«Il maestro che cammina all’ombra del tempio non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e il suo amore, non vi invita ad entrare nella dimora del suo sapere, ma vi guida alla soglia della vostra conoscenza».
Riaprono le scuole. E chissà quanti insegnanti, e con essi i loro alunni, hanno impressi nel cuore i sentimenti racchiusi nei versi di Khalil Gibran. Parole che contrastano con una realtà in cui sembra essersi avverata la riflessione di Seneca: «Non vitae, sed scholae discimus», non per la vita, ma per la scuola s’impara oggi. Aggiungo: purtroppo!
Sovente l’insegnamento scolastico (e la stessa formazione religiosa) pecca di astrattezza, di teoricità, di indeterminatezza. A ragione, spesso ci si lamenta d’una scuola che non prepara i ragazzi al futuro, per una lunga serie di ragioni a tutti nota, non ultima il contenimento dei costi. Lo studio – e con esso l’insegnamento – con l’esigenza del risparmio di bilancio e con il mero nozionismo poco hanno (o devono avere) a che vedere. Essi fioriscono dalla passione. E solo quando così è, davanti agli occhi di chi apprende e di chi insegna si aprono orizzonti, ci si scuote di dosso l’ignoranza, si fa vivere lo spirito nel godimento della bellezza, mentre la fantasia si esalta nella ricerca e nella scoperta della verità.
Bisogna, allora, uscire dal guscio protettivo dei formalismi e dei numeri e confrontarsi col mondo, con i suoi valori e, perché no, con i suoi disvalori. Lo scorso maggio, incontrando a Roma studenti e maestri provenienti da ogni parte d’Italia, Papa Francesco ha indicato la via della speranza: la scuola, ha ricordato il Santo Padre, «è sinonimo di apertura alla realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. Essa non è un parcheggio: è un luogo di incontro nel cammino. È la prima società che integra la famiglia». La scuola, quella vera, educa al vero, al bene e al bello. E l’educazione, ha sottolineato il Pontefice, «non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla».
Non ci sono alibi per la scuola che ricomincia e per i suoi protagonisti, tra i banchi o dietro una cattedra: c’è bisogno di tornare a studiare per amare, dare senso alla vita ed aprirsi alla sua pienezza, per arricchire le proprie competenze, ma soprattutto per interiorizzare virtù, abitudini e valori. Essa è il mondo, quello dell’oggi, ma soprattutto quello del domani. Ci racconta che cosa siamo e che cosa saremo o vorremmo – e molte volte, dovremmo – essere.
«Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola», si congedava quel giorno di primavera Papa Bergoglio. Il suo appello non cada nel vuoto: sia luce del cammino del nuovo inizio.