Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 24ª Domenica del Tempo Ordinario (Anno A), festa dell’Esaltazione della S. Croce.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Festa dell’Esaltazione della Santa Croce – 14 settembre 20141
Nm 21,4b-9; Sal 77; Fil 2,6-11; Gv 3,13-17
1) L’Amore illumina la Croce.
La festa di oggi celebra la Santa Croce non per esaltare il patibolo sul quale Gesù è salito ed è morto, ma per celebrare ciò che la croce di Cristo ci ha manifestato: l’amore e ciò che ci ha guadagnato: la salvezza.
Nella prima lettura, presa dal libro dei Numeri, troviamo l’episodio a cui fa riferimento Gesù nel suo dialogo con Nicodemo (Vangelo di oggi): gli israeliti dopo essersi ribellati a Dio e a Mosè, vengono puniti. La punizione li rende consapevoli del loro peccato e chiedono a Mosè di intercedere presso Dio. Questi ordina a Mosè di mettere un serpente di bronzo su un bastone, perché chi lo guarderà non morirà a causa del morso di questo rettili. Il serpente, segno e causa di morte, di terrore, di fallimento e di sofferenza, diventa allora un segno e fonte di vita, allo stesso modo in cui la croce, segno di punizione e di morte, diventa segno di vita.
Nella seconda lettura, tratta dalla Lettera ai Filippesi, la croce è vista come il motivo di “esaltazione” di Cristo. Gesù, Figlio di Dio, “svuotò se stessoassumendo una condizione di servo,diventando simile agli uomini.Dall’aspetto riconosciuto come uomo,umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.Per questo Dio lo esaltò” (Fil 2, 6-7).
Il Padre esalta il Figlio che ha accettato di obbedire fino al dono supremo della vita; la croce così diventa segno dell’obbedienza come adesione che accompagna tutta la sua avventura terrena.
Nel Vangelo, Gesù dice al suo visitatore Nicodemo che “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.”(Gv 3,14b-15). È sulla croce che troviamo la manifestazione più alta dell’amore di Dio. Sulla croce Gesù realizza in modo ancora più grande quello che faceva il serpente di bronzo issato su un’asta al centro dell’accampamento. Chi guarda con fede supplice Cristo Gesù è salvo.
Da quando Cristo ha riempito d’amore e illuminato di vita la sua croce, il dolore e le altre assurdità delle nostre vicende umane hanno un senso: le condividiamo con Lui per rinascere con Lui a vita nuova. Così la croce, definitivamente piantata nel cuore e nella vita di ognuno di noi, diventa albero di vita, da cui sgorga energia divina e grazia che santifica.
Con Adamo ed Eva, ai piedi di un albero verde era iniziata la nostra tragica storia di peccato. Con Gesù e Maria e con un albero secco e rinverdito dall’amore di Cristo, obbediente ed immolato per noi, riprende vita la nostra rinascita.
E’ davvero ragionevole fare festa oggi e fare ogni giorno il segno della croce, per ricordare la tragedia del peccato e il trionfo dell’amore.
Dovremmo ripetere il gesto devoto di gratitudine che compiamo il Venerdì Santo, quando adoriamo la croce di Cristo e imprimiamo su di essa l’impronta del nostro amore, baciando la Croce e il Cristo che vi è disteso sopra.
La Croce ci insegna che la nostra azione è tanto più efficace quanto più siamo “passivi”2, quanto più soffriamo del male del mondo. È un insegnamento che sconcerta, difficile da accettare, perché la nostra natura reagisce nei confronti della sofferenza con una certa ripugnanza istintiva e un certo rifiuto istintivo. Ma il fatto di questa reazione istintiva non toglie nulla alla grandezza della sofferenza. Di fatto questa reazione l’ha provata anche Gesù; prima di iniziare la sua Passione Egli ha pregato il Padre: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice”. Che cosa dunque c’è di strano se anche l’anima nostra prova una reazione immediata di ripugnanza e di rifiuto nei confronti della sofferenza, sia che questa colpisca il fisico, sia che opprima il cuore e ferisca l’anima?
2) La Croce è la chiave dell’amore, il legno per solcare il mare della vita.
E’ evidente che la croce non piace a nessuno. Non piace neppure a Gesù Cristo (“Padre, se possibile allontana da me questo calice”), ma, come scrive San Bernardo di Chiaravalle: “Gesù nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi, infatti, conosce i sentimenti del Signore, o chi fu suo consigliere? (cfr Ger 29,11). Ma il chiodo penetrando fu per me come una chiave che mi ha aperto perché io vedessi la volontà del Signore … E’ aperto l’ingresso al segreto del cuore per le ferite del corpo … appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visitò dall’alto un sole che sorge (Lc 1,78)” (Sermoni sul Cantico dei cantici; Ser. LXI, 4). “E’ aperto l’ingresso al segreto del cuore”: la Croce è la suprema rivelazione di ciò che dimora dentro al cuore di Dio. E per questo San Paolo può dire di “non sapere altri in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocefisso” (1 Cor 2,2). Alla domanda più alta che ogni essere umano possa fare: “Chi è Dio?”, il cristianesimo risponde: “Cerca la risposta nel Crocefisso”. Il cuore umano è impastato dal desiderio di vedere Dio (cfr Summa Theologica, 1,2,q.3, a.8), il cristiano risponde dicendo: “Guarda il Crocefisso e vedrai Dio”.
La Croce svela, in primo luogo, la logica interna all’articolo specifico della nostra fede: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). E’ la logica della condivisione della nostra condizione umana, che consiste nella partecipazione alla stessa natura umana: nell’avvenimento della Incarnazione si mostra che Dio è veramente interessato alla nostra vicenda ed ai nostri casi umani, fino al punto da venire a viverli Egli stesso.
In secondo luogo, la Sua Croce manifesta, rivela che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva Sant’Agostino nel suoCommento a Giovanni, 12,11.
Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna. Oggi, la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini, per noi uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita.
È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria.
Oltre a mostrarci Chi è veramente Dio nel Suo amore crocifisso, glorioso e maestoso, la Croce ci dona ciò che il cuore desidera: la vera felicità, rendendone possibile il raggiungimento. A questo proposito Sant’Agostino scrive: “E’ come se qualcuno riuscisse a vedere da lontano la patria, ma ci sia il mare che lo separa da essa. Egli vede dove andare, ma gli manca il mezzo con cui andare … C’è di mezzo il mare di questo secolo attraverso il quale dobbiamo andare, mentre molti non vedono neppure dove devono andare. Perciò, affinché ci fosse anche il mezzo con cui andare, venne di là Colui al quale volevamo andare. E che cosa ha fatto? Ha preparato il legno con cui potessimo attraversare il mare. Inf
atti, nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. A questa Croce potrà stringersi, talvolta, anche chi ha gli occhi malati. E chi non riesce a vedere dove deve andare, non si stacchi dalla Croce, e la Croce lo porterà”. (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, II, 2).
Quindi stiamo abbracciati alla Croce perché ci accompagni sui sentieri della verità, umilmente, senza difese. Infatti se la croce la subiamo o la trasciniamo, essa finirà per schiacciarci, ma se la abbracciamo sarà essa a portarci. Inoltre, non stacchiamoci dalla Croce se non per guardarla e imparare l’amore, lasciando che l’amore infinito che ha innalzato il Signore percuota il nostro cuore. Infine facciamo spesso e bene il segno della Croce, come ho accennato poco sopra. E’ significativo che nella Grotta di Masabielle al momento della prima apparizione a Bernadette Soubirous, la Vergine Immacolata introduca il suo incontro con il segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati. Ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, della salvezza, della libertà e dell’amore.
3) L’amore verginale è crocifisso, quindi sponsale.
E’ “sulla croce che l’amore verginale di Cristo per il Padre e per tutti gli uomini raggiungerà la sua massima espressione; la sua povertà arriverà allo spogliamento di tutto; la sua obbedienza fino al dono della vita” (Vita Consecrata, 23a). L’amore ha portato Cristo al dono di sé fino al sacrificio supremo della Croce. Questa è il “talamo delle nozze” delle Vergini consacrate con il Cristo, loro mistico sposo. La loro unione col Cristo avviene sulla Croce. Egli le unisce a Sé perché partecipino alla sua passione, dalla quale dipende la salvezza del mondo. Le Vergini consacrate si sono consacrate al Signore Gesù. Il figlio del Dio altissimo, e lo riconoscono come loro sposo (cfr. Rito della Consacrazione della Vergini, n. 17). A loro rivolgo l’invito di Sant’Agostino “sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce”. (De sancta virginitate, cc. 54-S5: PL 40, 428).
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LETTURA PATRISTICA
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull’Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023).
La croce è gloria ed esaltazione di Cristo
Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell’albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l’inferno non sarebbe stato spogliato.È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell’inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l’universo.La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà » (Gv 13,31-32).E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12,28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.
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NOTE
1 Nel 2014 la domenica cade il 14 settembre, giorno in cui si celebra la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, che nel calendario liturgico “prevale” sulla domenica ordinaria sia per il Rito Romano (XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A) sia per quello Ambrosiano (III Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore). Storicamente, questa festa è nata con il ritrovamento della Croce di Gesù da parte di Santa Elena e con la costruzione, sul luogo della Passione, della Basilica, fatta dall’imperatore Costantino, figlio di questa Santa. Quindi questa festa dell’Esaltazione riassume e richiama alcuni eventi storici legati al santo Legno, principalmente la scoperta della Vera Croce. Una tradizione formatasi abbastanza presto riferisce che sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, aveva ritrovato a Gerusalemme, presso il Golgota, le tre croci usate per Gesù Cristo e i due ladroni; una guarigione miracolosa, avvenuta al contatto con una d’esse, permise il riconoscimento della croce del Salvatore e di mostrarla alla venerazione del popolo.
Si commemora anche la seconda grande Esaltazione della Croce, a Costantinopoli nel 629. Il 4 maggio 614, durante il saccheggio di Gerusalemme, la Vera Croce era caduta nelle mani dei Persiani. Nel 628 l’imperatore Eraclio, sconfiggendo il re Persiano Cosroe, recuperò la preziosa reliquia. Lieto della vittoria, Eraclio a cavallo, vestito della porpora e con la corona, volle riportare il santo Legno della Salvezza attraverso la porta principale di Gerusalemme. Ma il cavallo si fermò ed il patriarca Zaccaria, che era stato liberato dalla prigionia persiana, fece presente, all’imperatore che il Figlio di Dio non aveva portato in forma solenne la Croce per le vie di Gerusalemme. Dopo aver deposto la porpora e la corona, a piedi e scalzo, Eraclio, portò sulle sue spalle il legno benedetto sino al Golgota.
2 Nel senso che siamo capaci di patire, che abbiamo una passione per Dio e per l’uomo.