L'essere umano è uno spirito incarnato (Seconda parte)

L’antropologia personalista di San Tommaso d’Aquino

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La persona, secondo San Tommaso, è principium quod, è il principio che agisce. Colui  che agisce è la persona e agisce secondo la propria natura umana; in ogni sua azione non si può quindi separare ciò che è spirituale da ciò che è corporeo perché   compositum est quid quod agit, è il “composto  di anima e corpo” ciò che agisce.

Il fatto che non ci sia separazione non significa che non si debbano distinguere nell’essere umano operazioni di carattere materiale, come ad esempio mangiare, camminare, ecc. da altre di tipo spirituale come riflettere, pregare ecc.

La presenza di attività spirituali presuppone, come è stato evidenziato precedentemente[1], l’esistenza dell’anima spirituale e della sua causa efficiente, cioè di Dio, inteso come Spirito assoluto.

L’anima umana essendo immateriale non può corrompersi come avviene necessariamente per ogni sostanza corporea. Infatti, filosofi come Pitagora, Platone, Cartesio,  che sostengono la spiritualità dell’anima, affermano anche la sua immortalità e la sua origine divina, ma, come abbiamo visto[2], secondo loro il rapporto dell’anima con il corpo è superficiale e esteriore e non è intrinseco come nell’antropologia tommasiana.

San Tommaso, in continuità con Aristotele, afferma che l’anima è forma corporis e, essendo  la forma del corpo,  lo informa tutto, cioè è presente intimamente in tutto il corpo umano, facendo vivere ogni sua parte.

L’anima umana, essendo forma del corpo, anche se è spirituale  dovrebbe seguire il destino del corpo e morire nel momento in cui quest’ultimo si corrompe, così come la distruzione del marmo (corpo) di una statua comporta la distruzione della statua (forma).

San Tommaso, accettando l’insegnamento di Aristotele, dovrebbe pervenire a queste conclusioni.

Fuček scrive in proposito:

“L’ilemorfismo aristotelico vede l’anima come la forma del corpo. Quindi i due sono i principi sostanziali dell’unità dell’uomo: materiale  (corpo) e formale (anima). Con ciò si salva bene l’unità dell’uomo, la quale è sostanziale e non accidentale,  però si mette in pericolo l’immortalità dell’anima, giacché l’anima è […] la forma. Ma […] la forma non è realtà sostanziale, bensì appartiene ai principi dell’essere. Quindi […] la forma cessa di esistere con la morte dell’uomo. In altre parole: la forma del corpo umano dura finché non finisce l’unione tra anima e corpo”[3].

San Tommaso risolve genialmente la questione evidenziando come l’anima sia non soltanto forma materiae (forma del corpo) ma anche forma immaterialis, cioè una forma spirituale sussistente, che possiede due facoltà spirituali specifiche: l’intelletto e la volontà[4]. Se l’anima è una forma sussistente significa che essa esiste in sé, quindi indipendentemente dal corpo, conseguentemente quando esso si corrompe e muore l’anima spirituale continua a esistere.

E’ necessario però chiedersi perché l’anima è una realtà sussistente.

“La natura di una realtà – scrive il Filosofo – è rivelata dal suo operare”[5] e nell’essere umano sono presenti attività di carattere spirituale indipendenti dal corpo,  che presuppongono come loro causa una realtà che deve essere indipendente da esso, cioè una realtà spirituale sussistente: l’anima.

La filosofia scolastica insegnava che agere sequitur esse, l’agire segue l’essere (l’esistere): se una realtà agisce  indipendentemente dal corpo,  è, cioè esiste, indipendentemente dal corpo. Le attività spirituali dell’anima umana, attestando la loro autonomia dal corpo, testimoniano l’indipendenza dell’anima dalla materia e quindi la sua immortalità[6]. Al contrario “l’anima delle bestie – scrive San Tommaso – non avendo un’attività propria, non può essere sussistente, perché ogni essere esiste nello stesso modo in cui agisce”[7].

L’anima umana, a differenza da quella animale, sopravvive alla  corruzione del corpo essendo immortale.

Scrive in proposito Giacon:

“Quando […] il corpo umano si disgrega, l’anima umana cessa di esercitare quelle funzioni che esercitava nel corpo, in quanto era anche vita del medesimo. Come nel caso dell’amputazione di un membro, l’anima cessa di esercitare in esso le funzioni della vita, e quel membro rimane morto, mentre l’anima continua a vivificare il rimanente del corpo, così, quando tutto il corpo si disgrega, l’anima spirituale cessa di esercitare totalmente le funzioni vivificatrici della materia, e si ritrae, per così dire, tutta in se stessa, poiché avendo altre funzioni, continua ad esistere esercitando queste altre. Soltanto un’azione opposta a quella che l’ha fatta esistere, potrebbe farla morire. Ma di natura sua non è soggetta alla corruzione e alla morte; l’anima umana è naturalmente immortale”[8].

L’anima umana continua dunque ad esistere dopo la morte del corpo, il quale subisce una trasformazione sostanziale e da corpo umano diventa cadavere. La persona umana, dopo la morte, è incompleta perché sopravvive soltanto come io spirituale con tutte le attività propriamente spirituali, ma è priva di ogni dimensione corporea. L’anima sarà per sempre separata dal corpo al quale era intimamente unita durante la vita terrena o ci sarà una riunificazione? La filosofia  è impossibilitata a rispondere a queste domande, ma può affermare con assoluta certezza che l’essere umano è essenzialmente persona, cioè, come afferma San Tommaso: “questa carne, queste ossa, questa anima, che sono i principi che individuano l’uomo”.

(La prima parte è stata pubblicata sabato 7 dicembre)

*

NOTE

[1] Vedi i precedenti articoli pubblicati su Zenit con il titolo: L’anima esiste ed è immortale.

[2] Ibidem.

[3] I. Fuček, La sessualità al servizio dell’amore. Antropologia e criteri teologici, Edizioni Dehoniane, Roma 1993, p. 83.

[4] Cfr,F. Van Steenberghen, Le Thomisme, cit. , p. 91.

[5] San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, 1, LXXVI, 1.

[6] Cfr. ibidem, 1, LXXV, 2.

[7] Ibidem, 1, LXXV, 3.

[8] C. Giacon, Le grandi tesi del tomismo, cit., p. 190.

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Maurizio Moscone

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