L’Avvento è un di silenzio per ascoltare il Signore che viene e ci parla personalmente e comunitariamente. Ecco perché è un tempo favorevole anche per un discernimento circa scelte di vita personali non sempre facili. In questo può essere di esempio la vicenda di Maria Cristina di Savoia – che sarà beatificata proprio dopo le feste natalizie, ossia il 25 gennaio 2014 a Napoli – come risulta dalla seguente narrazione del postulatore, p. Gianni Califano, ofm.
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Nel maggio 1825 Maria Teresa e le figlie fecero ritorno a Genova, stabilendo la loro residenza a Palazzo Tursi. Maria Cristina era ormai alla soglia dei suoi quindici anni. Il soggiorno a Roma aveva contribuito a farla conoscere ed ammirare, non solo per le sue virtù di religione, ma anche per la sua incipiente bellezza.
Un insieme di fattori avevano concorso all’instaurasi dell’ottima fama di Maria Cristina. Innanzitutto il suo aspetto avvenente: fisico alto e slanciato, lineamenti regolarissimi, occhi chiari, carattere dolce e riservato che si accompagnava ad una naturale modestia e un’innata signorilità. In secondo luogo una buona preparazione culturale, decisamente al di sopra della norma per una donna di quei tempi. Conosceva gli elementi essenziali delle lettere e delle scienze, e anche più. Aveva appreso la musica, la danza che la dilettava tanto, il disegno, il ricamo, e ogni arte femminile idonea ad una donna del suo rango. Soprattutto emergevano le sue doti morali e spirituali: un innato senso del dovere, della giustizia e della rettitudine, una profonda fede e una sincera vita di pietà. A tutto questo si deve aggiungere il cospicuo patrimonio e l’opportunità di stabilire, per il fortunato principe che l’avesse sposata, una vantaggiosa alleanza politica. Con tali presupposti fin dal 1824 erano iniziate a piovere richieste di matrimonio per Maria Cristina, da parte di pretendenti delle più ricche corti d’Europa. Anche i Borbone di Napoli avevano presentato la candidatura del duca ereditario Ferdinando alla sua mano.
Maria Teresa d’Asburgo mantenne un atteggiamento di cauta prudenza nel rispondere all’una o all’altra richiesta di matrimonio. Questo modo di temporeggiare era dettato non solo dalla valutazione del panorama politico, ma anche dalle informazioni ottenute circa la moralità e la salute fisica dei pretendenti. Di fatto Maria Teresa considerava l’ultima sua figlia come la pupilla dei suoi occhi e non avrebbe mai voluto distaccarsene.
Tutto questo ritornava a favore della stessa Maria Cristina. Se avesse dovuto assecondare il suo carattere, infatti, avrebbe preferito sottrarsi alla vita pubblica propria della sua condizione, per dedicarsi ad una vita privata rivolta agli affetti famigliari. E ciò non per una inadeguatezza al ruolo che le imponeva il casato, ma per l’attrattiva ad una vita semplice. Ci fu un momento in cui credette di essere chiamata alla vita contemplativa. P. Evangelista Fontanesi e la contessa di Volterra, testimoni al processo di beatificazione, indicano con chiarezza il monastero nel quale sarebbe voluta entrare: quello delle suore turchine dell’Annunziata di Genova.
Alla morte della mamma, il 29 marzo 1832, Maria Cristina dovette però decidersi ad accettare il matrimonio che le imponeva la ragion di stato. Fu una decisione sofferta, che seppe maturare nel fiducioso discernimento della volontà di Dio. Ma fu anche una decisione drammatica per le circostanze in cui avvenne. Maria Cristina ebbe modo di esercitare in pieno le sue virtù, quelle a cui la vita l’aveva temprata: la fortezza e l’obbedienza.
Al momento dell’abdicazione di Vittorio Emanuele I, in mancanza di un discendete maschio, il regno era andato al cugino, Carlo Alberto. Il giorno successivo alla morte della madre, avvenuta in Genova, giunse perentorio a Maria Cristina l’ordine di trasferirsi immediatamente a Torino. Carlo Alberto nel timore che ella potesse sottrarsi all’impegno delle nozze, necessarie per consolidare i rapporti con il Regno delle Due Sicilie, non le accordava neppure il tempo di partecipare ai solenni funerali della madre! Temeva che la principessa potesse ritirasi presso una delle corti delle sorelle già spose.
E’ facile immaginare lo stato d’animo di Maria Cristina. Con il cuore in subbuglio salì sulla carrozza che l’avrebbe condotta al palazzo reale di Torino. Fu di un’umiltà eroica. Dopo aver ossequiato il sovrano, suo cugino, volle recarsi immediatamente a riverire la regina consorte, Maria Teresa di Savoia Carignano. Fu una scena commovente: con tutta la serenità di cui fu capace, nonostante il turbamento interiore del momento, Maria Cristina piegò il ginocchio a terra e riverente baciò la mano della sovrana, in segno di devota sottomissione.
A convincere la giovane principessa che il matrimonio con Ferdinando di Borbone, gradito a Carlo Alberto, corrispondeva ai disegni di Dio, era stato alcuni mesi prima il venerato precettore Padre Terzi. Inutilmente Maria Cristina gli aveva aperto l’animo per convincerlo della propria vocazione religiosa. Ripetutamente egli l’aveva dissuasa. Presso la tenuta del Cataio, mentre era ospite della sorella Maria Beatrice a Modena, Padre Terzi le aveva testualmente detto:“Lo stato che Ella vuole eleggere è uno stato molto arduo, e tale che richiede grandi virtù, ed una speciale vocazione di Dio, ed io penso che questo non sia lo stato che Iddio vuole da Lei. Credo piuttosto che piaccia al Signore che Ella accetti il partito che egli stesso le ha presentato e che consoli il Re Ferdinando con una risposta affermativa”. Maria Cristina si era arresa alla voce di Dio.
Ferdinando e Maria Cristina non si erano mai conosciuti personalmente, né visti. Oggi sembra impossibile pensare che in tale situazione potesse realmente sbocciare l’amore. Eppure la grazia dell’obbedienza agì in modo tale che Maria Cristina si trovò ad aver scelto proprio quello che aveva inconsciamente desiderato! Mettendo da parte la propria volontà e fidandosi di Dio si avviava a realizzare pienamente la propria vocazione umana e spirituale. In una lettera alla contessa Volvera, così scriveva, pochi giorni dopo il suo ingresso in Napoli: “Le scrivo per assicurarla che grazie al Signore io non posso essere più felice, e non avrei mai creduto che si potesse esserlo tanto in questo mondo, massime con il mio carattere, che lei ben conosce. Insomma si vede che tutto quest’affare fu condotto da Dio, giacché le opere umane non possono mai riuscire così, ed io non posso abbastanza ringraziare Iddio per tutte le infinite grazie che mi ha fatte e continua sempre a farmi… Sono incantata da Napoli e da tutto ciò che vedo”.
Accettando di sposare Ferdinando, Maria Cristina si legava un uomo dal carattere profondamente diverso dal suo. Il giovane sovrano sembrava la personalizzazione della calda e chiassosa Napoli. Era estroverso, loquace, di buon cuore, esprimeva in tutto la gioia di vivere, anche nell’amore per la buona tavola e i divertimenti. Il fisico possente e panciuto, irruente nei movimenti, aggiungeva alla sua persona una particolare nota di simpatia, anche se a suo carico si poteva dire che era facile alla distrazione, alla superficialità, e un po’ rozzo nel parlare. Maria Cristina all’opposto denunciava tutta la sua ascendenza settentrionale: snella, delicata, aggraziata in ogni movenza, riservata, misurata, risultava a prima vista severa, un po’ protocollare per la rigida educazione ricevuta a corte. Eppure la tenerezza, complice lo slancio della età giovanile, si instaurò tra i due e li aiutò a trovare una felice armonia. Ci fu una reciproca integrazione: Maria Cristina acquistò da Ferdinando quella solarità che forse le mancava, Ferdinando si arricchì della delicatezza dei sentimenti di Maria Cristina. Fu un vero amore. Ne abbiamo conferma da quanto lei stessa scriveva al cognato Francesco IV di Modena: “non posso essere più felice con il caro Ferdinando, che riunisce tutte le qualità e con cui mi combino
tanto di idee e di carattere. Tutta la famiglia pure ha tanta bontà per me; insomma vi assicuro che non credevo mai che si potesse essere così felici in questo stato…”.
Per un approfondimento: Gianni Califano, Maria Cristina di Savoia. Regina delle Due Sicilie, Velar, Gorle 2013.