"A noi Pastori del Medio Oriente non ci resta che pregare, aspettare e piangere"

A Siracusa, il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal presiede la Messa nel Santuario della Madonna delle Lacrime e denuncia i drammi vissuti dalla sua terra

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“Siamo partecipi alle sofferenze del tuo popolo e lo affidiamo alle preghiere della Madonna delle Lacrime”. Così mons. Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Siracusa, ha accolto mons. Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme. Twal è giunto nella città siciliana in occasione del 61° anniversario della Lacrimazione di Maria a Siracusa. 

Nella basilica santuario della Madonna delle Lacrime ha quindi presieduto una Santa Messa durante la quale ha denunciato i drammi che il Medio Oriente vive in questo “tempo di crudeltà e malvagità. Tempo di violenza e prepotenza”.“Come sono attuali le lacrime in questo tempo tanto tormentato!”, ha esclamato il Patriarca ricordando le parole pronunciate recentemente da Papa Francesco: “Siamo alla terza guerra mondiale”.

Ha poi parlato delle sofferenze della sua terra: della “violenza religiosa” che essa subisce, tradotta “in scritte offensive e minacce, che spesso si vedono sui muri delle chiese e dei conventi in tutta la Terra Santa”; al processo di pace in Medio Oriente, “che vede nel conflitto israelo-palestinese uno dei nodi più aggrovigliati”; al terrorismo di Al Qaida e dell’Isis in Iraq e Siria, “inizialmente supportato dalla Comunità internazionale e che ormai fa paura a tutto il mondo”.  

“A noi Pastori del Medio Oriente – ha soggiunto il presule -, vedendo tutta la crudeltà degli uomini, vedendo i continui massacri di Gaza, la persecuzione dei cristiani per la loro fede, a noi che ci troviamo sulle orme di Gesù, non rimane che pregare, aspettare e piangere, guardando il mondo umiliato, perché incapace di fermare la violenza e tanto orrore”.

“Oggi – ha proseguito – parlare di morte, di sofferenza, di malattie ci fa paura perché non abbiamo fede, e non avendo fede, non troviamo la risposta a tante domande. Anche oggi non mancano i cristiani, fedeli a Cristo, che nel Medio Oriente hanno preferito la morte, l’esodo e la spogliazione di tutto, ma mai hanno accettato di convertirsi all’Islam per aver salva la vita…”.

Il conflitto in Terra Santa “non sembra trovare una soluzione a breve termine”, ha poi osservato mons. Twal; questa “dolorosa realtà” pesa fortemente su tutti i suoi abitanti, compresi i cristiani, e “solleva molte domande sul nostro futuro in questo paese”. La risposta della fede si rende dunque necessaria: “La risposta non è né l’emigrazione, né il chiuderci in noi stessi. La risposta è rimanere, vivere e morire in Terra Santa. La nostra terra è santa – ha affermato il Patriarca latino – e in quanto tale, le dobbiamo una risposta di fedeltà, perché la nostra permanenza è una vocazione divina, una benedizione, un privilegio”.

Un riferimento, infine, alla terra di Sicilia: “Molte lacrime vengono versate anche in questa amata terra. Sono le lacrime di coloro che sono arrivati in quest’Isola, in fuga dalla propria terra e ora sono lontani dalla loro patria. Molti di loro hanno scelto la cara Sicilia come luogo di transito e molti si trovano sepolti in questa terra e in questo mare. Quante lacrime sono versate da coloro che vengono rifiutati, respinti, non accolti! La Madonna di Siracusa piange con noi e su di noi!”, ha detto mons. Twal.  

E ha concluso affermando che “noi, come Chiesa Madre di Gerusalemme, oltre ai numerosi problemi sociali e politici che ci sommergono quotidianamente, siamo anche alle prese con le migliaia di rifugiati che hanno abbandonato le loro case in Siria e in Iraq, per scappare dai combattimenti che infuriano in quel Paese”.

Il presule ha quindi ricordato l’impegno della Caritas giordana, sostenuta anche dalla Caritas Italiana, mobilitata per aiutare “questi nostri fratelli”, e l’apertura delle scuole per accogliere i bambini siriani e del Centro Regina della Pace per le tante famiglie cristiane fuggite dalla Siria e dall’Iraq. 

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ZENIT Staff

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