"La vita non è un colpo di fortuna"

Il discorso del cardinale Bagnasco al convegno sul gioco d’azzardo

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ROMA, venerdì, 24 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il testo dell’intervento conclusivo del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), al convegno sul gioco d’azzardo, che si è svolto oggi nel capoluogo ligure su iniziativa della Fondazione Antiusura.

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Un cordiale saluto a tutti e un vivo ringraziamento alla Fondazione Antiusura della nostra Diocesi che ha organizzato opportunamente questo Convegno. Al suo Presidente, Mons. Marco Granara, e ai collaboratori rinnovo la mia stima grata e il sentito apprezzamento per il servizio che da quindici anni offrono a quanti vengono a trovarsi in situazioni di grave difficoltà.

Da tempo il gioco d’azzardo è presente anche nel nostro Paese come una piovra che allunga i suoi mortali tentacoli promettendo molto e sradicando moltissimo, non di rado tutto, per i ben noti motivi. Sono testimone di quanto la Fondazione genovese sia da sempre un sensore attento e costante di tutto ciò che, a monte, può condurre a situazioni di tale disagio così da spingere nel vortice strangolatore dell’usura. In quest’opera di vigile osservatorio è necessario continuare.

Purtroppo non ho potuto partecipare al Convengo fin dall’inizio, ascoltando i diversi interventi per i quali ringrazio gli stimati Relatori, e quindi mi inserisco – in ultimo – per aggiungere alcune mie considerazioni che riprendono in parte quanto già ho espresso in alcune occasioni nazionali. Immagino che siano state formulate anche delle proposte concrete, mirate su scala locale e nazionale, e chiedo scusa se probabilmente ritornerò su cose già dette questa mattina. Ma, come si suol dire, “repetita iuvant”!

1. Un’emergenza sociale

Ho letto che in Italia ci sono un milione e ottocento mila giocatori a rischio, di cui ottocento mila sono da considerarsi “malati” perché giocatori patologici e compulsivi; e che nello scorso anno sono stati bruciati circa ottanta miliardi, quasi il doppio della manovra “salva Italia” del Governo Monti. Inoltre, è ormai risaputo che a Genova sono fiorenti 46 mini-casinò, i quali hanno coinvolto un numero esorbitante di minorenni. Questi pochi dati fanno comprendere che siamo di fronte ad una vera emergenza sociale. Quando si bruciano infatti le risorse, inseguendo il miraggio della vincita, resta solo la cenere e, per continuare a sbarcare l’inevitabile lunario, si cercano altre strade rovinose per sé e per i propri cari. Per questa ragione dicevo recentemente che “è necessario arginare la piaga del gioco d’azzardo, quale fuga disperata da una realtà ritenuta ingrata, o quale seducente sirena di vita facile, ma che si rivela come abbruttente dipendenza che deforma l’umano dell’uomo e sconquassa le famiglie” (A. Bagnasco, Prolusione al Consiglio Episcopale Permanente, 23.1.2012). L’azzardo esasperato, mentre illude, si rivela essere un fattore non indifferente del malessere generale e di destabilizzazione sociale, creando dei circoli viziosi non solo per i singoli che entrano nel giro della dipendenza psicologica ed emotiva, ma anche per la collettività intera che viene a risentirne sul piano della solidità e della sicurezza.

2. Una cultura più umana

Questa situazione di fatto, di cui siamo ormai tutti avvertiti e speriamo tutti preoccupati, testimonia una verità che oggi spesso viene non solo disattesa, ma anche negata: e cioè che siamo legati gli uni altri, e che ogni comportamento personale ha risvolti anche sul piano sociale, ricade prima o dopo su tutti. Viceversa, la mentalità corrente, ragiona in termini di individualismo parossistico e cieco, secondo cui ognuno deve fare ciò che vuole e che si sente di fare, come se il riferimento unico del proprio agire fosse solo lui stesso; come se fosse una monade indipendente dagli altri, come se gli altri non c’entrassero con le sue scelte in alcun modo, e la sfera del privato, certamente da rispettare, fosse estesa quanto l’esistenza in ogni suo forma e momento. In realtà, come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI recentemente, “La nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale” (Messaggio per la Quaresima 2012).

Dalla constatazione empirica siamo dunque passati alla riflessione teoretica, e ciò non significa fare dell’astrazione, ma risalire ai principi che sempre sono sottesi alla prassi degli uomini e delle società. Se dall’esperienza dobbiamo imparare – historia magistra vitae – allora un primo rimedio da invocare per noi e per il Paese è una cultura diversa da quella che viene mediata continuamente e che respiriamo; una cultura che non ci è estranea ma che dobbiamo tutti richiamare alla coscienza. Essa nasce da un umanesimo relazionale e aperto alla Trascendenza: l’uomo non è un soggetto chiuso in se stesso e autocentrato, ma aperto sulla realtà intera, in dialogo con la vita. Realtà e vita che ci vengono incontro attraverso il volto degli altri e il volto dell’Assoluto che fonda la nostra contingenza umana, e le dona luce e destino. L’uomo è dunque un soggetto ad alta densità relazionale che vive e si sviluppa in un contesto familiare e sociale. E’ in relazione innanzitutto con Colui che lo pone nell’essere, e quindi con gli altri in una reciprocità di dono. Se le proprie scelte non vengono vissute dentro a questo orizzonte culturale, allora ognuno è legge a se stesso, e gli altri sono percepiti come legami fastidiosi, come dei vincoli da cui liberarsi se non sono utili. Prevale allora la categoria dell’utile non della verità e del bene.

3. Il compito educativo

Siamo entrati, così, nell’orizzonte educativo, quello che è decisivo anche se richiede tempi propri. In questo senso dicevo che bisogna resistere “alle malattie nuove di una post-modernità infragilita dalle proprie ossessioni prima ancora che dai deficit di bilancio” (A.Bagnasco, Prolusione cit.). Vi sono, infatti, delle storture culturali ed educative che, se non riprese e corrette con decisione e unitariamente, coltivano illusioni devastanti a cui seguono infelicità e depressione non solo dei singoli – soprattutto delle giovani generazioni – ma della società intera. Le malattie che evocavo sono quelle note del mito della vita facile e gaudente, come se la disciplina, la fatica e l’impegno quotidiano fossero cose superate d’altri tempi, magari oggetto di irrisione. L’educazione piena, che trova il paradigma e la sorgente nel Signore Gesù, ci parla invece della vita come dono e compito, come libertà e responsabilità, che richiede il gusto della fedeltà al lavoro come cifra dell’esistenza comune, il gusto non innanzitutto del guadagno o degli onori, ma la soddisfazione di far bene il proprio dovere. L’opera educativa aiuta ad una presa di coscienza serena e onesta di se stessi, delle proprie capacità, senza depressioni e senza presunzioni; allena ad avere la misura delle cose, anche delle aspettative; sollecita alla fiducia e al coraggio nell’intraprendere, disposti al sacrificio e con la gioia nel cuore; ricorda la bellezza della costruzione lenta e metodica, la pazienza dell’attesa, senza pretendere di avere tutto e subito negli affetti, nel lavoro, nella vita. Insegna a stare in piedi con forza anche quando le delusioni e gli insuccessi si fanno sentire e vorrebbero indurre allo scoraggiamento fino a fuggire dalla realtà. Ma – lo sappiamo – fuggire dalla vita non è possibile, e quando si tenta ci si accorge che si è scivolati verso un baratro più pericoloso e triste. Bisogna dunque aiutare l’uomo a ritrovare se stesso, la sua verità e bellezza. La vita non è un colpo di fortuna. Oggi si vuol far credere che la sostanza del tempo risiede nel successo e nell’apparenza, nella quantità delle esperienze gratificanti; e che per ottenere questa patina luccicante sia inev
itabile tentare la sorte e giocarsi le sostanze. Ma non si tratta solo delle proprie risorse, si tratta anche e in primo luogo di qualcosa di spirituale, di intimo, che non si vede e non si pesa, che non si compra, ma che vale la vita stessa, che definisce l’uomo non in ciò che ha ma in ciò che è. Uscire dall’orizzonte della propria anima per diventare un inseguitore forsennato e ossessivo dell’azzardo, significa, dunque, non solo rimetterci i propri beni, ma il bene che ognuno è per se stesso, e quindi impoverire la società intera. Il Paese stesso si snatura nella sua anima profonda, che è il tesoro più prezioso perché lo identifica e lo rende vivo.

4. Una società educante

Sta qui – a mio parere – il peggio del peggio a cui dobbiamo pensare e mettere mano con estremo rigore intellettuale ed etico. Ma insieme! E’ per questo che più volte ho insistito perché la famiglia non sia lasciata sola dalla società, né nel compito educativo né nelle sue dinamiche interne che devono trovare – all’occorrenza – delle interlocuzioni appropriate. Adeguate politiche di sostegno devono sempre più e meglio farsi sentire dalle famiglie in quanto tali, cioè come soggetto specifico, altrimenti verrà meno il primo e insostituibile nucleo sociale che ha valenze plurime per i singoli componenti e per la collettività intera. Ma anche la scuola deve essere, secondo la sua stessa finalità, luogo di istruzione e di educazione umana; luogo dove – oltre le necessarie conoscenze e competenze – viene offerto un costante stimolo a pensare, un quotidiano richiamo ai valori ultimi e decisivi che riguardano non il come delle cose, ma il loro senso, il gusto della verità per se stessa, il criterio del bene, i valori che danno sostanza alla vita e creano appartenenza alla comunità. La Chiesa è “madre e maestra” come diceva il beato Giovanni XXIII: illuminata dal suo Signore e sostenuta dallo Spirito Santo, ha una storia bimillenaria di evangelizzazione e di promozione culturale e umana, storia che è alla radice dell’umanesimo e della civiltà europea.

Ma, come è stato auspicato più volte, è l’intera società che deve diventare educativa. Nel momento storico che viviamo, nel quale il rischio del disorientamento è evidente anche se spesso viene interpretato come arricchimento, è necessario che la società nel suo complesso faccia un salto di responsabilità e di qualità: dalle istituzioni ai vari gruppi associati, dal grande e importante mondo della comunicazione al corpo legislativo, dall’economia alla finanza, dalla burocrazia al tempo libero…ognuno deve fare la sua parte in chiave di rigore e di coerenza, perché le giovani generazioni siano ammirate e contagiate da stili reali e virtuosi, da esempi che hanno qualcosa da dire di importante e di vero, per essere all’altezza non solo del nostro dovere di adulti, ma anche delle attese delle giovani generazioni. I giovani hanno l’istinto del vero e del bene, sentono la nostalgia dell’Assoluto e del Trascendente, e cercano e pretendono di trovarlo in chi è più avanti nella vita. Ne hanno diritto. E’ ormai evidente, anche nella cultura occidentale che pure sembra inesorabilmente secolarizzata e sorda ai richiami dello spirito, che la ricerca di Dio, della verità e della bellezza spirituale, di ciò che dà sostanza al vivere e al morire, è desiderato e attraversa il cuore.

Auspico con voi che leggi opportune e puntuali siano poste in essere sia a livello locale che nazionale come è stato fatto in altri campi nefasti, ma senza dimenticare che sarà soprattutto una educazione nuova e vera la prevenzione migliore per reagire positivamente non solo alla piaga del gioco d’azzardo, ma ad ogni altro devastante miraggio. Una cultura che sia veicolata dal vissuto della società intera. Grazie.

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ZENIT Staff

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