Storico di vaglia, acuto commentatore della vita della Chiesa del nostro tempo, Alberto Melloni ha pubblicato in questi giorni un testo (*) che sollecita e provoca il lettore. Collocato in una strana polarità tra istant book, polemico ed urticante, e la prediletta prospettiva storiografica della lunga durata, il saggio dello storico bolognese non fa nulla per nascondere la pretesa di dire una parola, se non definitiva, almeno intensamente chiarificatrice delle complesse dinamiche ecclesiali degli ultimi anni, con una forte proiezione verso tutto il cinquantennio post-conciliare e i suoi necessari prodromi storico-teologici.
In una prosa vivace, talvolta opulenta fino al limite di un barocchismo, evitato dall’uso costante di un ironia corrosiva, Melloni ha buon gioco a smascherare – a tutto campo – luoghi comuni, ingenuità della riflessione, sterilità di non poche attività ecclesiastiche, fragilità di posizioni pur sostenute con grande spolvero di presunta saggezza di cui si svela il retrogusto di povertà saccente.
Il pregio del volume, però, va ricercato in un altro registro espressivo, affidato alla ripresa di alcuni nodi teologici e culturali, esposti con appassionata chiarezza e capaci di sollecitare l’attenzione anche di quanti possono ampiamente dissentire su qualcuno, od anche molti, dei giudizi messi in campo. Qui sta la possibilità di cogliere in questo testo qualcosa di più di un appassionato cahier de doléance di chi ha imparato dai suoi maestri (G. Dossetti e G. Alberigo in primis)a guardare al pontificato di Giovanni XXIII come ad una vetta dalla quale si sarebbe inesorabilmente decaduti: forse per inevitabile inerzia, molto di più per incapacità a coglierne tutto il profilo riformatore, secondo Melloni.
Innanzitutto si apprezza la convincente messa in guardia di fronte al rischio dell’autoreferenzialità dei “chierici”, non solo in riferimento a taluni profili istituzionali del corpo ecclesiale, ma anche al variegato mondo dei teologi e degli intellettuali cattolici.
In secondo luogo si deve rimarcare l’intensa rivendicazione della centralità della sinodalità e del correlato principio di comunione, intesi come fisionomia forte e determinante la Chiesa seguita al Vaticano II e di cui si attende ancora una piena recezione. In questa prospettiva l’insistito richiamo ad un profilo eucaristico della comunità ecclesiale coglie almeno uno dei nodi teologici più necessari da approfondire. Altrettanto convincente è la sottolineatura dell’importanza di un rinnovato slancio nell’ecumenismo.
Infine, va messo in rilievo l’opportuna avvertenza, di fronte al nuovo pontificato di Papa Francesco e alle molte questioni in gioco nella chiesa odierna, di evitare un atteggiamento secondo il quale: «C’è Francesco, farà lui. Quasi che il primo papa postconciliare […] venga investito dall’onda di ritorno proprio del più classico papismo: quello che alla fin fine identifica la chiesa con cattolicesimo e il cattolicesimo col papa» (pag. 4).
Difficile non concordare con questa preoccupazione, giacché una tale possibile deriva avrebbe purtroppo l’esito di collaborare ad una ricezione superficiale e sterile di tutto il portato di novità messo in campo da questo pontificato nella chiesa e nel mondo.
Dispiace, però, che una posizione così chiara, ben presente nel suo saggio, non eviti a Melloni una lettura dei pontificati precedenti ove il lettore avvertito non fa fatica a cogliere qualche pregiudizio di troppo. Allo stesso tempo si apprezza che da questo volume emerga una netta distinzione tra il magistero di Benedetto XVI e una lettura non sempre felice, se non addirittura distorta, diffusa da molti dei cosiddetti “ratzingeriani” in questi anni. È un interessante, iniziale, contributo ad un’analisi storiografica di quel pontificato che – ovviamente – appare ancora tutta da svolgere.
Resta infine da segnalare il profilo più interessante di questo saggio: soprattutto nelle parti finali si affaccia nella scrittura dello storico e del polemista il tratto più suggestivo e personale del cristiano: questi dall’interno della propria esperienza di fede, vissuta nel qui e ora della storia (il tema dell’appartenenza), urge – anche con toni provocanti – ad essere sostenuto e custodito nell’unicum necessarium, la confessione testimoniale della propria adesione a Cristo Signore.
Questo accento libera il volume di Melloni dalle strettoie dell’ennesimo tributo all’infinito conflitto delle interpretazione della stagione post-conciliare, quasi a far trascolorare l’inchiostro polemico in cui la penna s’intinge verso una domanda di autenticità e quotidiana prossimità rivolta al corpo ecclesiale, prendendo le mosse dalle gioie e dai dolori di cui l’esistenza di ogni fedele è quotidianamente intrecciata.
La battuta ironica può far sorridere, il giudizio fortemente partigiano può infastidire, una domanda di verità della vita cristiana provoca e sollecita ad un dialogo tra uomini liberi.
Don Gilfredo Marengo è ordinario di antropologia teologica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia – Roma
* Alberto Melloni, “Quel che resta di Dio. Un discorso storico sulle forme della vita cristiana”, Einaudi, Torino 2013.