L’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (Eg) offre una ermeneutica su come annunciare il Vangelo nella società postmoderna e nei suoi cinque capitoli Papa Francesco non solo indica un modello preciso di Chiesa “aperta”, “gioiosa”, che sappia incontrare i lontani, fedele al Vangelo e con un rapporto preferenziale per i poveri.
L’incipit dell’Esortazione si apre con un messaggio che è un inno alla felicità e alla gioia: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”.
In questo documento il Papa dona ai cristiani la chiave di lettura per annunciare la buona e bella notizia a tutti gli uomini e le donne della società postmoderna: “stato permanente di missione” (25), vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2).
Questa “tristezza” assale anche i cristiani, chiamati a vivere in un contesto culturale inedito – la società postmoderna – e il confronto con la cultura del secolarismo, del pluralismo religioso e culturale e dell’indifferentismo.
Già Max Weber e più recentemente Marcel Gauchet (1985) hanno descritto il “disincanto del mondo” verso la religione della nostra società.
Dinanzi a questa realtà, il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo” Gesù non va imprigionato entro “schemi noiosi” (11).
I cristiani sono chiamati ad “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” (25) e una riforma delle strutture ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27).
Questo richiamo Papa Francesco lo fa prima di tutto a se stesso, ricordando il bisogno di “una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”.
In tal senso si comprende perchè il Papa chiede di valorizzare concretamente il “senso di collegialità” (32).
Collegialità e sussidiarietà sono fondamentali: “una salutare decentralizzazione” (16) e in questa opera di rinnovamento scrive Papa Francesco: “La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi” (22).
In altre parole non bisogna aver timore di rompere con le consuetudini storiche della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo” (43).
Altro input per l’evangelizzazione in una società multiculturale in un mondo globalizzato: “Questo Popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura” (115): “la diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa” (117).
E cioè evangelizzare non significa imporre determinati codici culturali, per quanto queste siano storicamente evolute. Difatti il rischio è di sacralizzare una cultura, di cadere nel fanatismo scambiato per fervore religioso (117).
Al centro dell’Esortazione c’è il verbo: “uscire”. Papa Francesco chiede che le chiese abbiano sempre “le porte aperte” perché l’uomo e la donna del nostro tempo, sempre più “isole sperdute” nell’oceano della massa anonima, non incontrino anche “la freddezza di una porta chiusa”.
Secondo il Papa, nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero mai chiudere. L’eucarestia stessa “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
Tutto questo comporta “anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia” (47). Papa Francesco ribadisce un concetto più volte ribadito nel suo pontificato:”Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37).”
In questo si manifesta una grande minaccia il “grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando” (83).
Allo stesso tempo il Papa invita a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84) e invita i cristiani ad essere sempre segno di speranza (86) attraverso la “rivoluzione della tenerezza” (88).
(La seconda parte segue domani, martedì 3 dicembre)