La nuovo vittima della brutale violenza dei miliziani dello Stato islamico (Isisi) si chiamava Samira al Nuaimy. L’epilogo della sua vita è stato atroce: torturata per cinque giorni e infine uccisa in pubblico, con il corpo lacerato abbandonato sul ciglio di una strada.
È successo a Mosul, ai danni di questa avvocatessa irachena “rea” di “apostasia” per aver pubblicato sui social network alcuni interventi in cui promuoveva i diritti delle donne e delle minoranze e criticava le azioni dell’Isis, specialmente la distruzione di siti storici e religiosi considerati eretici da questi fondamentalisti musulmani.
Le sue attività in Rete sono durate fino al 17 settembre, giorno in cui alcuni jihadisti l’hanno prelevata da casa chiedendole di fare atto di pentimento per le opinioni espresse. Al suo rifiuto, una Corte islamica l’ha dunque condannata a morte dopo un processo sommario.
Condanna che, a quanto riferisce il responsabile della missione Onu a Baghdad Nikolay Mladenov, si è consumata il 22 settembre. Mladenov definisce l’esecuzione della al Nuaimy un “crimine rivoltante” e chiede alla comunità internazionale e al governo iracheno che “facciano fronte al pericolo che minaccia la vita, la pace e la sicurezza dell’Iraq e degli iracheni” e “facciano tutto il possibile per assicurare alla giustizia gli autori di questi crimini”.
Le azioni criticate da Samira al Nuaimy continuano a contraddistinguere i terroristi dell’Isis. È di ieri la notizia secondo la quale hanno “distrutto completamente” la Chiesa Verde di Tikrit che, seppur abbandonata da secoli, era considerato simbolo più che millenario delle antiche origini cristiane in Medio Oriente. Fu edificata nell’anno 700 per opera degli assiri.