Il pellegrinaggio dei vescovi congolesi a Roma, sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo, contribuisce a stringere i loro “vincoli di comunione con la Sede Apostolica” ma anche tra loro e con i “vescovi del mondo intero”. Lo ha affermato papa Francesco nel discorso consegnato ai presuli, ricevendoli in udienza, in occasione della loro visita ad limina apostolorum.
Il Papa ha anche espresso il suo “profondo apprezzamento” per la “dedizione” e lo “zelo” dimostrato dai vescovi del Congo nell’“annuncio del Vangelo” e ha incoraggiato “i sacerdoti, le persone consacrate e gli altri operatori pastorali” che collaborano con le diocesi del paese africano.
“Sono grato a Dio per i tanti doni che Egli dà alla Chiesa del vostro paese”, ha detto il Pontefice, sottolineando la “coraggiosa testimonianza” delle comunità cattoliche congolesi.
In ogni diocesi, ha aggiunto il Santo Padre, “è necessaria la presenza, la vicinanza e la stabilità del vescovo” ai fini di “rassicurare i sacerdoti e i candidati al sacerdozio e perché tutti i fedeli si sentano accompagnati, seguiti e amati”.
Francesco ha descritto la Chiesa congolese come una realtà che “sta crescendo”, tuttavia ciò che è più importante per la Chiesa non sono i “numeri” ma la “totale ed incondizionata accettazione di Dio rivelato in Gesù Cristo”.
Menzionando il primo centenario dall’inizio dell’evangelizzazione nel paese, il Papa ha sottolineato che quella del Congo è una “chiesa di giovani”, nella quale, in particolare “bambini ed adolescenti” hanno bisogno della “forza di Dio per resistere alle molte tentazioni provocate dalla precarietà della loro vita”, a partire dalla “impossibilità di proseguire gli studi o di trovare lavoro”.
Il Santo Padre, manifestando la sua sensibilità per la situazione congolese e condividendo le “gioie” e le “speranze” dei giovani del paese, ha citato in modo speciale i più sfortunati di loro, “arruolati nelle milizie e costretti a uccidere i propri connazionali”.
Il mezzo più efficace per vincere la “violenza”, la “disuguaglianza” e le “divisioni etniche” consiste nel “dotare i giovani di spirito critico e offrire loro un percorso di maturazione nei valori evangelici”, attraverso, ad esempio, il rafforzamento della “pastorale nelle università e nelle scuole cattoliche e pubbliche”. A tale scopo, Pontefice ha invitato i vescovi congolesi ad essere degli “apostoli della gioventù” nelle rispettive diocesi.
Di fronte alla “disgregazione familiare – ha aggiunto – causata in particolare dalla guerra e dalla povertà, è essenziale promuovere e incoraggiare tutte le iniziative volte a rafforzare la famiglia, fonte di fraternità, fondamento e prima strada per la pace”.
Non è mancato un accenno all’edificazione del “bene comune” e all’opportunità che i pastori sostengano i “leader nazionali” con un “insegnamento cristiano” che possa integrarsi nella loro “vita personale” e nell’“esercizio delle loro funzioni al servizio dello stato e della società”.
Un’ulteriore esortazione è arrivata in merito allo sforzo per l’instaurazione di una “pace giusta e duratura, attraverso un dialogo pastorale e la riconciliazione tra i vari settori della società, sostenendo il disarmo e promuovendo un’efficace collaborazione con le altre confessioni religiose”.
Nello svolgimento della formazione cristiana, i fedeli laici dovranno esercitare la loro missione in modo corretto, senza che i pastori prendano il posto che spetta loro. “In questo senso – ha commentato il Papa – non ho alcun dubbio che si continuerà a lavorare per sensibilizzare le pubbliche autorità a concludere i negoziati per la firma di un accordo con la Santa Sede”.
Non meno “auspicabile”, ha proseguito Francesco, è una “più stretta collaborazione con tutti gli operatori pastorali che lavorano nei vari campi dell’apostolato e della pastorale sociale, in particolare nell’istruzione, nella salute e nell’assistenza caritativa”.
In questo ambito, il Santo Padre ha accolto “con favore” ed incoraggiato “il lavoro di tutti i missionari, sacerdoti, operatori pastorali religiosi che si dedicano al servizio della vita, delle vittime della violenza, specie nelle aree più isolate e remote del paese”.