«Nasce una nuova fase della mia rubrica “Letture Iconologiche”. Ho infatti invitato alcuni valenti giovani studiosi a collaborare con loro propri contributi, dedicati in modo particolare ad opere d’arte provenienti o conservate in molte aree geografiche, di diverse epoche storiche, in modo da offrire al pubblico di ZENIT un panorama più ampio dell’arte cristiana di tutte le regioni e di tutti i tempi».
Prof. Rodolfo Papa
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Il National Museum of Ireland a Kildare Street, Dublino, dedicato all’archeologia e all’arte fino al medioevo, è stato progettato da Thomas Newenham Deane e Thomas Manly Deane, secondo quello stile definito palladianesimo vittoriano, e presenta dei veri e propri “tesori” unici nel panorama museale europeo. Al piano terra un’ala dell’edificio è chiamata appunto The Treasury ed ospita una serie di capolavori che spaziano dall’Età del Bronzo al Medioevo tra i quali si ricorda il Calice di Ardagh, la Spilla di Tara e il Pastorale di Clonmacnoise. Tra tutti, per bellezza estetica e importanza devozionale, vorrei analizzare il Reliquiario della Campana di San Patrizio.
Il territorio campano è stato certamente uno dei primi luoghi dell’Europa meridionale dal quale si è diffusa la campana anche se, secondo ultime scoperte, sono stati probabilmente degli esperti fonditori di metalli come i Celti che migrando dall’Asia minore, attraverso l’Italia e la Francia, verso Inghilterra, Scozia e Irlanda, diffusero la pratica dello strumento bronzeo. Quando dunque nella seconda metà del VI secolo le campane da chiesa si trovano menzionate per la prima volta nel Nord Europa, in Scozia (col nome latino di cloca o clocca), ciò si può considerare con tutta verosimiglianza il frutto maturo di un’antica tradizione assiro-celtica. Successivamente, a partire dal VII secolo, la campana da chiesa si diffuse in gran parte del resto d’Europa in relazione prevalentemente all’ordine benedettino.
L’Irlanda vanta un’importante tradizione legata alle campane –le campane più piccole venivano usate anche dai capi delle varie popolazioni per sancire i patti- e il National Museum può vantare una delle più ricche collezioni di campane bronzee tubolari datate prima dell’anno Mille. Proprio una campana ha determinato la nascita di tale scrigno. Racconta la legenda che, secondo le indicazioni del suo angelo custode, San Patrizio si ritirò sul monte dell’Aquila (ora Croagh Patrick) e vi trascorse quaranta giorni in preghiera per ottenere una speciale benedizione per la sua opera di evangelizzazione dell’Irlanda. Allora tutti i demoni che abitavano nella regione unirono le loro forze per tentare il santo e si radunarono intorno al monte assumendo aspetto di un enorme stormo di uccelli, tanto fitto da coprire ogni cosa.
San Patrizio, che non riusciva più a scorgere il cielo, suonò la sua campanella: il suono si udì per tutte le valli e lo stormo cominciò a disperdersi. Patrizio allora gettò la campana contro gli uccelli che si andarono a gettare immediatamente in mare e per sette anni non si trovò in Irlanda alcun segno del male. La campana del santo, quindi, datata Settimo secolo e della tipologia tubolare, ovvero di piccole dimensioni e realizzata con una lamina di bronzo piegata e ribattuta, proveniente da Armagh, la capitale religiosa dell’isola fondata dallo stesso Patrizio, diventò un’importante reliquia dal forte potere taumaturgico.
La campana faceva parte delle cosiddette “Reliquie di Patrizio” e fu rimossa da San Colum Cille (Colomba), insieme al “Calice di Patrizio” e al “Vangelo dell’Angelo”, sessant’anni dopo la morte del santo affinché fosse esposta alla venerazione. Circa la campana si ricorda, nel 1044, una disputa tra due re mentre è menzionata esplicitamente in una Cronaca del 1356.
Il reliquiario, invece, è datato tra il 1091 e il 1105 ed è uno dei più importanti esempi dell’arte di ascendenza vichinga nell’isola. L’arte vichinga è un’arte fortemente ornamentale caratterizzata da stilizzazioni animaliste che si trasformano in vere e proprie decorazioni geometriche e viceversa, ovvero da motivi zoomorfi che assumono forme sinuose labirintiche. La creazione di un’ornamentazione originale nel periodo tardovichingo sembra essere intimamente connessa con la conversione al cristianesimo e con la fondazione della Chiesa scandinava. Se pertanto con lo stile detto di Mammen vengono introdotti un nuovo modo di composizione additiva – una maniera di rendere i motivi vegetali – e un repertorio rinnovato di motivi – leoni, volatili, serpenti, lotte tra un animale (spesso identificabile come leone) e il serpente – è con stile di Urnes, lo stile del reliquiario, che si arriva al massimo splendore decorativo.
Lo stile venne utilizzato in Inghilterra anche dopo la conquista normanna ma fu in Irlanda, a partire dal tardo 1000, che le forme vennero combinate con la tradizionale decorazione zoomorfa irlandese nell’ambito di un processo di rinnovamento che interessò specialmente l’arte ecclesiastica. Il reliquiario, pertanto, è un importante esempio dell’influenza vichinga sullo stile celtico-irlandese perché combina l’ornamentazione scandinava con tradizionali elementi celtici quali la filigrana intrecciata. E’ proprio l’uso di nodi e di intrecci particolari e complicati, dal punto di vista realizzativo, a rendere il reliquiario un autentico capo d’opera, nel quale lo sguardo si perde nell’intricato labirinto di combinazioni, e un modello per altri simili oggetti quali il reliquiario della campana di San Cuileain, oggi al British Museum.
Un’iscrizione in gaelico sul retro del reliquiario indica che questi è stato realizzato intorno al 1100 da un certo “U INMAINEN” (Noonan) e indica Domhnall Ua Lochlainn, Re d’Irlanda tra il 1094 e il 1121, come il committente dell’opera. E’ formato da una serie di lastre di bronzo unite ai bordi di attacchi tubolari e termina con una cresta ricurva atta a coprire il manico della campane. La parte anteriore è coperta da una cornice in argento dorato contenente una trentina di pannelli più piccoli in filigrana d’oro, disposti a forma di croce, una serie di pietre preziose e tre grandi cristalli di rocca –probabilmente in riferimento alla Trinità – uno grande al centro. I lati minori sono decorati con pannelli traforati e filigranati raffiguranti forme zoomorfe allungate intrecciate con lunghi serpenti, mentre due piccoli dadi riccamente decorati sorreggono delle maniglie.
Nel retro osserviamo una decorazione in argento a croci e svastiche che si ripetono formando pattern omogenei. In alto due pavoni, quasi irriconoscibili dall’intreccio della filigrana, sono posti di profilo con loro lunghe code che formano florilegi, e circondano l’Albero della Vita. L’abbondanza della decorazione e di motivi ornamentali –zoomorfi e fitomorfi- e la ricchezza e bellezza dell’ornato accrescono pertanto il valore sacrale dell’oggetto il cui compito è contenere un manufatto tanto prezioso e comunicarlo all’esterno: l’opera, quindi, diventa metafora della bellezza celeste, preannunzio di grazia e simbolo di eternità.
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Tommaso Evangelista è storico e critico d’arte. Esperto in didattica museale e arte sacra. Vive a Dublino.