Teologia della storia: una guerra dietro le quinte

Dopo due guerre mondiali è possibile che ciò accada ancora? Sì, se non si sradicano dal cuore dell’uomo quelle passioni e istinti che lo rendono prigioniero e lo privano della sua razionalità

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Il  2014 è  un anno che ricorda vicende molto tristi per l’umanità: nel mese di agosto ricorrono cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale; il 1° settembre i 65 anni dall’inizio della seconda. 

Papa Benedetto XV (1914-1922) nella sua prima enciclica “Ad Beatissimi Apostolorum” del 1º novembre 1914, espresse il suo dolore di fronte alla tragedia della guerra: “Il tremendo fantasma della guerra domina dappertutto, e non v’è quasi altro pensiero che occupi ora le menti. Nazioni grandi e fiorentissime sono là sui campi di battaglia. […] Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti. […] Bisogna dunque diligentemente adoperarsi per eliminare tali disordini, richiamando in vigore i princìpi del cristianesimo, se si ha veramente intenzione di sedare ogni conflitto e di mettere in assetto la società” (n. 4).

Lo stesso Papa, parlando ai cardinali, definì la guerra “un suicidio della Europa” (4 marzo 1916), “la più tenebrosa tragedia della follia umana” (4 dicembre 1916).

Pio XI (1922-1939) morì pochi mesi prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Osservando le dense nubi minacciose che già invadevano il cielo dell’umanità, nel radiomessaggio del 29 settembre 1938, il Pontefice disse che offriva la sua vita pur di scongiurare il nuovo conflitto: “Questa vita che il Signore ci ha concesso, Noi di tutto cuore offriamo per la salute e pace del mondo”.  

Ma le buone intenzioni dei due Papi non furono ascoltate. L’odio e la prepotenza ebbero la meglio sulla ragione e sul dialogo. I libri scritti sul primo conflitto mondiale ricordano le terribili stragi effettuate e milioni di persone uccise. Per la seconda i ricordi sono più  freschi. Si calcola che il costo generale della guerra fu di mille miliardi di dollari (di allora), e i morti tra militari e civili si calcolano fino a 55 milioni. Ci si pone la domanda: a cosa giovò tutto questo?

Ma un’altro interrogativo ancora più terribile si affaccia: è possibile che tutto questo accada di nuovo? Seppur dopo la Seconda guerra mondiale non ci siano state altre ‘guerre mondiali’, sono state attuate almeno circa 150 ‘guerre locali’, che hanno prodotto un numero infinito di devastazioni e morti. 

A tal punto è urgente analizzare la storia dietro le quinte della ufficialità e della convenienza per analizzate le cause intrinseche che hanno prodotto tutto questo massacro e che hanno tappezzato il mondo di cimiteri.

Si scopre così che le vere cause dimorano nel cuore dell’uomo. E’ in questo profondo umano che si deve scendere per una rimozione e purificazione. Le cause presentate nei libri di storia non sono  ‘vere’, ma solo la ‘conseguenza’  di una disarmonia esistenziale che rende prigioniero l’essere umano e lo priva della sua razionalità.

Gesù dice infatti: “Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie”. (Mt 15, 19). Per comprendere quel conflitto dialettico è bene rileggere anche quella pagina di San Paolo sull’antagonismo tra le opere della carne e quelle dello spirito: “Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni,invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”. (Gal, 5, 19-21).   

Oltre alla Sacra Scrittura, è già la saggezza antica ad illuminarci. “La tracotanza, quando dà i suoi frutti, produce la spiga dell’errore, e la messe che se ne raccoglie è fatta solo di lacrime” scriveva Eschilo nell’opera I Persiani (v. 821 s), dimostrando che un fatto non è causale ma conseguenza di atteggiamenti mentali e di scelte del cuore.

Erodoto ha cercato di penetrare dentro la storia. Ha fatto risiedere la felicità non nella gloria e ricchezza ma nell’onestà; l’uomo è e rimane debole nonostante l’abbondanza numerica delle forze belliche, anche nei momenti di gloria si ritrova ‘umano’. “Ciò che si vede è soltanto la fiamma; ma il fiammifero che l’accende risiede nella malvagità che si annida nei meandri dell’anima”. (Cfr. Erodoto, Le Storie, episodio di Solone e Creso, libro I, 30-32; episodio Artabano e Serse, libro VII, 46).

Cicerone è sceso nel profondo: “Le passioni, ovvero turbamenti dell’anima, producono infelicità – scrisse – invece la calma rende l’uomo felice […] E’ bene ciò che è onesto. Ne consegue che la felicità della vita è racchiusa nella sola onestà. Non bisogna pertanto chiamare e considerare beni quelle cose per cui si può essere del tutto infelici pur possedendone in abbondanza” (Cicerone, Tusculanarum Disputationum, livro V, 15 e 43). 

In un altro scritto, affermò: “Gli uomini, oltre che per molte altre caratteristiche, specialmente per questa sola si differiscono dalle bestie: hanno la ragione […] Seguendo gli impulsi fondamentali amiamo tutto ciò che è vero, vale a dire leale, semplice, costante, e odiamo ciò che è vano, falso, ingannevole, come la frode, lo spergiuro, la malvagità, l’ingiustizia” (<em>De finibus honorum et malorum, Libro II, 14, 45 s.).      

C’è da dire poi che i secoli XIX e XX si possono considerare a giusta ragione i secoli del ‘Super’: super-stato (Hegel), super-uomo (Nietzsche), super-io (Freud). Si tratta dell’eterna tentazione di andare al di là, di andare oltre, di porsi sopra gli altri. Hegel, Marx, Shopenhauer, Stirner, Nietzsche, Freud, Rosenberg sono i principali responsabili delle matrici culturali della guerra. Tutte queste correnti di pensiero hanno contribuito a maturare una cultura di morte. E le armi, come già detto, sono mosse dalle passioni umane. 

Quando si toglie Dio dalla società tutto diventa lecito. Quei pensatori, in maniera esplicita o velata, si sono fatti negatori di Dio, o ignorandolo, o annientandolo, oppure presentandolo come nemico dell’uomo. Denominatore comune è l’idea che per poter affermare l’uomo, è necessario liberare il terreno da Dio. Soltanto sul sepolcro di Dio si può costruire il trono per l’uomo. Ma il trionfo dell’uomo, dopo la morte di Dio, si realizza con uno sterminio dell’uomo da parte di altri uomini. Le cifre parlano e confermano. 

Il totalitarismo statale o partitico diventa la nuova divinità, la vera iena assetata di sangue umano. “Il totalitarismo riduce l’uomo a non  essere più che una pedina del gioco politico, un numero nei calcoli economici. Con un tratto di penna egli muta i confini degli Stati; con una decisione perentoria sottrae l’economia di un popolo alle sue naturali possibilità; con una mal dissimulata crudeltà scaccia milioni di uomini, centinaia di migliaia di famiglie, riducendoli nella più squallida miseria” (Pio XII, Discorso ai Cardinali, 24-12-1945).

La grande Bestia dell’Apocalisse spadroneggia ancora nel mondo e cerca nuove vittime da offrire sull’altare del dominio e del progresso. L’uomo prometeico nella sua camaleontica duttilità riemerge sempre con l’idea di scuotere e risvegliare l’umanità dal letargo creaturale per innalzarla ad una dimensione di autosufficienza da trasformarla in forza demoniaca con la pretesa di realizzare un mondo umano senza il divino.

La Torre di Babele è la titanica chimera dell’uomo oltre la situazione storica. Ancora oggi la sua costruzione continua, assumendo diverse sembianze. Dalle astronavi alla manipolazione genetica, si persegue l’illusione dell’autosufficienza umana, il poter dire che l’uomo è il vertice e sopra di lui c’è solo il cielo stellato, ormai svuotato del divino. Ma questo ha portato alla dispersione, alla confusione delle lingue,  alla irriconoscibilità. E’ soltanto con lo Sp
irito che, nella Pentecoste, si è realizzata la possibilità di una ri-comprensione e ri-costruzione umana.

“Lo Spirito Santo mostra la sua  presenza nel dono delle lingue; così rinnova e rovescia l’avvenimento di Babilonia: la superbia degli uomini, che volevano divenire  come Dio e costruire la torre babilonica , il ponte verso il cielo, con le proprie forze, senza Dio. Questa superbia crea le divisioni nel mondo, i muri della  separazione”  (J. Ratzinger, Il Cammino Pasquale, Ancora, Milano 1985, p. 131).     

Gli storici possono focalizzare le cause della guerra nella conflittualità della diplomazia internazionale. I sociologi nelle varie componenti che hanno innescato nella società una reazione a catena di disagio e di malcontento. I filosofi vanno alla ricerca delle matrici culturali  nelle correnti di pensiero che hanno ipnotizzato le menti ed offuscato la ragione. Tutte cause vere ma incomplete. Hanno analizzato l’uomo dal suo esterno, ma non vi sono scesi dentro; non si sono addentrati fino al cuore umano. E’ solo la teologia, la teologia della storia, che permette di cogliere la radice di ogni male nel peccato di arroganza, inteso come negazione di Dio e negazione dell’essere.

Queste riflessioni richiamano alla mente le confidenze che Maria ha esternato a Fatima nel 1917: “La guerra sta per finire, ma se gli uomini non smetteranno di offendere Dio, poco dopo ne verrà un’altra ancora peggiore (Congregazione per la Dottrina della Fede, Il Messaggio di Fatima, Città del vaticano, giugno 2000, p. 16).

I veri protagonisti della storia sono il bene e il male che albergano nel cuore dell’uomo. La guerra è presente non solo quando è dichiarata ma quando esistono le premesse culturali che accendono poi la scintilla politica. Evitabile? Si, ma ad una condizione: che si promuova la vera cultura, quella realmente umana, che ricolloca l’uomo nella sua giusta dimensione, che riaffermi il primato di Dio sulla creazione, che alla falsa cultura dell’odio, dell’egoismo, della manipolazione umana si sostituisca la cultura del rispetto, dell’accettazione nelle differenze; in una parola che si affermi la civiltà dell’amore.

I veri distruttori dell’umanità sono coloro che non rispettano il giusto primato di Dio, che sradicano l’agire umano dalla norma etica, che mettono il principio del piacere e dell’utile sopra il principio del bene e del giusto.      

Nel 1943, in piena guerra, Einstein rifletteva: “La nostra epoca è orgogliosa del progresso che ha contribuito allo sviluppo intellettuale dell’umanità è […] Certamente dovremmo badare a non fare dell’intelletto il nostro dio. Esso, ha sì dei muscoli potenti, ma nessuna personalità. Esso non può guidare, può solo servire” (A. Einstein, Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino 1986,  p. 148). 

Ed alla fine della guerra nel 1948, inviò un messaggio agli intellettuali, in cui si legge: “Per dolorosa esperienza abbiamo imparato che il pensiero razionale non è sufficiente a risolvere i problemi della nostra vita sociale. La sottile  ricerca e l’attento lavoro scientifico hanno spesso avuto delle tragiche conseguenze per l’umanità, perché hanno sì, prodotto, da un lato, invenzioni che hanno liberato l’uomo dalla fatica fisica estenuante, rendendone la vita più facile e  più ricca; ma, d’altra parte, hanno introdotto una grave inquietudine nella sua vita, lo hanno reso schiavo del suo mondo tecnologico e, cosa più catastrofica ancora, hanno creato i mezzi per la sua stessa  distruzione in massa […] Noi scienziati […] dobbiamo costruire dei ponti scientifici e spirituali che colleghino le nazioni del mondo”  (Idem, p. 220 s.).

Ci auguriamo che si avveri il proverbio latino: “La Storia è maestra di vita”.             

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Vitaliano Mattioli

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