L’aborto è recentemente tornato alla ribalta delle cronache con nuove leggi approvate in Australia e un caso che sarà esaminato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti all’inizio del prossimo anno.
Lo scorso mese, lo stato australiano della Tasmania ha depenalizzato l’aborto, con misure aggiuntive. La nuova normativa bandisce ogni forma di protesta, anche silenziosa, nel raggio di 150 metri da ogni clinica abortiva (cfr. The Australian Newspaper, 22 novembre).
La sanzione per chi trasgredisce prevede il carcere fino a un anno e una multa pari a 9.750 dollari australiani.
La legge prevede anche misure molto permissive riguardo la possibilità di ottenere l’aborto. Fino alla 16° settimana l’unico requisito è il consenso della donna. Dopo questo termine, senza limiti ulteriori, tutto ciò che è necessario è l’approvazione di due specialisti, medici o psicologi.
Inoltre, se un medico non vuole eseguire l’aborto, è legalmente obbligato a fornire alla donna informazioni su servizi sanitari alternativi, compresi quelli che praticano l’aborto.
“La bozza di legge cambia il dovere negativo di non impedire l’accesso all’aborto, nel dovere positivo di facilitarlo”, commenta monsignor Julian Porteous, appena insediatosi come arcivescovo di Hobart, capitale della Tasmania.
La nuova legge, ha commentato in una nota il presule lo scorso 22 novembre, “costituisce una seria breccia nei diritti umani fondamentali della pratica medica”, non rispettando il diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto.
“Forza i medici a violare le loro convinzioni morali”, aggiunge monsignor Porteous.
L’arcivescovo di Hobart, non è l’unica voce di dissenso verso la nuova legge. “Questo atto prova a stabilire un precedente per la limitazione della libertà di parola e di riunione, che va a danno di una società libera”, ha affermato Chelsea Pietsch, direttore esecutivo di Freedom 4 Faith, organizzazione ecumenica per la libertà religiosa (cfr. Online Opinion, 27 novembre).
Quanto all’obbligo per i medici di fornire una lista di servizi alternativi, in caso di loro rifiuto di praticare l’aborto, Pietsch riconosce che le donne andrebbro trattate con compassione e rispetto ma si domanda anche perché i medici obiettiori non possano eessre trattati con il medesimo rispetto.
“In quale altro ambito i medici avrebbero bisogno della coercizione? In quale altro ambito della vita la protesta, anche silenziosa, viene soppressa?”, si domanda Angela Shanahan (cfr. The Australian, 30 novembre).
In Australia, comunque, vi sono anche alcune buone notizie per la vita nascente . A novembre la camera bassa del parlamento del Nuovo Galles del Sud ha approvato con la netta maggioranza di 63 voti a 26, la Carta dei Diritti del Nascituro.
Il decalogo deve ancora essere approvato dalla Camera Alta, che lo voterà all’inizio dell’anno prossimo.
Il decalogo prevede sanzioni penali contro chi fa del male a un feto di più di 20 settiamane o di 400 grammi.
La “legge Zoe” prende nome dal figlio non nato di Brodie Donegan. Brodie era incinta di 36 settimane, quando fu investita da un’automobile nel giorno di Natale del 2009. L’incidente le provocò la perdita del bambino.
Il guidatore fu condannato per il suo atto ma non fu possibile perseguirlo per la morte del nascituro. Il decalogo non inficia le leggi sull’aborto di quello stato.
“Questa legge riflette quello che ogni madre che perde il proprio figlio prima della nascita, sa che è vero, cioè che lei ha perso una persona cara reale, non ha semplicemente patito un incidente fisico”, ha commentato Chris Meney, direttore del Life, Marriage and Family Center, in un comunicato pubblicato lo scorso 21 novembre dall’Arcidiocesi di Sydney.
“Per quelli che potrebbero voler usare la foglia di fico per una finzione giuridica, Zoe non era un ‘incidente’, ma una persona”, ha detto.
L’argomento delle “zone cuscinetto” è materia di contenzioso anche negli Stati Uniti. Quasi una dozzina di fascicoli sono stati schedati dalla Corte Suprema in sostegno di una legge del Massachussets che proibisce le proteste nel raggio di 35 piedi (circa 10,7 metri) dagli ingressi, dalle uscite e dai passi carrabili delle cliniche abortiste (cfr. Associated Press, 25 novembre).
Questa legge, approvata nel 2007 è passata al vaglio dei tribunali minori, venendo alla fine accolta in un appello alla corte federale lo scorso gennaio. Il caso sarà discusso davanti alla Corte Suprema il prossimo 15 gennaio.
Anche il Colorado e il Montana hanno leggi che prevedono ‘zone cuscinetto’, come avviene in alcune città. L’ultima città ad approvare tale legge è stata Portland (Maine).
Il Consiglio Comunale ha stabilito una zona cuscinetto di 39 piedi (circa 12 metri) attorno la clinica di Planned Parenthood alla periferia della città (Portland Press Herald, 19 novembre).
“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne far quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirglielo”, scrive papa Francesco nella sua recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (n°213).
La discussione del caso alla Corte Suprema darà un’opportunità per valutare se davvero la legge è dalla parte degli innocenti e degli indifesi.