Non è per niente facile presentare in poche battute la complessa e articolata figura del cappuccino bergamasco Tommaso da Olera o da Bergamo (1563-1631), anticipatore delle rivelazioni fatte alla suora visitandina Margherita-Maria Alacoque nel 1675 da Gesù in persona, che le ha mostrato il suo Cuore.
Ci proviamo, tentando di dire l’essenziale e così incuriosire tu che leggi. Il nostro Tommaso, beatificato lo scorso anno a Bergamo Alta, nella cattedrale di sant’Alessandro, nel tardo pomeriggio il 21 settembre, è un cappuccino non sacerdote del Seicento, che il Signore ha condotto per mano anche al di là delle Alpi.
Non è stato soltanto nel convento di Verona, dove ha superato brillantemente l’anno di noviziato e, negli anni successivi, ha dato prova di realizzare con grande impegno l’arduo ideale della vita religiosa e di voler camminare speditamente, nell’epoca d’oro dei cappuccini, sul difficile crinale dell’ascetica e mistica.
Dopo venticinque anni, i superiori lo inviarono ‘di famiglia’ a Vicenza, dove continuò il pesante ufficio della cerca: stendere la mano per ricevere del pane per frati e poveri, ma soprattutto cercare giovani donne, desiderose di consacrarsi a Dio nella vita contemplativa. Diventò l’apostolo della vita consacrata.
A Rovereto, dove giunse ‘di famiglia’ sette anni dopo, continuò il doppio incarico, quello assegnatogli dai superiori, di cercare pane, e quello assegnatogli da Dio, di cercare di anime. Se a Vicenza, per suo intervento diretto, nacque il monastero delle cappuccine, a Rovereto nacque il monastero delle clarisse.
A Padova fu ‘di famiglia’ solo per un anno, da una primavera all’altra, con l’ufficio di portinaio. L’anno da portinaio lo possiamo considerare il suo “anno sabbatico”. Nel frattempo la sua fama di uomo di Dio, interessato alla salvezza delle anime e disponibile alla volontà dei superiori, raggiungeva le terre del Nord.
Leopoldo V, arciduca del Tirolo, suggerito dal medico di corte Ippolito Guarinoni, nel 1618 chiese ai superiori maggiori di Venezia di inviare Tommaso nel convento di Innsbruck, per farlo diventare, oltre che frate della cerca lungo la valle dell’Inn, suo personale consigliere e, all’occorrenza, fidato ambasciatore.
A Innsbruck rimarrà fino alla morte, cioè per tredici anni. Andrà a Vienna, Monaco, Linz, Salisburgo, ma anche a Loreto e Roma. Oltre all’arciduca Leopoldo e alla sua sposa Claudia de’ Medici, i suoi amici spirituali furono illustri nomi della Chiesa e alte personalità dell’Impero, l’imperatore Ferdinando II compreso.
Incontrare i valligiani nelle casupole e i minatori nelle miniere di sale o di carbone, come pure salire le sontuose scale dei palazzi dei vescovi e principi, per lui era una missione da compere nel nome del Signore. Sono loro a ringraziarlo per primi, avendo ricevuto delle certezze, nate dal suo diuturno colloquio con Dio.
Il mondo femminile di Verona, Vicenza, Rovereto e Innsbruck trovò in lui un sicuro riferimento spirituale. Per esempio: Bernardina Floriani, in seguito sr. Giovanna Maria della Croce; le arciduchesse dell’Istituto di Hall; la nobildonna luterana Eva Maria Rettinger, da lui convertita e poi diventata monaca a Salisburgo.Tommaso non fece solo miracoli materiali (famoso quello della botte da vuota a piena di vino buono, quand’era ‘di famiglia’ a Verona), ma anche celebri profezie: per esempio quella della esaltante vittoria di Praga (alla Montagna Bianca) dell’8 novembre 1620 e quella della rovinosa disfatta di Mantova nel 1630.
Nato a Olera, piccola borgata medievale a pochi chilometri da Bergamo, concluse il suo pellegrinaggio a Innsbruck. Nella povera cella del convento consegnò la sua grande anima al Signore, circondato dai frati in lacrime (non prima di aver ricevuto l’autorizzazione a morire dal padre provinciale Serafino da Brunico).
Questo è stato l’iter geografico di Tommaso. Molto più interessante per noi è quello spirituale. Mentre negli anni della formazione era stato alla scuola del “nudo Crocifisso”, nella vita di frate della cerca è rimasto alla scuola della “piaga del costato di Cristo”. Suo stile era stare alla “mensa della contemplazione”.
Non tenne per sé le “illuminazioni spirituali” che Dio gli elargiva in sovrabbondanza, ma le consegnò ai suoi amici anche mediante esortazioni scritte su fogli volanti. Tali manoscritti, custoditi nell’archivio dei cappuccini di Innsbruck, a partire dal duemila si pensò di stamparli in edizione critica con l’ed. Morcelliana.
L’Opera Omnia prevede quattro volumi. Due sono già a disposizione: Tommaso da Olera, Scritti, Selva di contemplazione e Scala di perfezione, a cura di A. Sana, Brescia 2005 e 2010. Gli altri due prossimamente: Concetti morali contro gl’eretici – Trattatelli ascetici ed Epistolario, a cura di A. Bartolomei Romagnoli.
Domanda: Tommaso dove aveva imparato a scrivere? Quando bussò al convento di Verona, per essere ricevuto fra i cappuccini di Venezia, era un diciasettenne che non sapeva né leggere né scrivere. Risposta: nei tre anni della formazione. Il superiore Francesco da Messina l’aveva giudicato un frate promettente.
Padre Giovenale da Brez, che per primo curò i suoi scritti (Augusta 1682 e Napoli 1683), di Tommaso diceva, sia pure con enfasi secentesca: “Più dal interno Spirito insegnato [… egli fu] un colmo d’ogni sorte di virtù, [… un] abisso de humiltà, [ … da lui] scaturivano le grandi fiamme dell’amor di Dio e del prossimo”.
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Padre Rodolfo Saltarin è vice postulatore della causa di beatificazione di Tommaso da Olera.
Per approfondimenti: http://www.zenit.org/it/articles/storia-di-un-cappuccino-del-xvi-secolo