrere a rimedi che siano un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando un tal modo nuovi esclusi”, afferma il Pontefice. Ampio spazio è dedicato poi alla denuncia della “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale” in cui si vive è quella a “un mercato divinizzato, dove regnano speculazione finanziaria, corruzione ramificata, evasione fiscale egoista” (56).
Come disse Giovanni Paolo II, la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). Una pagina è dedita all’ecumenismo che è “via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Dagli altri c’è sempre da imparare. Per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi – osserva il Santo Padre – noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246). Il dialogo interreligioso è a sua volta “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251). Nel rapporto col mondo il cristiano dia sempre ragione della propria speranza, ma non come un nemico che punta il dito e condanna (271).
Verso la conclusione la “Evangelii Gaudium” ci lascia due stupende indicazioni per l’annuncio della buona notizia: “Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272). “Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274).
(La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 2 dicembre)