Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il cardinale Caffarra ha tenuto oggi a Bologna nel santuario dove si celebra il IV centenario del rinvenimento dell’immagine di Santa Maria della Via.
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Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo l’Eucarestia nel ricordo quadricentenario del ritrovamento della venerata immagine affrescata da Simone dei Crocefissi.
Ci troviamo in un luogo fra i più importanti della storia della nostra città, e non è esagerato dire del Medioevo cristiano. Nel 1289 ad opera della Compagnia dei Battuti, presenti in Bologna dal 1261, qui venne edificato forse il primo ospedale nella storia. E fu naturale allora invocare la Madre di Dio sotto il titolo di Santa Maria della Vita.
La parola di Dio ci aiuta a cogliere il significato di questa vicenda narrata sinteticamente.
La Chiesa poi celebra in questa domenica il mistero della Croce. I tre “ricordi”:
1. S. Maria della Vita, fondazione del primo ospedale, ed esaltazione della S. Croce sono uniti fra loro.
La pagina evangelica ci porta al centro della rivelazione divina e della fede: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Il “mondo” siamo tutti noi. È la vicenda umana del singolo e dell’umanità nel suo insieme. Questo mondo è amato da Dio. Non è lasciato a se stesso: è ultimamente sostenuto e guidato dall’Amore di Dio il Padre.
Che la divinità si interessasse e si prendesse cura del mondo, era ritenuto al tempo della prima predicazione del Vangelo una bestemmia. L’indifferenza della divinità verso i casi umani era un’amara certezza dell’uomo antico.
A questo uomo; ad ogni uomo, anche all’uomo di oggi è semplicemente detto: «Dio ha tanto amato il mondo». Né si tratta di un’affermazione per così dire “astratta”. L’amore di Dio verso il mondo è testificato da un fatto storicamente accaduto: l’invio dell’Unigenito Dio nel mondo. Egli diventa la rivelazione dell’amore del Padre.
In che modo lo rivela? Attraverso la compassione e la condivisione delle miserie umane, fino alla miseria estrema che è la morte. È questa rivelazione che la Chiesa oggi celebra in tutto il suo splendore: l’esaltazione della Croce.
L’apostolo Paolo nella seconda lettura ci consente di entrare, con timore e tremore, dentro al modo con cui Gesù ha vissuto la sua missione. Egli, per prendersi cura di noi dal di dentro per così dire, «spogliò se stesso» della sua gloria divina, e divenne simile all’uomo fino alla morte e alla morte di croce.
È chiara dunque l’intenzione divina che è alla base di tutta questa vicenda: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi». Come? «Per mezzo di Lui», cioè di Gesù crocifisso e risorto.
L’uomo entra in questa vicenda divino-umana mediante la fede: chi crede, si salva; chi non crede, si autocondanna, poiché preferisce le tenebre alla luce.
2. Come vi dicevo la fede del popolo bolognese ha qui eretto uno dei primi ospedali della storia. L’ospedale, in fondo, fin dalla sua nascita si è preso cura dell’ammalato in due modi strettamente connessi: la pietà verso il sofferente; la scienza che combatte la malattia. Uno dei più grandi medici del secolo scorso amava ripetere: “amo troppo l’ammalato per non odiare e combattere la malattia”. L’amore verso l’ammalato ha generato la scienza medica; la scienza medica ha reso operosa la pietà.
Spezzate questo vincolo e la scienza trasforma il malato in un “caso clinico”; spersonalizza l’ammalato; diventa empia. E la pietà verso l’ammalato non tarderà a corrompersi in magia e superstizione.
Cari fratelli e sorelle, perché vi sto dicendo queste cose? Perché la grande tradizione ospedaliera, che qui ha avuto origine, è germinata dalla compassione del Dio fatto uomo verso le persone ammalate. Compassione di cui l’uomo diventa partecipe mediante la fede.
S. Maria della Vita fu chiamato questo luogo, perché più di ogni altro la Madonna ha compreso e condiviso la passione del Suo divino Figlio verso i sofferenti, ispirando l’opera ospedaliera.
Preghiamo perché la nostra città non dilapidi una così alta tradizione di scienza e di carità. Così sia.