San Michele Arcangelo è anche patrono di Mestre e, per l’occasione, il Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, si è recato presso il duomo di San Lorenzo, presiedendo stasera la messa solenne per la ricorrenza.

L’omelia del patriarca è stata incentrata sulla città, intesa, prima ancora che come un “insieme di quartieri, di strade, di case”, come “l’intrecciarsi di relazioni umane”.

Sulla scia di quanto espresso da papa Francesco nella Evangelii Gaudium (n° 210), in merito agli aspetti relazionali che “favoriscono il riconoscimento dell’altro”, Moraglia ha compiuto un excursus biblico, a partire dalla città costruita da Caino e chiamata Enoc, dal nome del figlio (cfr. Gen 4,17-18).

“La Genesi ci ricorda ancora come la città sia il luogo in cui si manifesta il cuore dell’uomo e, proprio nella pianura di Sinar - Babele - l’orgoglio umano esce allo scoperto, prende forma e si sostanzia nel progetto dell’affermazione dell’ “io”, sopra ogni cosa e a qualsiasi prezzo”, ha spiegato il patriarca.

La storia sacra mostra, tuttavia, un’altra città “come luogo in cui si compie la salvezza”: essa è “la Gerusalemme celeste che discende dal cielo, da Dio”. In Gerusalemme, “tutto ciò che è umano […] viene prima riconosciuto, poi sanato e, infine, portato a pienezza”.

La città, dunque, è “tanto quella di Caino, che si esprime nella torre di Babele, quanto la comunità pacificata che scende da Dio, dal cielo, e che  esprime le buone relazioni fondate a partire da quella portante che regge le altre”.

La nostra situazione, tuttavia, “è quella che scorre tra il già e il non ancora; viviamo immersi nel tempo, tra i contrasti della storia, e il nostro cuore fatica a ritrovarsi in quelle scelte capaci di costruire il futuro regno di Dio”.

Se la persona non è più intesa come “immagine di Dio”, ogni cosa “finisce per avere un prezzo” e per trasformarsi in “valore economico”, a scapito dell’uomo stesso.

In tale scenario la comunità ecclesiale deve pronunciare qualcosa di “buono e valido” nei confronti della città e deve farlo “a partire dalla concezione che essa ha dell’uomo, ossia la sua dignità, i valori, i reali bisogni, resistendo al pensiero unico-dominante e alle culture che sono espressione della tecnoscienza la quale sembra avere - come unico criterio etico - la possibilità di fare o di non fare una cosa e la logica del mercato”, ha detto monsignor Moraglia.

La comunità ecclesiale deve quindi “essere presente nella città con una fede amica della ragione, capace d’incontrare l’uomo riconoscendone, rispettandone e portandone a compimento l’umanità”; una fede non “confessionale” ma “aperta all’uomo reale, concreto, al di fuori di ogni visione asservita al pensiero dominante”.

L’uomo non è “culturalmente manipolabile”, né è mai “un prodotto delle culture dominanti” ma un “dato che precede le differenti culture, fornito di una natura specifica e precostituita e, quindi, un essere inviolabile per la sua dignità personale”.

Nell’epoca della “tecnoscienza”, la domanda che sorge spontanea è: “qual è il tipo d’uomo che ci sta dinnanzi?”. Di fronte alla “metamorfosi antropologica” in atto al giorno d’oggi, è lecito domandarsi come la società d’oggi possa “aver perso il gusto di procreare” e di “educare”.

La comunità cristiana è dunque tenuta a rimettere al centro il “tema dell’uomo”, in considerazione delle sue “forze e risorse” ma anche delle sue “povertà e fragilità”, recuperando il “senso del limite”.

Citando nuovamente la Evangelii Gaudium, monsignor Moraglia ha sottolineato le “nuove forme di povertà” individuate da papa Francesco nella tossicodipendenza, nella povertà, nella vecchiaia. Tra queste ultime figurano anche i “bambini nascituri”, la cui difesa è tutt’altro che qualcosa di “oscurantista” o “conservatore”.

Sintetizzando, il patriarca di Venezia, ha preso le distanze dalla “ideologia del riduzionismo” che “porta l’uomo ad essere una caricatura di se stesso, qualcosa d’astratto, d’irreale, d’inesistente, rendendolo, alla fine, manipolabile secondo i propri scopi”.

In questa dinamica, va riflettuto seriamente sul ruolo dei media e su quanto essi riescano a fornire “un’informazione realmente libera” o piuttosto non servano il “pensiero unico dominante”.