La cerimonia di Beatificazione è stata presieduta dal Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, che ha concelebrato con il vescovo monsignor Diego Coletti, insieme ad altri sei presuli e circa 100 sacerdoti.
Nata nel 1807, la vicenda umana e religiosa di Giovanna Franchi, detta “Giovannina”, è esemplare. Seconda di sette figli, nacque in una famiglia nobile e facoltosa; fu tuttavia lontana dalla vanità, anzi condusse sempre uno stile di vita sobria e caritatevole. All’età di sette anni, Giovannina venne affidata al monastero della Visitazione che rispondeva al progetto di San Francesco di Sales, cioè una famiglia religiosa senza clausura, dedita alla cura degli infermi a domicilio e al sollievo di ogni tipo di infermità. Le suore di questo monastero svolgevano come prima attività “la visitazione” a malati, bisognosi, carcerati, poveri, discriminati, sofferenti.
Giovanna si comportò in maniera eccellente, ma non era pronta a scegliere la vita religiosa. Tornò in famiglia e si fidanzò, ma proprio quando erano prossime le nozze, il suo promesso sposo morì improvvisamente. Poco dopo morirono anche i genitori, lasciandole un ingente patrimonio. Fu così che la ragazza acquistò una grande edificio a Cortesella, il quartiere più antico e povero di Como, dando inizio alla Pia Unione delle Sorelle Infermiere di S. Nazaro. La principale attività della Congregazione era quella di accogliere e assistere tutte le persone che vivevano in situazioni di povertà, materiale e spirituale. Quindi, ex prostitute, malati mentali, donne sfruttate e abbandonate, famiglie senza casa. Le sorelle della Pia Unione andavano anche al carcere cittadino per assistere le donne malate e cercare di consolare ed educare le detenute che scontavano la pena.
“Riconosciamo in madre Franchi una grandissima ‘genialità evangelica’”, ha affermato infatti monsignor Coletti, vescovo di Como. “Andando oltre ogni pregiudizio, lei metteva al centro delle sue azioni la persona. Da qui si mosse la sua attività di assistenza, così variegata, che innervò la comunità e si sviluppò in collaborazione con la Chiesa diocesana. La scelta per i ‘piccoli’ – ha aggiunto il presule – non fu avventurosa o improvvisata, ma fondata su una fede vera, che troviamo sintetizzata nei tre capisaldi della regola di vita della congregazione nata con lei: il Crocifisso, l’Eucaristia, la Madonna addolorata. È la prova concreta che se prendiamo sul serio il Vangelo la nostra vita non può che ‘lievitare bene’, come fa il buon pane”.
Un pane eucaristico, dunque, cibo per le anime, che la Beata dispensò quotidianamente praticando la carità, il conforto, il servizio, la cura, la compassione, l’assistenza, senza mai trascurare la preghiera e l’insegnamento del catechismo. Tutto sempre arricchita dall’amore di Dio; lo stesso che trasmise a chiunque incontrò.
Mons. Coletti ha sottolineato pure che “le circostanze della morte ci confermano la grande generosità di madre Giovanna”: “Durante l’epidemia di vaiolo nero che afflisse la città di Como fra il 1871 e il 1872, andò lei stessa ad assistere le persone colpite dal morbo, preservando le consorelle e portando diretto conforto agli infermi. Contrasse il contagio in una forma tanto grave da morirne”.
“Nella preghiera che l’accompagnò negli ultimi istanti – ha rivelato il vescovo – la Beata non chiese che le venissero risparmiate sofferenze, ma offrì la sua vita ‘in sacrificio di espiazione per ottenere alla mia città la salvezza da questo flagello’. I documenti dell’epoca ci dicono che, dopo il 23 febbraio 1872, in Como non si registrarono altri decessi per vaiolo nero”.