di Mariapaola Bianchini

ROMA, sabato, 18 febbraio 2012 (ZENIT.org).- “Molto forte incredibilmente vicino” è un film in uscita al cinema tra febbraio e marzo 2012. Prima ancora è un libro di Jonathan Safran Foer pubblicato nel 2005, che parte dall´attentato alle torri gemelle per indagare in termini universali i temi di perdita e morte. E prima ancora è la storia di un bambino speciale, cui sono arrivata casualmente passeggiando tra gli scaffali della libreria Masone prima di un cortometraggio del giovedì sera.

Nel trafiletto della copertina c´era una sintetica presentazione del protagonista: “Oskar è newyorkese di 9 anni a suo modo geniale, ama inventare singolari dispositivi”. Poche informazioni ma sufficienti per incuriosirmi – “che vorrà dire, a suo modo geniale?”.

Comincio a conoscere Oskar e comprendo che “geniale” sta anche e soprattutto per “speciale”. Uno speciale per pochi, di quelli che i professionisti del settore nominano con un´etichetta precisa. Non cercatela su internet che potreste imbattervi in qualcosa scritto male.

Facendo una ricerca ho letto un po´ di tutto: - Oskar ha una leggera forma di autismo -, come se ripararsi sotto il letto o tirare la lampo del sacco a pelo di sé stesso o farsi lividi per proteggersi dalle emozioni, fosse qualcosa di “leggero”. - Oskar ha un morbo. – Etimologicamente morbo deriva da mors, morte, come se essere in qualche modo speciali e non mangiare il cioccolato, vestirsi solo di bianco, essere rigidi, voler stare soli, conducesse necessariamente alla fine di se stessi.

E poi - Oskar ha la malattia di Asperger – Malattia è il risultato di un´alterazione, fisica, psicologica, sociale, che può o portare alla morte o riassorbirsi e tornare all´equilibrio attraverso la terapia. Come se nascere in un certo modo fosse già di per sé un´alterazione; ma rispetto a cosa? E poi, quale sarebbe la terapia in grado di guarire da ciò che si è?

Personalmente ritengo che una persona non abbia bisogno di un´etichetta per essere vissuta, ma vero anche che le etichette servono a riconoscere e a capire la diversità e anche a valorizzare e ad apprezzare la singolarità di ognuno. Singolarità che è sempre sacra. Oskar è singolare davvero, come certi bambini che ho conosciuto in questi anni. Incredibilmente speciali. Come Lorenzo che mi parlava attraverso i libri e mi regalava disegni che erano opere d´arte. Come Lucia che mi parlava attraverso i suoi occhi da cerbiatta, portandomi velocemente al cuore delle cose.

Oskar, a soli 9 anni, se ne va in giro con già in tasca un biglietto da visita, se mai qualcuno avesse bisogno di un inventore, un designer e fabbricante di gioielli, un entomologo, un francofilo, un vergano, un origamista; e poi ancora di un astronomo o di collezionista di oggetti vari.

Insomma, Oskar è un bimbetto intelligente, un mezzo genio. Con degli interessi particolari, di certo diversi da quelli dei coetanei. Ha un linguaggio molto ricercato, con termini da enciclopedia. Però ha un modo particolare di parlare, a cadenza regolare senza un´intonazione. Sta sempre sul letterale e non parlategli con le metafore perché proprio non può capirle. Se non comprende una domanda è facile che risponda: “È una domanda retorica?”. A quel punto fategliene un´altra, magari accompagnandola con un disegno, che il visivo gli facilita la comprensione.

Strano per un bimbetto che sembra avere un quoziente intellettivo sopra la media; eppure è così: il suo linguaggio ha punti di debolezza. Ma chi non ce li ha, i punti di debolezza? Oskar ama fotografare; va in giro per New York con la sua macchinetta fotografica a registrare persone, oggetti, dettagli. Ha bisogno di trasformare la vita che respira in immagini, perché il suo cervello gli chiede così: è come se tutto fosse elaborato attraverso il visivo.

È anche il suo punto di forza, quello che spiega come riesce a memorizzare velocemente il contenuto di interi libri, gli incroci di percorsi, le insegne di tutti i negozi di New York, il punto esatto degli alberi, dei fiori, dei laghetti di Central Park.

Insomma, di fare cose che non è dato fare a noi persone normali, con un cervello normale. Ma non provate ad abbracciarlo, altrimenti si agita. E neanche a sfiorarlo con un tocco di dito, che potrebbe scappare. E se lo invitate ad una festa, non alzate il volume della musica perché i suoni alti lo farebbero gridare, non riesce proprio a sopportarli. E le emozioni? Corre voce che bimbi come Oskar non abbiano emozioni, perché sono solitari, strani, inespressivi.

Ebbene, se avete un po´ di tempo da dedicare alla conoscenza di qualcuno, allora vi consiglio di conoscere Oskar. Se glielo permetterete, vi porterà incredibilmente vicino alle corde più nascoste di voi stessi connettendovi con emozioni pure e bollenti.

Oskar perde il papà in modo traumatico e non sa come elaborare. Ci prova nei modi più strani perché è un bimbo aspie (bimbo con sindrome di Asperger), non sa comunicare la rabbia, la paura, l´ansia, la tristezza ma assolutamente le ha. Come ha tutte le altre, quelle piacevoli che lo fanno “scompisciare”.

Le emozioni sono la parte più profonda di noi, come profonda è la zona del cervello che le gestisce. Differente non significa assente, e le emozioni che provano i bambini aspie possono essere travolgenti come le nostre, spesso anche di più. Tutto ciò rientra nel prezioso patrimonio della diversità, motivo per cui vi ho presentato Oskar e la sindrome di Asperger. Ognuno ha il diritto di essere se stesso, e di essere aiutato, come tutti, a superare le proprie difficoltà e far frutto della proprie capacità: la diversità può essere anche una risorsa.

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