Tutto questo si trova nel libro “Cosi Combattevamo il Duce” (Kogoi Edizioni) scritto da Luciano Regolo.
Il libro è ricavato dagli inediti scritti di Sofia Jaccarino, dama di corte e amica stretta dell’ultima regina d’Italia. Si tratta una ricostruzione incalzante dell’azione condotta da Maria José per avvicinare la Corona sia all’opposizione antifascista in Italia sia alle potenze democratiche dell’Europa di fine anni Trenta.
Gli incontri segreti con Benedetto Croce, Umberto Zanotti Bianco, Monsignor Giovannni Battista Montini, e altri personaggi come Adriano Olivetti, le conversazioni in codice o sussurrate nei bagni del Quirinale tirando lo sciacquone per impedire che fossero registrate.
Un libro che, attraverso le figure affascinanti di due donne, la principessa Maria José e Sofia, chimica e restauratrice di bronzi antichi in un laboratorio al Palatino, teatro di conciliaboli contro la dittatura, ricostruisce e restituisce dignità a un tentativo politico, culminato in un tentativo di golpe nel 1938, al quale parteciparono anche i vertici militari, che certa storiografia, sminuendolo, ha etichettato come “congiura delle dame“.
L’autore del libro è Luciano Regolo, giornalista, scrittore e conduttore televisivo, già collaboratore importanti testate giornalistiche, come Repubblica, Oggi, Gente e Chi. Dal 2005 al 2008 è stato direttore di Novella 2000.
Esperto di famiglie reali, ha approfondito in particolare la storia dei Savoia. Sull’argomento ha pubblicato dal 1997 al 2002 numerosi libri: “La Regina Incompresa” , “Il Re Signore” “La Reginella Santa” dedicato alla Venerabile Maria Cristina, e “Jelena” incentrato sulla figura di Elena di Savoia, tutti editi da Simonelli. Per Mondatori Regolo ha pubblicato “Natuzza Evolo, il miracolo di una vita” e “Il dolore si fa gioia Padre Pio e Natuzza. Due vite, un messaggio”.
ZENIT lo ha intervistato.
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Quali sono le novità storiche più rilevanti che emergono dall’archivio inedito di Sofia Jaccarino, amica di Maria José di Savoia?
Luciano Regolo: Sul piano generale documentano, quasi giorno per giorno, con date, luoghi e nomi, e danno il giusto peso all’azione di Maria José di Savoia, allora principessa ereditaria, per mettere in contatto l’opposizione antifascista con la Corona e coagulare ogni forza avversa alla dittatura per rovesciare il duce, spingendo il suocero, Vittorio Emanuele III a intervenire. Questo tentativo si estende in un arco di tempo che va dal 1937 al 1943. Nello stesso tempo le carte di Sofia documentano l’azione diplomatica di Maria José che sonda con largo anticipo gli umori dei governi alleati nel caso di una caduta della dittatura in Italia e di una rottura dell’asse con la Germania nazista. Tra i documenti più importanti quelli che riguardano il primo incontro, illuminante per la principessa, con Benedetto Croce, favorito dal grande archeologo Spinazzola, col filosofo travestito da “architetto” negli scavi di Pompei per sfuggire ai controlli dell’Ovra. Oppure quelli che riguardano i contatti di Maria José con Stepanov, suo maestro di storia dell’arte, in contatto con la Rosa Bianca il movimento studentesco antihitleriano diffusosi in Germania e Austria, o, ancora con il giurista Carlo Antoni. Emerge inoltre l’assoluta infondatezza storica di certe voci, riportate anche da testate autorevoli, di una love-story tra Maria José e Mussolini. Erano vanterie del duce stizzito dall’atteggiamento della principessa e intenzionato a screditarla. Le carte di Sofia Jaccarino, però, sono anche un bellissimo spaccato di una amicizia rara. Nel laboratorio per il restauro di bronzi antichi che Sofia occupava ai Fori Imperiali avvennero rocamboleschi incontri a sfondo antifascista, con tanto d’improvvise irruzioni della polizia.
L’opposizione al Duce era solo di Maria José? Chi altro dei Savoia e dei gruppi vicini alla Corona si opponeva al dittatore fascista?
Luciano Regolo: Era condivisa intanto da Umberto, il marito, che tuttavia non poteva esporsi in prima persona non solo per “obbedienza” al re suo padre, ma anche per via di un dossier ricattatorio sulla sua presunta omosessualità, aperto per ordine di Mussolini già nel 1926. Questa è una variabile di solito molto trascurata dagli storici che invece fa comprendere alcune scelte autolesioniste per la Corona avallate da Vittorio Emanuele III. Una di queste fu la legge, nel 1928, sul Gran Consiglio del Fascismo, che dava a quest’ultimo la facoltà di esprimere un parere sull’idoneità alla successione di un erede al trono. Su questa norma Maria José andò a chiedere spiegazioni direttamente al duce a Palazzo Venezia, mettendolo in forte imbarazzo. Lei e Umberto furono comprimari di un tentato golpe nel 1938 che prevedeva di mettere il re di fronte al fatto compiuto. Con il controllo di tutti i centri nevralgici a livello militare e di ordine pubblico, garantito dall’ottimo rapporto di Maria José con Carmine Senise capo della polizia e con Vittorio Ambrosio capo dello Stato Maggiore, Mussolini sarebbe stato arrestato, Umberto avrebbe abdicato in favore di suo figlio e la moglie sarebbe diventata reggente (idea che Croce riproporrà anche nel 1946) mentre un avvocato di Milano, Carlo Aphel, sarebbe diventato capo del governo. Aphel aiuterà poi Maria José, in casa di Sofia, a scrivere un proclama per le donne quando diventò regina nel 1946. Ma poi non le fu permesso di pronunciarlo dall’establishment del Palazzo. Questa è una documentazione molto importante sul piano storico. Anche Pietro Badoglio è uno degli interlocutori abituali dei piani antifascisti. Quello del 1938 fallì per il Trattato dei Sudeti che sembrò scongiurare la minaccia di una guerra. Galeazzo Ciano, poi, passava sia a Umberto, sia a Maria José preziose informazioni, poiché anche il genero del duce, dopo il Patto d’acciaio divenne antitedesco. Entrambi i principi di Piemonte, inoltre, erano in contatto con Balbo divenuto fortemente critico verso Mussolini e Maria José si rivolse anche a lui perché parlasse col duce e lo convincesse a non far entrare in guerra l’Italia. Ma non esitò allo stesso modo anche a cercare un contatto con i comunisti fuoriusciti, attraverso Concetto Marchesi. Tanti monarchici hanno accusato Maria José di essere ostile al suocero o rivale del marito. In realtà agì sempre di concerto con Umberto (Sofia fu messa proprio dal principe che la conosceva fin dall’adolescenza accanto alla moglie) e informò per il tramite di Acquarone, ministro della Real Casa, Vittorio Emanuele III sia delle posizioni dei dissidenti al fascismo, sia di quelle dei governi Alleati. Il re se ne avvantaggiò, ma istigato anche da Acquarone, alla caduta del duce, disse che le donne di Casa Savoia non dovevano occuparsi di politica e la spedì “per punizione” a Sant’Anna di Valdieri con i figli. Per questo Maria José fu sorpresa dall’armistizio dell’8 settembre in alta Italia e riparò in Svizzera, mentre il resto dei Savoia andavano a Brindisi, in quella che passerà alla storia come “la Fuga di Roma”.
(La seconda parte segue domani, martedì 17 dicembre)