Papa Luciani, il sorriso della santità

Nel suo editoriale su “La Gazzetta del Sud” di oggi, il vescovo di Catanzaro-Squillace ricorda la figura di Giovanni Paolo I, deceduto nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1978

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«Personalmente sono convintissimo che fosse un santo. Per la sua grande bontà, semplicità, umiltà. E per il suo grande coraggio. Perché aveva anche il coraggio di dire le cose con grande chiarezza, anche andando contro le opinioni correnti. E anche per la sua grande cultura di fede».

Nel 2003 l’allora cardinale Joseph Ratzinger così si esprimeva su Albino Luciani, Giovanni Paolo I, il Papa che nei 33 giorni del suo breve ma incisivo pontificato lasciò un’impronta indelebile nella Chiesa, proseguendo nel cammino già tracciato dai papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI, di cui aveva scelto di portare con il nome lo stile. Trentasei anni dopo, è arrivato il tempo in cui la “leggenda” fa un passo indietro per lasciare spazio alla storia vera, e senza dubbio più interessante e capace di restituire il profilo di Giovanni Paolo I oltre il confine delle immagini agiografiche sul sorriso.

Nelle parole alla città e al mondo pronunciate il 27 agosto 1978, all’indomani dell’elezione, riecheggiava l’incipit della Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». E poi, la sottolineatura del pericolo derivante dall’affermarsi della privatio Dei, quella condizione capace di portare l’uomo moderno «al rischio di ridurre la terra a un deserto, la persona a un automa, la convivenza fraterna a una collettivizzazione pianificata, introducendo non di rado la morte là dove invece Dio vuole la vita».

Un rimedio c’era, ed egli lo evidenziò nelle quattro udienze generali che il tempo gli consentì di tenere: riscoprire l’umiltà (che gli stava molto a cuore, al punto da averne fatto anche il suo motto) e le virtù teologali: fede, speranza e carità. Ne parlava col candore e la passione di un catechista qualsiasi. E catechista nel profondo dell’anima egli era sempre stato: da parroco, prima, poi da vescovo, da patriarca, infine da papa.

Sbriciolare con semplicità le grandi verità della fede, spezzando agli umili il pane del Vangelo: questo era sempre stato il suo obiettivo, il suo programma. Una precisa scelta pastorale. Papa Albino Luciani aveva il coraggio che gli veniva dalla certezza di un amore grande, intramontabile. Scelse questo bellissimo aggettivo proprio per definire l’amore di Dio in una delle sue pochissime uscite pubbliche da Papa: «Noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre». E nel suo ultimo discorso, il giorno prima della morte, sopraggiunta nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, aveva detto: «Se Tu non prendi l’iniziativa, io non parto».

Resta il fatto, inconfutabile, che ancora oggi “don Albino” – come erano soliti chiamarlo i suoi parrocchiani anche dopo l’ascesa al soglio pontificio – con la sua disarmante dolcezza mostra oltre ogni ragionevole dubbio che il suo magistero pastorale è stato tutt’altro che una semplice meteora. Molto di più: un segno luminoso di santità.

+ Vincenzo Bertolone

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Vincenzo Bertolone

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