Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nella Messa della vigilia della Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, sabato 7 dicembre 2013.
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Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, /
termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura /
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura. /
Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace /
così è germinato questo fiore.
(Dante, Paradiso XXXIII 1-9)
Sorelle e fratelli carissimi,
Siamo con Dante, il cantore trecentesco de La Divina Commedia, ormai al termine del suo viaggio “immaginario” nell’ “oltre” il tempo e lo spazio. Nel trentesimo canto egli, con Beatrice, sua guida ha raggiunto il cielo, ma per l’accecante luce perde la vista. Riottenendola in seguito, vede, in forma di fiume di luce, il paradiso, che ai suoi occhi assume forma circolare di candida rosa, entro cui sono i beati.
Qui Beatrice lo lascia ad una nuova guida: san Bernardo di Chiaravalle che, mostrando la gloria celeste, indica l’indicibile splendore della Vergine Maria.
Nella sua «santa orazione» san Bernardo tratteggia i lineamenti della più bella fra tutte le creature: vergine, madre, figlia, e, appunto, creatura.
1. Vergine Madre. – In soli nove versi il poeta enuncia i dogmi della verginità di Maria e della sua maternità divina. Unico esempio, nella storia umana, della compresenza di questi “momenti” della vita femminile: verginità e maternità. Ambedue indissolubilmente legati, l’uno non meno importante dell’altro, tanto da essere il termine fisso, il punto cruciale per il quale Dio li volle come unico privilegio di questa giovane donna di Nazareth. «O Dio, che nell’immacolata concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato…», così abbiamo invocato nella preghiera di colletta.
2. Figlia del tuo figlio. – Ancora un’iperbole per esprimere la compresenza della figliolanza di Maria e ancora una volta la maternità divina. Maria è autenticamente madre, garante della vera umanità di Gesù, ma, al contempo, poiché Gesù è anche Dio, anche la sua maternità fu altrettanto divina. Nel 381 il Concilio di Costantinopoli formulò e sancì un nuovo termine che riassumeva in sé tutte le caratteristiche peculiari della Vergine: Theotókos, ossia Madre di Dio, ma ancor prima, nel 325, durante il Concilio di Nicea, e che noi proclamiamo durante la Professione di fede, fu detto del Cristo che per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.
La Fanciulladi Nazareth, come ci racconta l’evangelo di Luca, è stata prescelta dall’Altissimo perché divenisse la madre della vita vera e nuova, che porterà la “vita vera” in questo nostro mondo. Una vita segnata, ormai, per sempre dalla benedizione, non più dalla maledizione, non più dall’inimicizia, non più dal fango del suolo, non più dalla negatività del peccato. Una vita felice, progettata per noi da Dio, il quale, in Cristo, ci ha predestinato ad essere suoi figli adottivi, quindi vuole che la nostra intera esistenza suoni come “lode della sua gloria”.
3. Umile e alta più che creatura. – Nell’accogliere l’annuncio dell’Angelo: Eccomi, sono la serva del Signore (Lc 1,38) e nella lode del Magnificat: ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc 1,48). Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente (Lc 1,49), si rivelano il segno distintivo di Maria: la grandezza dell’umiltà che la rende la più alta, se non più che creatura, al di sopra di ogni creatura. E’ nell’umiltà la sua forza; è nella sua piccolezza, la sua grandezza. L’umiltà di Maria non è di facciata, è costitutiva della sua persona. Se Maria non fosse stata “umile”, “serva”, la stessa incarnazione del “Servo di Jahvè”, del Signore, emblema della spoliazione di Dio per farsi uomo tra gli uomini e per gli uomini, non sarebbe potuta accadere.
4. Termine fisso dell’etterno consiglio. – Maria è il “riscatto” dell’umanità da sempre segnata dal fatale errore della madre dei viventi: Eva. Dio, che tutto conosce e ha visto, secondo Dante, l’evolversi della vicenda umana sin dagli esordi, ha avuto come termine fisso presente nel suo etterno consiglio, nel suo decreto di misericordia, l’incarnazione del Figlio Unigenito nel grembo verginale di Maria. Da sempre Maria è stata preservata da ogni macchia di peccato, perché potesse divenire il punto di svolta nella storia della salvezza. Maria è il termine fisso stabilito come spartiacque tra la disubbidienza dei nostri progenitori e la sua ubbidienza, avveratasi nel cuore e sulle sue labbra attraverso il Fiat.
5. Il suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. – Per colpa dell’antico peccato, la natura umana, ormai decaduta, ha ricevuto nuova nobiltà, tanto che Maria è definita piena di grazia. Tanto che, dice Dante, il suo stesso Fattore, Dio che l’ha creata pura, immacolata, senza macchia di peccato, si è degnato di divenire nel Verbo Incarnato, in Cristo, sua fattura, suo figlio. Nel grembo di Maria un evento ordinario è divenuto fuori dall’ordinario: Verbum caro factum est, il Verbo si fece carne, ci dice Giovanni nel Prologo del suo Vangelo. Con l’incarnazione, sintetizza S. Pier Damiani, il Verbo si fece fattore e fattura, creatore e creatura (Orazioni, LXI).
6.</em> Una carta d’identità al femminile. – La visione mistica dantesca, appena intravista nella sua grandezza, ha elevato in maniera esponenziale, come già detto, due caratteristiche connaturali alla femminilità: verginità e maternità. Due attributi che rischierebbero di essere semplici tratti usciti dal pennello di un pittore o di un poeta, come Dante, che tuttavia le ha volute esaltare in colei che ne è mirabile sintesi.
Tuttavia il racconto del vangelo secondo Luca colloca entrambe le caratteristiche in un contesto che oggi potremmo definire di “ordinaria amministrazione familiare”. Per quanto l’incipit, l’attacco del brano evangelico descriva l’incontro straordinario tra la terra e il cielo, con una “presenza” eccezionale da udire e vedere, (quella di una creatura angelica), l’ambiente nel quale l’evangelista ci introduce è quello di una cittadina della Galilea, Nazareth, facendo “visita” ad una vergine, che è anche sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. A tal proposito si domanda, s. Ambrogio il motivo di questa precisazione, «per quale ragione non fu gravida prima delle nozze». La risposta del vescovo di Milano, di cui oggi facciamo memoria liturgica, è di profondo rispetto per la Vergine Maria e di assoluta tenerezza nei confronti del Figlio Gesù verso sua Madre. Ma ascoltiamolo: «Forse, perché non si potesse dire che aveva avuto una relazione adulterina… vergine per indicare ch’era immune da ogni rapporto d’uomo; sposa, per non incorrere nell’accusa infamante di aver perduto la verginità… il Signore preferì che qualcuno potesse dubitare della propria nascita, piuttosto che della purezza di sua Madre – sapeva infatti quanto è delicato il pudore di una vergine, e quanto è fragile la fama della sua purezza – e non credette opportuno di convalidare la credibilità della sua nascita con pregiudizio dell’onore di sua Madre» (Esposizione del Vangelo secondo Luca 2, 1; SAEMO 11,145). Sull’on
ore della Vergine non doveva posarsi alcuna ombra offensiva e lesiva. Quanta cura, che mirabile difesa da parte del Figlio Gesù nei confronti di colei che lo avrebbe “portato” per nove mesi in grembo, come in ogni maternità umana, e lo avrebbe accolto fino all’ultimo respiro stando sotto la sua croce!
In Maria, concepita senza peccato, riconosciamo, quindi, la vocazione a cui siamo stati tutti chiamati nel Battesimo. Ce lo ha ricordato Paolo nella lettera agli Efesini. Tutti, infatti, siamo stati chiamati ad «essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità». Siamo santi, a motivo del Battesimo; ma non sempre, purtroppo conserviamo santa e senza macchia la nostra veste bianca battesimale: chiediamo all’Immacolata la forza per mantenerci puri e, soprattutto, per rieducare alla purezza i nostri piccoli e i nostri giovani.
In una carta di identità i connotatidi questa giovane donna di Nazareth sono: vergine, sposa, madre. Soprattutto madre. Il sentimento di maternità è proprio di ogni donna: una creatura è desiderata, voluta, cercata, e, per quanto ciò non debba avvenire “ad ogni costo”, anche disobbedendo alla natura stessa e giungendo, perfino, ad alterare i ritmi fisiobiologici dell’essere umano. Anche in questo la Vergine Maria ci aiuta a comprendere come va desiderata e accolta una creatura nel proprio grembo e nel contesto di una famiglia. Pur nell’iniziale turbamento, pur nell’incredulità derivante dal non conoscere uomo, ad un chiaro segno dell’arcangelo Gabriele – la maternità in “tarda età” della cugina Elisabetta -, la risposta di Maria è un semplice “eccomi”, Fiat, (avvenga di me secondo la tua parola).
Vergine, sposa, madre, ed ora aggiungiamo “serva”: Luca tratteggia così la sua figura al femminile, contemplata nel volto di Maria. Indirizzate la vostra attenzione sulle due ultime”pennellate”: il turbamento e il servizio, appunto. Sono entrambi gemme preziose del diadema della nostra Regina, ma sono anche due facce della medesima medaglia che chiamasi dignità umana. Luca prima, il vescovo Ambrogio poi, evidenziano la cura e la tenerezza del Figlio Gesù nel tutelare la mamma. Il vangelo lucano pone nuovamente al centro una donna che ha una sua dignità assoluta, originale, irripetibile perché portatrice di una nuova dignità per l’intera umanità, e pertanto le si deve il più devoto rispetto. Il servizio che Maria offre al suo Signore, cioè il suo “eccomi”, il suo “fare la volontà” di Dio, non vuol dire certamente divenire schiava nelle mani del Signore, perché il Signore stesso ha elevato al di sopra di ogni creatura questa umile fanciulla di Nazareth. Non permettendo ad alcuno di accusarla di relazione adulterina, ci ha detto s. Ambrogio. Il servizio di Maria è la base della sua condizione di corredentrice nella salvezza dell’umanità.
Ecco, allora, l’invito a tutte le donne, ad ogni donna, perché la sua “carta di identità” indichi chiaramente i lineamenti di una femminilità ricca, consapevole, sublime e soprattutto libera.
La donna non usi il proprio corpo per una felicità effimera, non baratti la dignità per illusori compensi, non offenda sé medesima considerandosi un oggetto che altri possono usare, talvolta anche abusare, per poi disfarsene.
La felicità, di ogni donna sia donazione di sé nella reciprocità del dono; la sua persona custodisce orgogliosamente la propria dignità, il suo corpo sia tempio di ogni nuova vita che possa annunciarsi.
Invochiamola Vergine, sposa, madre, e soprattutto donna, affinché accolga le nostre umili preghiere. Le accolga nel suo grembo perché possano divenire graditi frutti per l’intera umanità. Custodisca i nostri cuori perché, come lei, possiamo serbarvi le grandi meraviglie che il Signore compie ogni giorno nelle nostre vite. Amen.