Chi conosce bene la situazione gli albanesi immigrati in Italia e può avere una visione appropriata dell’Albania riguardo il sentimento religioso è don Pasquale Ferraro, incaricato CEI per la Pastorale delle Comunità di immigrati albanesi in Italia. Nel 2004 è stato nominato parroco della chiesa di San Giovanni della Malva a Trastevere ed il vicariato di Roma gli ha concesso di officiare in lingua albanese per seguire le circa 40 comunità in Italia di immigrati dall’Albania, arrivate negli anni seguenti la caduta del regime comunista di Henver Hoxha.
Considerando che il Santo Padre andrà in vista in Albania, ZENIT ha rivolto alcune domande a don Pasquale Ferraro.
In che modo gli albanesi stanno vivendo l’attesa per la visita di papa Francesco del prossimo 21 settembre?
Don Pasquale Ferraro: “Hanno colto con molto entusiasmo la visita, anche perché risentono ancora dei danni del regime comunista, le cui conseguenze tuttora portano nel loro vissuto. Nei giovani il ricordo è un pò più distante. L’essere albanese gli viene trasmesso da tutta la cultura ed hanno sempre il desiderio di rivendicare quello che gli è stato negato. La CEI in uno studio ha rilevato che il 56% degli immigrati in Italia ha chiesto di ricevere i sacramenti e per la maggior parte sono albanesi che manifestano questo il bisogno di entrare nella chiesa cattolica. La visita del Santo Padre, pertanto, è accettata con entusiasmo. La loro è una chiesa non più maltrattata, per questo la visita è un grande segno di libertà per tutte le confessioni religiose. Il loro è un passato di secoli che non dimenticano, un passato triste. Come popolo, nonostante abbiano tre confessioni religiose (cattolica, ortodossa e musulmana, n.d.r.) sono molto uniti. In ciò la visita del Papa acquista un carattere ecumenico, vista la comune storia. La convivenza tra le tre religioni è molto serena. I due maggiori santuari albanesi, a Scutari, nel nord del paese, quello della Madonna del Buon Consiglio e quello di Sant’Antonio, sono molto frequentati dalle tre diverse religioni. Gli ortodossi hanno coscienza religiosa. Per i musulmani si tratta soltanto di un sentimento di appartenenza alla famiglia. Gli albanesi sentono molto il valore della famiglia, per questo cambiare religione è un problema di famiglia, quasi fosse un tradimento della famiglia. Per la mia esperienza a Roma alcuni kosovari di lingua albanese e di religione musulmana mi hanno chiesto con insistenza di indicargli la via dove si trova la Moschea, ma non ho mai incontrato un albanese che mi abbia chiesto di vederla”.
Spiega ancora don Pasquale che negli albanesi moderni c’è insita la ricerca del passato religioso negato e vissuto magari soltanto nella dimensione domestica, non potendolo manifestare pubblicamente. “Il Santo Padre – sottolinea il parroco di Trastevere – vuole mettere in risalto la convivenza. Va per riscoprire le radici religiose”.
Gli immigrati albanesi come vivono la loro lontananza?
Don Pasquale Ferraro: “Si sentono molto legati al loro paese. D’altronde Otranto e Valona distano circa 80 chilometri e le comunicazioni sono veloci. Non chiedono la cittadinanza italiana perché si sentono legati alla famiglia di origine. Certo desiderano l’America, ma poi restano perché sanno che è troppo lontana e questo distruggerebbe il legame con la loro terra, con la propria famiglia cui tengono tantissimo”.
E il legame con la Madonna del Buon Consiglio che si custodisce nel santuario di Genazzano, in provincia di Roma?
Don Pasquale Ferraro: “Ne hanno una orgogliosa venerazione. Per loro è l’incontro tra i familiari in Italia ed in Albania. Un incontro umano, di cuore”.
Don Pasquale si riferisce all’annuale pellegrinaggio dell’ultima domenica di maggio che le comunità di immigrati in Italia compiono al santuario della Madonna del Buon Consiglio di Genazzano, la cui immagine “divinamente apparve” nel 1467 e che gli esuli dalla conquista ottomana della seconda metà del Quattrocento in Italia riconobbero come l’affresco staccatosi dalla loro chiesa di Scutari in Albania.
Che effetto ebbe la visita di Giovanni Paolo II nel ’93?
Don Pasquale Ferraro: “Giovanni Paolo II è andato a ricostruire la gerarchia ecclesiastica. E’ andato ad ordinare sacerdoti. Prima di lui solo il cardinale Ivan Dias era l’unica presenza riconosciuta di una chiesa in ricostruzione (nunzio apostolico inviato da Giovanni Paolo II, n.d.r.). Fu l’unico punto di riferimento per anni ed ha ricostituito la gerarchia ecclesiastica cattolica, dandogli un curriculum di studio. Ora, ogni anno vengono ordinati sacerdoti, ma è pur sempre una terra di missione. La chiesa albanese non è stata ancora ristrutturata. Molti in Albania mancano di una cultura religiosa. C’è un’Albania dei più anziani ed una dei più giovani. La cultura si riacquista lentamente e, così, l’indole religiosa. Ancora non vi è una gerarchia adeguatamente matura da portare avanti la chiesa”.
Lei che proviene da una delle comunità italo-albanesi della Calabria, i cosiddetti arbëreshë, avverte differenze tra vecchi e nuovi immigrati?
Don Pasquale Ferraro: “C’è troppa distanza. E di conseguenza di cultura. Rimane solo una parvenza di lingua comune. Cinque secoli di distacco hanno pesato enormemente”.