di Sergio Mora

ROMA, lunedì, 6 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Un Forum internazionale di tre giorni, all’insegna della perenne dialettica tra fede e ragione, si è svolto a Roma dal 26 al 28 gennaio nella sede della Pontificia Università Lateranense,

L’incontro a cui hanno partecipato cardinali, vescovi, docenti di teologia e studenti è stato organizzato della Pontificia Accademia di Teologia. Sulla linea dei precedenti cinque Forum che ogni due anni trattano aspetti peculiari soprattutto in cristologia, l’attuale aveva come obiettivo l’approfondimento e la verifica di quanto prospettato nel documento conciliareOptatam totius16, il cui contenuto riguarda gli studi e l’insegnamento in teologia.

Notevole è stata l’articolazione del Convegno, i cui lavori si sono mossi attorno alla problematica del fare teologia oggi, per concentrarsi poi nell’ascolto delle culture che a loro modo interpellano il lavoro del teologo. Il successivo impegno da parte dei relatori e dei presenti è stato quello di confrontarsi sulle principali discipline teologiche per evidenziarne il rapporto con il mistero di Cristo.

Se questo appare evidente, in ragione dello stesso “fare teologia”, non altrettanto evidente risulta l’obiettivo del dettato conciliare che invita a cogliere nella celebrazione del mistero di Cristo il luogo di incontro e di sintesi tra riflessione e vita ecclesiale.

Per fare il punto sul dibattito teologico e sui risultati del Forum Zenit ha intervistato don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, Preside del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis e Direttore della “Rivista Liturgica”.

Cosa è emerso dal Forum?

Sodi: L’obiettivo fondamentale è stato quello di porre in evidenza l’attualità del dettato conciliare di Optatam totius 16 quasi a cinquant’anni di distanza, e constatare che quel testo è ancora un po’ disatteso a motivo di una notevole non dialogicità tra le varie discipline teologiche. Questo interpella noi teologi a lavorare con più impegno secondo un orizzonte che conduca a vedere che nel mistero di Cristo celebrato si compie un incontro tra fede e vita. Gli studi teologici hanno bisogno di una simile prospettiva di sintesi perché a loro volta i futuri presbiteri possano offrire una linea sicura nella formazione del popolo di Dio.

Cosa è stato disatteso?

Sodi: In particolare due aspetti: la difficoltà nel parlarsi tra le varie specializzazioni, e di conseguenza l’incertezza nel perseguire quell’obiettivo che il Concilio indica in termini precisi: realizzare cioè un “contatto più vivo con il mistero di Cristo”. Se le varie discipline teologiche, pur nel rispetto delle proprie competenze e metodologie, non aiutano ad elaborare una sintesi tra fede e vita, permane l’assenza di una visione di sintesi i cui riflessi si constatano non tanto nella celebrazione quanto soprattutto nel rapporto tra mistero di Cristo studiato, celebrato e vissuto.

Vale a dire?

Sodi: Tutto questo è un invito pressante perché il mistero di Cristo sia sempre al centro della riflessione e di conseguenza possa impregnare la vita della Chiesa e la spiritualità del credente. Ma tutto ciò sarà possibile se le singole discipline teologiche avranno il coraggio di tener presenti quelle indicazioni conciliari (da rileggere nell’ottica di tutto il documento).

C’è un ritorno all’essenziale?

Sodi: Sì, per alcuni aspetti. Abbiamo discusso sul come sviluppare il dialogo tra le diverse specializzazioni tenendo presente quello che è il cuore della teologia e cioè il mistero di Cristo che si incontra concretamente nella liturgia. Perché è lì che si attua l’esperienza viva e vivificante del mistero di Cristo. Esperienza che nasce dai contenuti offerti dai temi biblici e che si approfondisce nei vari trattati di teologia. Un’esperienza che va studiata lungo i percorsi della storia della Chiesa, tenendo al centro il luogo principale e reale di tale esperienza viva e vivificante, cioè la celebrazione.

Per un fedele che significa questo?

Sodi: Per un fedele questo può significare tutto, perché quell’esperienza unica costituita dalla messa domenicale e dalla celebrazione dei sacramenti dà senso a tutta la vita di fede illuminando le realtà di ogni giorno., creando cioè una spiritualità che ha la sua sorgente proprio là dove agisce lo Spirito Santo.

E per i sacerdoti?

Sodi: Quanto emerso dall’insieme dei lavori si riflette ovviamente nella prassi pastorale e nella spiritualità. Bisogna tener conto di questa opportunità di sintesi qual è offerta dall’esperienza liturgica del mistero di Cristo non solo divulgando opere e sussidi, ma contribuendo ad elaborarla in particolare attraverso le omelie, le catechesi, la lectio divina, gli incontri formativi, ecc.

Quali le indicazioni per gli operatori in missione?

Sodi: I cooperatores veritatis, come i teologi, sono destinati ad essere partecipi della luce della mente di Dio attraverso il contatto vivo con il mistero di Cristo, e questo al fine di acquisire una sapienza che si apra a una conoscenza profonda della storia della salvezza, e che permetta un’adesione più piena al progetto di Dio.

Quale bilancio dopo 50 anni?

Sodi: Molto è stato il cammino compiuto dopo il Concilio Vaticano II, ma rimane ancora tanto da fare. Bisogna ripartire dal mistero di Cristo sviluppando percorsi teologici sempre più rispondenti alle attese della Chiesa, soprattutto oggi in ragione di quel dialogo tra fede e ragione in cui siamo spinti da varie sollecitazioni. Il Concilio è più vivo che mai nei suoi dettati e negli orientamenti; ma il passaggio dalla lettera all’attuazione concreta risulta essere una sfida permanente. Ecco perché la PATH si è mossa anche su questa linea con il presente Forum.

Questo vostro lavoro rientra nell’orizzonte anche del “cortile dei gentili”?

Sodi: Non in maniera diretta, come altri percorsi che il Pontificio Consiglio della Cultura sta cercando di portare avanti; ma in modo indiretto sì, in quanto anche la nostra riflessione cerca di intrecciare il percorso di ricerca che permetta un dialogo onesto e coraggioso con chiunque senta il bisogno di un rapporto tra fede e ragione. La sessione dedicata all’auditus culturae – presieduta dallo stesso card. Gianfranco Ravasi – ha avuto proprio questo obiettivo: sollecitare un più attento ascolto delle culture perché la teologia sia ancora più un lavoro del logos alla luce del Logos!

Saranno pubblicati gli Atti del Forum?

Sodi: La PATH ha una rivista intitolata proprio “PATH”, un termine assunto nel suo significato di cammino. In due volumi annuali essa offre riflessioni attorno a tematiche che riguardano la teologia, frutto della collaborazione dei numerosi Accademici sparsi nel mondo. L’Accademia pubblica anche una collana che accompagna la rivista, dal titolo ITINERARIA, con 6 volumi già editi sempre dalla Libreria Editrice Vaticana. I risultati degli interventi del VI Forum costituiranno il materiale del primo volume del 2012 che apparirà entro il mese di giugno di quest’anno.