Lunedì la campanella è suonata e così siamo tornati tutti, studenti e insegnanti, nel nostro quotidiano ambiente di lavoro. Prima che le lezioni iniziassero mi sono domandato come avrei svolto la mia prima lezione quest’anno e così mi è venuto in mente di condividere con i miei alunni alcuni brevi testi che potessero dare senso al nostro stare in classe.
Il primo breve brano che ho proposto loro è tratto dal discorso che Papa Francesco ha rivolto al mondo della scuola lo scorso 10 maggio. Si tratta di una frase non lunga, ma piena di significato, che dice: “La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello”.
Papa Francesco ha sintetizzato il compito della scuola in queste tre parole: vero, bene e bello. Se infatti ci facciamo caso, nonostante le discipline siano tante, hanno questa triade come comune denominatore.
Partiamo dal vero. In quali discipline noi vediamo emergere in particolar modo il vero? Possiamo pensare ad esempio alla storia. Quando noi studiamo storia, in fin dei conti non facciamo altro che cercare la verità dei fatti, andiamo alla ricerca di ciò che è veramente accaduto. Ma siamo alla ricerca della verità anche quando studiamo le scienze e tutte le leggi della natura ad esse collegate. Nel nostro studio la mente si china sulla realtà per conoscere la sua verità.
Quali sono poi le materie che ci avvicinano al bello? Sicuramente la storia dell’arte ci rende prossimi a quanto di migliore l’uomo è riuscito a produrre. Pensiamo a tutte le opere d’arte, pittoriche o scultoree, che ammiriamo nei libri di testo. Lo studio dell’arte non solo ci induce a osservare delle opere belle, ma crea anche in noi il desiderio e la ricerca della bellezza e del buon gusto.
Se la storia dell’arte ci fa appassionare al bello attraverso gli occhi, la musica lo fa attraverso le orecchie! Infatti, ascoltando un brano musicale, ci predisponiamo a cogliere l’armonia di una melodia.
È possibile cogliere la bellezza anche attraverso la letteratura. Studiando una poesia possiamo cogliere lo stato d’animo di un autore che, essendo un uomo come noi, può aver espresso con le parole dei sentimenti che noi stessi abbiamo provato.
Infine attraverso le discipline scolastiche possiamo riflettere sul bene. È possibile farlo con lo studio della religione attraverso gli insegnamenti di Gesù e le vite dei santi. Oppure, in modo diverso, cittadinanza e costituzione ci insegna quali sono le regole basilari per vivere bene insieme.
E la scuola o ci educa ad essere cercatori di verità, di bellezza e di bontà oppure abdica al suo compito, perché al vero, al bello e al bene tende ogni uomo e non c’è – o non ci dovrebbe essere – rottura fra la scuola e la vita.
C’è un altro brano che mi è sembrato particolarmente adatto per illuminare il percorso dell’anno scolastico che ci sta davanti. Si tratta di un brano di Péguy nel quale si parla di come si realizza una sedia.
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
In questo brano l’autore insiste sulla necessità di costruire la sedia bene, perché è giusto che sia così, “per sé, in sé, nella sua stessa natura”, come egli stesso scrive. È questa la principale e l’unica motivazione che deve muovere l’operaio nel suo lavoro. Egli non deve essere mosso dal dalla retribuzione, dall’elogio del padrone o dei clienti.
Se il lavoro dell’operaio deve essere compiuto “per sé” è allora naturale che egli lavori al meglio sia le parti della sedia che si vedono che quelle che rimangono più nascoste. Per Péguy la sedia deve essere realizzata “secondo il principio delle cattedrali”. Chi ha avuto la fortuna di salire sulla cima di una cattedrale avrà potuto notare che i particolari che vi si trovano sono lavorati con la stessa cura degli elementi che si trovano in basso e che sono visibili a tutti.
In questo breve testo l’autore sembra aver magistralmente descritto quale debba essere la “spiritualità del lavoro”. Per trasposizione si può fare un analogo discorso per il mondo della scuola.
Dobbiamo amare lo studio e farlo amare ai nostri alunni “per sé”, perché è grazie ad esso che i nostri occhi si aprono sulla realtà. Saremmo dei bravi insegnanti se riuscissimo a far comprendere loro che non studiano per il voto o per fare un piacere agli insegnanti o ai genitori (il salario, il padrone e gli intenditori nelle parole di Péguy), ma per se stessi.
Quante volte l’esecuzione dei compiti a casa è fatta con superficialità, tanto per fare, tanto per non sentire le prediche dell’insegnante! E lo sappiamo tutti, perché anche noi siamo stati studenti! Quando ci siamo comportati così e quando ancora gli studenti di oggi fanno le stesse cose, non abbiamo amato lo studio “per sé”. Dobbiamo invece insegnare ad agire “secondo lo spirito delle cattedrali” perché solo così i nostri studenti potranno apprezzare a pieno il loro stare a scuola.
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Fonte:
http://www.ancoraonline.it/2014/09/17/quando-scuola-non-indica-vero-bello-bene-fallisce-prima-parte/
http://www.ancoraonline.it/2014/09/18/quando-scuola-non-indica-vero-bello-bene-fallisce-seconda-parte/