Varcare la soglia di una qualsiasi chiesa antica, anche se piccola e poco nota, è come lasciarsi catturare da una dimensione di avvolgente raccoglimento che pervade l’animo. I cinque sensi si distendono teneramente, in un guado di armonia. L’odore gravido dell’umidità del legno dei banchi si confonde con quello della cera e dell’incenso, il silenzio solenne ci parla al cuore e dirige i nostri occhi verso l’altare, la croce, oppure verso la penombra di una navata, ove si staglia l’immagine di un santo, di Gesù o di Maria. San Gregorio Magno considerava quei dipinti all’interno delle chiese “la Bibbia dei poveri”, poiché capaci di comunicare il mistero dell’amore di Dio ai semplici.
A guardare molte chiese moderne, sembra proprio che quella vocazione alla semplicità sia andata perduta, a beneficio di stravaganze architettoniche tali da richiedere ingente (e spesso insufficiente) impegno intellettuale per comprenderne la rispondenza al Sacro. Persino Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno espresso critiche verso i nuovi edifici di culto. Più recentemente, si sono mossi sulla stessa lunghezza d’onda dei due Pontefici anche il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e il professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani. Perplessità nei confronti di quelle che “sembrano autogrill, discoteche, hangar, supermercati, ma davvero non chiese” giungono inoltre da autorevoli esponenti dell’architettura civile come Pier Carlo Bontempi, che ZENIT ha intervistato per meglio conoscere la sua opinione nonché le sue proposte per un ritorno a “forme riconoscibili e simbolicamente significanti”.
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Architetto Bontempi, in molti si chiedono provocatoriamente: nell’architettura moderna la chiesa è ancora un edificio sacro?
Pier Carlo Bontempi: La chiesa, bella o brutta che sia, è sempre un luogo sacro per quello che al suo interno avviene. Nell’architettura modernista (non moderna, che è una condizione a prescindere) si vuole fare un’esagerata esibizione di forme e di tecniche costruttive con la pretesa di novità assolute, questa esibizione spesso nega la sacralità visiva dell’edificio chiesa.
Qualche esempio che l’ha particolarmente colpita in negativo?
Pier Carlo Bontempi: Non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Richard Meier nella chiesa giubilare Dives in Misericordiae (situata nel quartiere Tor Tre Teste, nella periferia Est di Roma, ndr) a San Paolo Apostolo di Fuksas a Foligno.
“Quando mi chiedono come sarà la città del futuro, io rispondo: spero come quella del passato”. Questa frase che lei conosce è del suo collega Renzo Piano. Non crede che guardando la Chiesa di Padre Pio che lui ha realizzato e che, al di là dei giudizi estetici, non è propriamente sul modello delle chiese del passato, questa affermazione appaia – sempre che lui non consideri la chiesa un edificio estraneo alla città – poco aderente alla reale vocazione artistica di Renzo Piano?
Pier Carlo Bontempi: Essere una città o un’architettura come quella del passato non implica la semplice ripetizione ma, piuttosto, significa comprendere lo spirito e l’esperienza del passato e tradurlo nel nostro operare di oggi nella continuità della tradizione; Gustav Mahler diceva che la tradizione custodisce il fuoco, non adora le ceneri.
Il noto architetto e ingegnere Gustavo Giovannoni riteneva necessario che “ogni architetto dovrebbe accostarsi alla progettazione di una chiesa con timorosa riverenza, non col vano pensiero di erigere un monumento a sé stesso, ma con quello alto ed unico di elevare una preghiera a Dio…”. Stride dunque che le progettazioni delle nuove chiese vengano assegnate a pur prestigiosi architetti che sono tuttavia non credenti o persino atei professi?
Pier Carlo Bontempi: L’architetto può essere non credente e non sentire il bisogno di elevare la sua personale preghiera a Dio. Il suo intento però dovrebbe essere quello di indurre alla preghiera chi vede ed entra nella chiesa da lui progettata.
Molti individuano nella mancanza di fondi la causa di questo svilimento estetico delle chiese. Ritiene sia una spiegazione valida?
Pier Carlo Bontempi: È un alibi pietoso. Spesso per la costruzione delle chiese attuali vengono spese cifre ingenti e il misero risultato è sotto gli occhi di tutti.
Che fare allora?
Pier Carlo Bontempi: Con umiltà e studio bisogna tornare a forme riconoscibili e simbolicamente significanti come la croce latina, la croce greca, il cerchio, simbolo di eternità, l’orientamento ad est in modo che il primo raggio di luce simbolo della grazia entri al mattino ed illumini il fedele. Un esempio è il progetto di Leon Krier per Tor Bella Monaca, è un edificio esemplare. Per ora è solo un progetto, ma non perdiamo la speranza in una sua realizzazione.