di Salvatore Cernuzio
ROMA, giovedì 16 febbraio 2012 (ZENIT.org) – L’arte come strumento privilegiato per la nuova evangelizzazione. Partendo da questo assunto, sono ormai numerosi i progetti portati avanti dalla Chiesa cattolica per promuovere il dialogo mai interrotto tra arte e fede. Tra questi spicca Una porta verso l’Infinito. L’uomo e l’Assoluto nell’arte, promosso dall’Ufficio Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma, in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura.
Il progetto, iniziato il 22 dicembre 2011, prosegue con un nuovo appuntamento, nella basilica di Santa Maria in Montesanto – Chiesa degli Artisti in piazza del Popolo, dal titolo In dialogo: fede e arti figurative, alle 19.30 di sabato 18 febbraio, memoria liturgica del Beato Angelico, patrono degli Artisti.
Tra gli illustri ospiti del convegno va segnalata la presenza di monsignor Timothy Verdon, direttore dell’Ufficio Arte sacra e Beni culturali dell’Arcidiocesi di Firenze, tra i maggiori storici d’arte viventi, che ha rilasciato un’intervista a ZENIT.
Monsignor Verdon, l’incontro di sabato sarà un’occasione per celebrare la memoria del Beato Angelico, il santo pittore domenicano che Giovanni Paolo II indicò quale esempio per tutti gli artisti. Perchè, ancora oggi, possiamo considerarlo tale?
Timothy Verdon: Sicuramente per gli artisti del sacro, l’Angelico è un modello più attuale che mai. Anche il Vasari racconta, in una biografia del ‘500, riportando alcune ‘testimonianze’, che questo artista non affrontava mai il compito di dipingere senza aver prima pregato. Spesso, infatti, quando rappresentava una scena della Passione di Cristo arrivava al punto di commuoversi fino a bagnare le gote di lacrime.
L’ Angelico era un artista che si immedesimava profondamente nel soggetto che dipingev, possiamo considerarlo, quindi, un esempio per tutti coloro che hanno un approccio con l’arte sacra.
Il Beato Angelico si può considerare un modello anche per gli artisti non credenti?
Timothy Verdon: Sì, il Beato Angelico è un modello per i non credenti, perché come artista ha sempre cercato di approfondire un’indagine nella forma, nell’estetica e nel contenuto, verso una comprensione più profonda del soggetto umano. Lo stesso Giovanni Paolo II, nella sua Lettera agli Artisti, insisteva sul fatto che quando l’arte contemporanea sembra lontanissima dai principi della fede, se è autentica e rappresenta una vera indagine dell’uomo sugli interrogativi ultimi, ha un valore spirituale e può servire alla Chiesa.
Cosa rende tuttora innovativa l’arte del Beato Angelico?
Timothy Verdon: L’Angelico è stato un artista che pur lavorando all’interno di una committenza tradizionale, ha avuto il coraggio e l’inventiva di applicare le più affascinanti innovazioni stilistiche del suo tempo proprio ai soggetti sacri. Ha creato uno stile innovativo, nel quale si è compiuta una sintesi, non solo esteriore, della tradizione, ovvero dei principi antichi, e del moderno, di tutto quello, cioè, che apre alla fantasia orizzonti nuovi.
E’ stato quindi un artista che ha sintetizzato nelle sue opere il dialogo tra “Fede e Arti figurative”, come recita il titolo dell’evento di sabato 18. Quanto è stato proficuo nella storia il rapporto tra arte e fede?
Timothy Verdon: Questo dialogo è stato fondamentale non solo per l’arte cristiana: nelle civiltà antiche, infatti, l’arte nasce e si sviluppa in un contesto cultico e religioso. Nel cristianesimo l’arte si assume il compito di rendere visibile l’immagine dell’invisibile Dio. Acquista dunque una dimensione più profonda, proponendosi in diretta analogia con Colui che da Verbo espressivo è diventato Verbo incarnato e visibile. Il rapporto tra arte e fede non è uno dei molti rapporti importanti, ma il rapporto fondamentale.
Nell’arte contemporanea si è perduto questo tipo di approccio o si può ancora considerare l’arte come veicolo per avvicinare l’uomo a Dio?
Timothy Verdon: L’arte sarà sempre un mezzo per far scoprire la grandezza di Dio agli esseri umani, per il fatto che il talento artistico viene da Lui.
Anche gli artisti non credenti in qualche modo riconoscono di non essere creatori del loro talento, ma di averlo ricevuto come un Suo dono. Oggi tutto questo è più difficile perché l’artista, come tutti noi, vive in una società secolarizzata, nutrito solo saltuariamente e in maniera inadeguata di contenuti religiosi, senza essere aiutato dalla stessa Chiesa a comprendere il senso della sua vocazione.
Quali problemi gli artisti contemporanei si trovano ad affrontare?
Timothy Verdon: Credo che uno dei problemi principali sia proprio quello del linguaggio artistico con cui esprimere le cose che ognuno percepisce dentro. La tentazione per molti, infatti, è quella di dedicarsi all’arte sacra ripiegandosi su linguaggi del passato. D’altra parte i linguaggi contemporanei sono difficili da applicare perché nascono in contesti lontani dalla Chiesa, spesso a scopi antitetici a quelli dell’arte sacra.