Preceduto dalla proiezione del documentario di Gilberto Martinelli “Il portone di piombo” sul cardinale Jozsef Mindszenty, si è svolto ier, presso l’Accademia d’Ungheria in via Giulia, un convegno su un argomento molto stimolante: l’Ostpolitik vaticana, cioè la politica di dialogo che la Santa Sede inaugurò negli anni ’60 con i regimi comunisti al potere nell’Europa centro-orientale. Numerosi i relatori (provenienti da nove Paesi) che portano il loro contributo di ricercatori e analisti su una politica ancora oggi assai controversa.
Introduzione non solo formale da parte del direttore dell’Accademia Antal Molnar, che ha segnalato tra l’altro come permangano due filoni interpretativi dell’Ostpolitik: quello degli studiosi dell’Europa dell’Est (accento sulle sofferenze dei cattolici, giudizio prevalentemente negativo) e quello degli studiosi ‘occidentali’ (accento sugli interessi pastorali e diplomatici della Chiesa, giudizio più indulgente).
Molto atteso l’intervento successivo del ‘ministro degli esteri’ vaticano, l’arcivescovo Dominique Mamberti, che tra i suoi predecessori ha avuto quello che sarebbe diventato il Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli, artefice massimo dell’Ostpolitik vaticana. Il prelato corso ha esordito citando Cicerone, “la storia è maestra
di vita”, e postillando che lo sarebbe davvero se noi fossimo in grado di apprenderne le lezioni. Come scriveva Benedetto XVI, il buon cristiano ha buona memoria, ama la storia, cerca di conoscerla, ne trae frutto. Monsignor Mamberti ha proseguito evocando le grandi sofferenze dei cristiani perseguitati dal comunismo, l’enciclica Divini Redemptoris di Pio XI (che nel 1937 condannava l’idea di “falsa redenzione” del comunismo), la condanna per il sistema ideologico anche di Paolo VI nel 1964 e nel contempo la sollecitazione all’incontro con gli uomini in carne ed ossa.
Con Papa Montini si instaurò così sistematicamente – sulle orme dell’azione di Giovanni XXIII e con l’Unione sovietica e i Paesi satelliti – “un dialogo attivo e instancabile, fermo, pronto a intese oneste e leali”. Qualcosa si ottenne: la partecipazione al Concilio di alcuni vescovi di Paesi dell’Est, la liberazione dell’arcivescovo maggiore di Leopoli Josyf Slipyi, la presenza come osservatori al Concilio di due rappresentanti del Patriarcato ortodosso di Mosca.
Tuttavia, ha evidenziato monsignor Mamberti, l’Ostpolitik vaticana “ha potuto porre rimedio solo in modo limitato” alla situazione di sofferenza della Chiesa nei Pesi comunisti. In effetti il cardinale Casaroli, “appassionato tessitore” lodato anche da Giovanni Paolo II, bene ha sintetizzato l’Ostpolitik nel titolo dato al suo libro “Il martirio della pazienza”. Abbiamo chiesto all’uscita al ‘ministro degli esteri’ vaticano se, dato il giudizio in chiaroscuro dato sull’Ostpolitik, riteneva comunque che fosse stata una scelta diplomatica “giusta”. La risposta: “Giusta, poiché quando si instaura un dialogo è sempre giusto”.
[Fonte: RossoPorpora]